venerdì 31 gennaio 2020

CALLO e dintorni


CALLO e dintorni
Anche questa volta faccio sèguito ad  un  quesito rivoltomi dall’amico N.C. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di  riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di spender qualche parola per illustrare il termine napoletano in epigrafe ed eventuali fraseologie che lo riguardino. Gli ò súbito testualmente significato che in napoletano esistono due voci callo omofone ed omografe, ma affatto diverse di significato e semantica ed ambedue ànno una relativa fraseologia. Mi occupo di ambedue; con la voce callo s.vo m.le [al pl. calle] con etimo dal lat. caballu-mca(ba)llu-mcallo si intese una moneta di pochissima importanza coniata in rame in piú valori (uno, due, tre, quattro, cinque, nove) dal 1472 al 1815 (quando fu sostituito dal tornese); essa  era la dodicesima parte di un grano napoletano. Dal 1814 passò, invece, a rappresentare la decima parte di un grano napoletano con un controvalore in lire italiane di 436 centesimi per cui il treccalle valeva appena 1 lira e 38 centesimi, una cifra veramente  irrisoria! Tale voce callo, declinata al pl. calle è rammentata  in un’icastica espressione partenopea che recita: Pe ttre ccalle 'e sale, se perde 'a menesta. da intendersi: per pochi soldi di sale si perde la minestra. La locuzione la si usa quando si voglia commentare la sventatezza di qualcuno che per non aver voluto usare una piccola diligenza nel condurre a termine un'operazione, à prodotto danni incalcolabili, tali da nuocere alla stessa conclusione dell'operazione. 'O treccalle, come ricordato,  era una  piccola moneta divisionale napoletana pari a stento al mezzo tornese ed aveva un limitatissimo potere d'acquisto, per cui era da stupidi rischiare di rovinare un'intera minestra per lesinare sull'impiego di trecalli per acquistare il necessario sale che insaporisse la minestra, cosí come ricorda la locuzione esaminata. Ben altra cosa è il callo [dal lat. callu-m] voce che indica l’ ispessimento circoscritto (détto anche clavo o tiloma) o diffuso (callosità, durone) dello strato corneo dell’epidermide, che si produce nelle regioni sottoposte a pressioni o attriti ripetuti e prolungati (pianta e dita dei piedi, palma della mano, ecc.) ed è spesso causa di acuti dolori; tale voce ricorre in alcune interessanti locuzioni quali
1)   farce ‘o callo  usata nel significato di avvezzarsi, abituarsi a qualcosa, accostumarvisi, assuefarsi;
2)   farse vení ‘e calle ê mmane   (farsi venire i calli alle mani)cioè impegnarsi in  lavori faticosi;
3)   scamazzà ‘e calle a quaccuno  (letteralmente:pestare i calli a qualcuno, pestargli i piedi nella ressa o altrimenti), e figuratamente:  infastidirlo, ostacolarlo nella sua attività e nelle sue aspirazioni;  
4)   nun farse scamazzà ‘e calle (ad litteram:non lasciarsi pestare i calli;  id est:non tollerare soprusi.

Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun altro  dei miei ventiquattro lettori e  chi  forte dovesse imbattersi in queste due paginette. Satis est.
Raffaele Bracale

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