16 PROVERBI [8.10.20]
1 SIGNORE MIO SCANZA A MME E A CCHI
COGLIE.
Letteralmente: Signore mio fa salvo me e chiunque possa venir colto. È la
locuzione invocazione che a mo’ di scongiuro viene rivolta a Dio quando ci si trovi davanti ad
una situazione nella quale si corra il pericolo di finire sotto i colpi
imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia cimentando in operazioni non
supportate da accertata perizia.
Scanza voce verbale qui 2° pers.sg. dell’imperativo,altrove anche 3° pers sg.ind. pres. dell’infinito scanzà/are= scansare, evitare con etimo da un cansare→canzare con protesi di una s intensiva; cansare→canzare collaterale di campsare= doppiare,piegare, girare intorno è voce marinaresca.
2 'O PIEZZO CCHIÚ GRUOSSO À DDA
ESSERE 'A RECCHIA.
Letteralmente: il pezzo piú grande deve essere l'orecchio. Iperbolica minaccia
che un tempo veniva rivolta soprattutto ai ragazzini chiassosi e/o facinorosi
cui si promettevano inenarrabili, iperboliche
percosse tali da ridurli in pezzi di cui il piú grande avrebbe dovuto
essere l'orecchio.
3 ESSERE 'NA GUALLERA CU 'E
FILOSCE.
Letteralmente: essere un'ernia corredata di frittate d'uova. Icastica offensiva
espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle dal carattere debole
quasi si tratti di una molle pendula ernia a cui siano attaccate, per maggior
disdoro delle ugualmente molli e spugnose frittatine d'uova.
Guallera= ernia scrotale voce femm.le derivata dall’arabo wadara.
filosce sost. neutro plurale del sing. filoscio= frittata morbida e sottile dal franc. *filoche derivato di fil.
4 ORAMAJE À APPISO 'E FIERRE A SANT' ALOJA.
Letteralmente: ormai à appeso i ferri a
sant'Eligio. Id est: ormai non à piú velleità sessuali,(à raggiunto l'età della senescenza ...)Il
sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese Alois) al mercato,
basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad appendere i ferri
dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di lavorare. Da questa
consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli anziani.
5 SI ME METTO A FFÀ CAPPIELLE,
NÀSCENO CRIATURE SENZA CAPA.
Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli nascono bimbi senza testa.
Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da chi si ritenga titolare di
una sfortuna macroscopica.
6 A – NUN FÀ PÉRETE A CCHI TÈNE CULO.
B – NUN DÀ PONIE A CCHI TÈNE MANE!
I due proverbi in epigrafe, in fondo con parole diverse mirano allo stesso
scopo: a consigliare cioè colui a cui vengon rivolti di porre parecchia
attenzione al proprio operato per non incorrere - secondo un noto principio
fisico - in una reazione uguale e contraria che certamente si verificherà; nel
caso sub A, infatti è facile attendersi una salva di peti da parte di colui
che, provvisto di sedere, sia stato fatto oggetto di una medesima salva. Nel
caso sub B, chi à colpito con pugni qualcuno si attenda pure la medesima
reazione se il colpito è provvisto di mani.
7 'A SCIORTA 'E CAZZETTA: JETTE A
PISCIÀ E SE NE CADETTE.
Letteralmente: la cattiva fortuna di Cazzetta che si dispose a mingere e perse
per caduta l'organo deputato alla bisogna. Iperbolica locuzione costruita dal
popolo napoletano intorno ad un fantomatico Cazzetta ritenuto cosí sfortunato
da non potersi permettere le piú elementari funzioni fisiologiche senza
incorrere in danni incommensurabii. La locuzione è l'amaro commento fatto da
chi veda le proprie opere non produrre gli sperati risultati positivi, ma al
contrario negatività non prevedibili.
8 QUANNO CHIOVONO PASSE E
FICUSECCHE.
Letteralmente: quando cadono dal cielo uva passita e fichi secchi. Id est: mai.
La locuzione viene usata quale risposta dispettosa a chi chiedesse quando si
potrebbe verificare un accadimento ritenuto invece dalla maggioranza
irrealizzabile.Poiché non è ipotizzabile una pioggia di uva passita o fichi
secchi l’espressione icasticamente sottintende l’avverbio negativo mai.
9 'O CULO 'E MAL'ASSIETTO NUN TROVA
MAJE ARRICIETTO.
Letteralmente: il sedere che siede malvolentieri non trova mai tregua. Per
solito, con la frase in epigrafe si fa riferimento al continuo dimenarsi anche
da seduti che fanno i ragazzi incapaci di porre un freno alla loro voglia di
muoversi.
Assietto s.m. = assetto, seduta, sistemazione, modo di sedere;quanto all’etimo è un deverbale dal lat. volg. *assedita¯re, frequent. di sedíre 'star seduto'
arricietto sost. masch. = tregua, calma, riposo ma pure sistemazione derivato del basso lat. *ad-receptu(m)→arrecettu(m)→ arricietto.
10 FATTE 'E CAZZE TUOJE E VIDE CHI
T''E FA FÀ...
Letteramente: impicciati dei casi tuoi e procura di trovare qualcuno che ti
aiuti in tal senso.Il mondo è pieno, purtroppo di gente incapace di restare nel
proprio àmbito, gente che gode ad
intromettersi negli affari altrui, comportandosi da saccenti e/o arroganti
supponenti, dispensando perciò consigli
non richiesti che, il piú delle volte, procurano ulteriori affanni, invece di
lenire la situazione di coloro a cui vengon rivolti i sullodati consigli. A chi
si comportasse in tal modo è buona norma rivolgere l'invito dell'epigrafe che è
perentorio e non ammette repliche.
11 ESSERE ALL'ABBLATIVO.
Letteralmente: essere all'ablativo. Id est: essere alla fine, alla conclusione
e, per traslato, trovarsi nella condizione di non poter porre riparo a nulla.
Come facilmente si intuisce l'ablativo della locuzione è appunto l'ultimo caso
delle declinazioni latine.
12 ESSERE MURO E MMURO CU 'A
VICARIA.
Letteralmente: essere adiacente alle mura della Vicaria. Id est: essere
prossimo a finire sotto i rigori della legge per pregressi reati che stanno per
esser scoperti. La Vicaria
della locuzione era la suprema corte di giustizia operante in Napoli dal 1550
ed era insediata in CastelCapuano assieme alle carceri viceregnali. Chi finiva
davanti alla corte della Vicaria e veniva condannato, era súbito allocato nelle
carceri ivi esistenti o in quelle vicinissime di San Francesco site nella piazza omonima in quello che in origine
fu il monastero dei monaci di sant’ Anna ed oggi accoglie gli uffici della
Pretura.
13 CU ‘O TIEMPO E CU ‘A PAGLIA
(S’AMMATURANO ‘E NESPOLE)!
Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le nespole). La
frase, pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole fuori
parentesi vuole ammonire colui cui viene
rivolta a portare pazienza, a non precorrere i tempi, perché i risultati
sperati si otterranno solo attendendo un congruo lasso di tempo, come avviene
per le nespole d'inverno o nespole
coronate che vengono raccolte dagli alberi quando la maturazione non è
completa e viene portata a compimento stendendo le nespole raccolte su di un
letto di paglia in locali aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però
frutti dolcissimi e saporiti.
14 SÎ ARRIVATO Â MONACA ‘E
LIGNAMMO.
Letteralmente: sei giunto presso la monaca di legno. Id est: sei prossimo alla
pazzia. Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta a coloro che davano
segni di follía o davano ripetutamente in escandescenze. La monaca di legno
dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante una suora
nell’atto di elemosinare . Détta statua era situata sulla soglia del monastero
delle Pentite adiacente l’Ospedale
Incurabili di Napoli, ospedale dove fin dal 1600 si curavano le malattie
mentali.
15 STAMMO ALL'EVERA.
Letteralmente: stiamo all'erba. Id est: siamo in miseria, siamo alla fine, non
c'è piú niente da fare. L'erba della locuzione con l'erba propriamente detta
c'entra solo per il colore; in effetti la locuzione, anche se in maniera piú
estensiva, richiama quasi il toscano: siamo al verde dove il verde era il
colore con cui erano tinte alla base le candele usate nei pubblici incanti:
quando, consumandosi, la candela giungeva al verde, significava che s'era
giunti alla fine dell'asta e occorreva tentare di far qualcosa se si voleva
raggiunger lo scopo dell'acquisto del bene messo all'incanto; dopo sarebbe
stato troppo tardi.
16 HÊ SCIUPATO ‘NU SANGRADALE.
Letteralmente: Ài sciupato un sangradale. Lo si dice di chi, a furia di folli
spese o cattiva gestione dei propri mezzi di fortuna, dilapidi un ingente
patrimonio al punto di ridursi alla miseria piú cupa ed esser costretti,
magari, ad elemosinare per sopravvivere; il sangradale dell'epigrafe è il Santo
Graal la mitica coppa in cui il Signore istituí la santa Eucarestia durante
l'ultima cena e nella quale coppa Giuseppe d'Arimatea raccolse il divino sangue
sgorgato dal costato di Cristo a seguito del colpo infertogli con la lancia dal
centurione sul Golgota. Si tratta probabilmente di una leggenda scaturita dalla
fantasia di Chrétien de Troyes che la descrisse nel poema Parsifal di ben 9000
versi e che fu ripresa da Wagner nel suo Parsifal dove il cavaliere Galaad,
l'unico casto e puro, riesce nell'impresa di impossessarsi del Graal laddove
avevan fallito tutti gli altri cavalieri non abbastanza puri.
Brak
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