domenica 3 marzo 2013

VARIE 2289

1.JÍ TRUVANNO CRISTO ‘INT’ Ê LUPINE o meglio JÍ TRUVANNO CRISTO DINTO A LA PINA ad litteram: Andar cercando Cristo fra i lupini o meglio Andar cercando Cristo nella pigna. Id est: mettersi alla ricerca di una cosa difficile da trovarsi o da conseguirsi; cosa pretestuosa e probabilmente inutile, per cui, il piú delle volte, non metterebbe conto il mettersene alla ricerca. Come ò segnalato la prima locuzione è meno esatta della seconda che risulta essere quella originaria, mentre la prima ne è solo una frettolosa corruzione; ed in effetti se si analizza la seconda locuzione (quella consigliata), si può intendere a pieno la valenza delle espressioni, valenza che è difficile cogliere accettando la prima locuzione che fa riferimento ad incoferenti e pretestuosi lupini; quanto piú corretta la seconda, quella che fa riferimento alla pigna in quanto i pinoli in essa contenuti presentano un ciuffetto di cinque peli comunemente détto: manina di Cristo e la locuzione richiama appunto la ricerca di détta manina, operazione lunga e che non sempre si conclude positavamente: infatti occorre innanzitutto procurarsi una pigna fresca, abbrustolirla al fuoco per poi spaccarla ed estrarne i contenitori dei pinoli, da cui trar fuori i suddetti ed alla fine andare alla ricerca della manina e cioè per metinomia,di Cristo; spesso càpita però che i contenitori siano vuoti di pinoli e dunque tutta la fatica fatta vada sprecata e si riveli inutile. Qualche altro scrittore di cose napoletane nel vano tentativo di fare accogliere la prima locuzione, fa riferimento ad una non meglio annotata o rammentata leggenda che vede stranamente la Vergine Maria non esser misericordiosa con la pianta di lupini; nelle mie ricerche tale leggenda è risultata pressocché sconosciuta, mentre non v’è anziano popolano che non sia a conoscenza della manina di Cristo. 2.JÍ TRUVANNO CHI LL’ACCIDE nell’espressione: VA TRUVANNO CHI LL’ACCIDE Ad litteram: andare in cerca di chi l’uccida nell’espressione va in cerca di chi l’uccida espressione usata per commentare le antipatiche azioni del provocatore, di chi stuzzichi il prossimo fino a destare, anche se figuratamente, nei meno pazienti, istinti omicidi. 3.JÍ TRUVANNO GUAJE CU ‘A LANTERNELLA Ad litteram: andare in cerca di guai con un lanternino detto di chi per suo puro masochismo e non per sopraggiunte casualità, si vada cacciando di proposito nei guai, quasi andandone alla ricerca con una lanterna per meglio trovarli. 4.JÍ PE FFICHE E TRUVÀ CETRÓLE Ad litteram: andare in cerca di fichi e trovare cetrioli. Locuzione di portata simile a quella ricordata alibi: (jí p’ajuto e truvà sgarrupo) cioè andare in cerca di qualcosa di buono ed imbattersi nel contrario atteso che il cetriolo pure essendo un ortaggio buono ed edibile, non è certo saporito e gustoso come un fico.Di analogo significato e portata è la locuzione molto becera, ma molto icastica: (jí pe ‘nu culo truvà ‘nu cazzo) con la quale si adombra l’incresciosa situazione di chi vada in cerca di una persona da sodomizzare e si imbatta in una che lo sodomizzi. 5. JÍ Ô BBATTESEMO SENZA ‘O CRIATURO Ad litteram: recarsi al fonte battesimale senza il bambino (da battezzare) locuzione usata per bollare situazioni macroscopicamenti carenti degli elementi essenziali alla loro esistenza, riferita spercialmente a tutti coloro che distratti per natura, o perché colpevolmente poco attenti si accingono ad operazioni destinate a fallire perché prive del necessario sostrato dimenticato per distrazione o non conferito per disattenzione. 6.JÍ A PPUORTECE PE ‘NA RAPESTA. Ad litteram: recarsi a Portici per (acquistare) una rapa. Id est: Agire sconsideratamente impegnandosi eccessivamente, affaticandosi oltremodo per raggiungere un risultato modesto o meschino. Cosí si dice, a dileggio, di chi si comporta in maniera poco giudiziosa, assennata, attenta, accorta o riflessiva sprecando energie e – nella fattispecie - si recasse al mercato ortofrutticolo all’ingrosso di Portici, piccolo comune agricolo nei pressi di Napoli, per acquistare una sola, insignificante rapa. 6 bis.JÍ A PPUORTO P’ ‘A RAPESTA. Ad litteram: recarsi al porto per la rapa. L’espressione in esame è una corruzione della precedente, ma è di significato alquanto diverso; questa in esame è una locuzione usata a dileggio di chi si comporti in maniera imprudente, scriteriata, dissennata mettendosi in situazioni pericolose, come quella di frequentare la malfamata e perigliosa zona portuale, e lo faccia non per necessità o per lavoro, ma al solo scopo di dar soddisfazione alle proprie esigenze sessuali frequentando le prostitute stanziali del porto atte ad occuparsi della ... rapesta del loro cliente. Infatti nella locuzione il s.vo rapesta [1 in primis rapa; 2 per traslato furbesco membro maschile; 3per traslato offensivo uomo inetto e dappoco; la voce rapa è dal lat. rapa←rapu-m = rapa, mentre la voce napoletana rapesta è dal neutro lat. rapistru-m attraverso il pl. rapistra poi inteso f.le e lètto rapista→ rapesta con semplificazione di str→st come in fenesta da fenestra(m) ] qui rapesta è usato appunto nel senso traslato/furbesco.A margine rammento infatti che è da collegarsi alla rapa l’agg.vo arrapato che è il part. pass. usato anche come agg.vo dell’infinito arrapà (arrapare), v.bo tr.vo di origine meridionale,pervenuto anche nel lessico italiano sia pure come voce volgare. è un denominale del lat. rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi considerato come f.le sg.in senso maliziosamente allusivo alla durezza dell’ortaggio] = eccitare sessualmente; piú spesso usato come intr. o intr. pron. (arrapà, arraparse, fà arrapà), eccitarsi sessualmente; quantunque sia piú comunemente usata al maschile (arrapato= eccitato ) nulla vieta che la voce sia coniugata anche al f.le (arrapata= eccitata) quantunque l’eccitazione maschile meglio si presti in pratica ad esser rappresentata dalla turgidità della rapa! 7.JÍ DINT’ A LL’OSSA. Ad litteram: andare nelle ossa detto di tutto ciò che risulti ampiamente giovevole, utile e proficuo che faccia quasi assaporarne i benefici fin dentro le ossa; la locuzione però non attiene esclusivamente al piano fisico , potendosi usare anche o spesso con riferimenti morali. 8. JÍ ‘NFREVA Ad litteram: andare in febbre id est: adontarsi, lasciarsi cogliere da moti di rabbia innanzi a situazioni ritenute cosí ingiuste o prevaricanti da destare agitazione, foriera di febbre. 9.JÍ METTENNO ‘A FUNE ‘E NOTTE Ad litteram: Andar mettendo la fune di notte. Locuzione che si usava pronunciare risentitamente, in forma negativa ( nun vaco mettenno ‘a fune ‘e notte) (non vado tendendo la fune di notte)oppure sotto forma di domande retoriche:ma che ghiesse mettenno fune ‘e notte?(forse che vado tendendo funi di notte?),oppure ma che te cride ca vaco mettenno fune ‘e notte? (pensi forse ch’io vada tendendo funi di notte?) per protestare la propria onestà, davanti ad eccessive richieste di carattere economico; a mo’ d’esempio quando un figlio chiede troppo al proprio genitore, costui nel negargli il richiesto usa a mo’ di spiegazione la locuzione in epigrafe, volendo significare: essendo una persona onesta e non un masnadiero abituato a rapinare i viandanti tendendo una fune traverso la strada, per farli inciampare e crollare al suolo, non ò i mezzi economici che occorrerebbero per aderire alle tue esose richieste; perciò règolati e mòderale ! 10.JÍ TRUVANNO OVA ‘E LUPO E PIETTENE ‘E QUINNECE. Ad litteram: andare in cerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti) id est: impegnarsi in ricerche assurde , faticose ma vane come sarebbe l’andare alla ricerca di uova di lupo che è un animale viviparo o cercare pettini di quindici denti, laddove tradizionalmente i pettini da cardatura non ne contavano mai piú di tredici. 11.JÍ TRUVANNO SCESCÉ Espressione intraducibile ad litteram con la quale si identifica chi, in ogni occasioni cerchi cavilli, pretesti, adducendo scuse per non operare come dovrebbe o facendo le viste di non comprendere, per esimersi; talvolta chi si comporta come nella locuzione in epigrafe lo fa allo scopo dichiarato di litigare, pensando di trovare nel litigio il proprio tornaconto. La parola scescé è un chiara corruzione del francese chercher (cercare), ma non ci sono certezze circa il suo primo utilizzo nel senso indicato. Si può però tranquillamente ipotizzare che durante la dominazione murattiana, se non durante quella angioina, un milite francese si fermasse a chiedere una informazione ad un popolano dicendogli forse: “Je cherche (io cerco) oppure usasse una frase analoga contenente l’infinito: chercher” Il popolano che con ogni probabilità non conosceva la lingua francese fraintese lo chercher, che gli giunse all’orecchio come scescè e pensando che questo scescé fosse qualcosa o qualcuno di cui il milite andava alla ricerca, comunicò agli astanti che il milite jeva truvanno scescé (andava alla ricerca di un non meglio identificato scescé). 12.LL’URDEMU LAMPIONE ‘E FOREROTTA. ad litteram:l’ ultimo lampione di Fuorigrotta id est: essere l’ultimo, inutile, insignificante individuo di un cossesso quale esso sia. La locuzione si riferisce al fatto che un tempo a Napoli i lampioni dell’illuminazione stradale erano numerati ed accesi a sera progressivamente secondo la loro numerazione cardinale. l’ultimo di essi lampioni contrassegnato con il num. 6666 era ubicato nella periferica zona occidentale della città nel quartiere detto di Fuorigrotta ed era l’ultimo ad essere acceso , quando già le prime luci del giorno ne sminuivano l’utilità;alla luce di quanto detto si comprende che è solo un divertente, ma incoferente esercizio mentale considerare che con la quadruplice sequenza del num. 6 che nella smorfia indica tra l’altro lo sciocco, il lampione contrassegnato 6666 possa indicare un gran babbeo. 13.LL’OMMO ‘NCOPP’Â SALÈRA Ad litteram: l’uomo sulla saliera. Cosí con l’espressione in epigrafe a Napoli si è soliti prendersi giuoco di uomini che siano piccoli e non fisicamente prestanti, assimilati a quella statuina posta come impugnatura alla sommità dei coperchi delle saliere di terracotta, statuina che riproduceva le sembianze di un tal Tom Pouce nanetto inglese che intorno al 1860 si esibí a Napoli in uno spettacolo di circo equestre. 14.LLOCO TE VOGLIO, ZUOPPO, A ‘STA SAGLIUTA Ad litteram: Lí ti voglio (vedere), zoppo, innanzi a questa salita (vediamo cosa saprai fare...). Locuzione che ricorda quasi il dantesco: Qui si parrà la tua nobilitate e che viene usata nei confronti di tutti i saccenti, supponenti millantatori che certamente crolleranno innanzi alle prime autentiche difficoltà, quando non saranno sufficienti per raggiungere un risultato le parole di cui i millantatori sono ricchi e vacui dispensatori, ma occorreranno invece i fatti che i soliti millantatori sono incapaci di produrre. 15.LEVAMMO ‘ACCASIONE Ad litteram: Togliamo l’occasione id est: facciamo in modo da non lasciare ad altri il destro di inopportuni interventi, rinunciamo magari a qualche piccolo vantaggio pur di non favorire la maldestra commistione di terzi, in faccende che non dovrebbero riguardarli. 16. LEVAMMO ‘A TAVERNA ‘A NANTE A CCARNEVALE. Ad litteram: Togliamo la taverna di davanti a Carnevale. Icastica locuzione di valenza simile alla precedente, ma con un piú marcato riferimento ad eventuali ipotetici eccessi alimentari che si potrebbero produrre se non si procedesse ad eliminare eventuali occasioni scatenanti detti eccessi. Un tempo la locuzione in epigrafe era usata ad esempio in tutte le case dove, preparata una buona torta, si correva il rischio che i bambini ne mangiassero continuatamente fino, forse ad incorrere in fastidiose indigestioni; in tali occasioni un adulto, provvedendo a metter la torta fuori della portata dei ragazzi , si esprimeva con la locuzione in epigrafe, usata in occasioni analoghe quando occorresse sottrarre qualcosa ad un utilizzo sfrenato ed incontrollato. 17. LEVÀTE ‘O BBRITO. Ad litteram: Togliete il vetro id est: Raccogliete, mettete via, lavate e riponete i bicchieri usati in quanto la giornata è finita e la mescita chiude.Secco comando che gli osti solevano dare ai garzoni nell’approssimarsi dell’ora di chiusura dell’osteria, affinché raccogliessero e lavassero i bicchieri usati dagli avventori, che - a quel comando dato dall’oste ai garzoni - capivano che dovevano abbandonare il locale; per traslato oggi la locuzione è usata ogni qualvolta si voglia fare intendere che si approssima la fine d’una qualunque operazione intrapresa e quindi occorre affrettarsi. 18.LEVÀ ‘A FRASCA ‘A MIEZO Ad litteram: togliere la frasca di mezzo; id est: cessare definitivamente un’ attività, togliersi di mezzo, sbaraccare; la locuzione richiama ciò che facevano gli antichi osti - con mescita specialmente in strade di campagna - i quali al momento della cessazione anche solo stagionale della propria attività solevano staccare dall’architrave della porta dell’osteria il telaio ligneo ricoperto di frasche che vi avevano apposto all’inizio della stagione per segnalare che in quella osteria era giunto il vino nuovo. A Napoli vi fu una strada un tempo periferica che proprio per la presenza di numerose osterie che inalberavano le frasche (segno che in quelle mescite si vedeva o serviva accanto al vino stagionato, anche vino nuovo) fu detta ‘a ‘Nfrascata; attualmente la strada è intitolata al poeta pittore Salvator Rosa ((Napoli, 21 o 22 luglio 1615 – † Roma, 15 dicembre 1673) 19. LILLO, LÉLLA Ô PERE ‘E SANT’ ANNA. Ad litteram: Lillo, Lélla al piede di sant’Anna.id est: prostrati ai piedi di Sant’Anna. Cosí con l’espressione in epigrafe vengono indicate tutte le coppie di coniugi anziani in ispecie quelli che si recano insieme a quotidiane funzioni religiose o anche quelle coppie di anziani che non ricevono mai visite di parenti od amici e si devono contentare della reciproca compagnia; la locuzione rammenta una coppia di attempati coniugi realmente esistiti e dimoranti in quella strada detta ‘a ‘nfrascata, coniugi che non si volevano rassegnare alla mancanza di figli e solevano recarsi in una cappella privata della zona a prostarsi davanti all’effige di sant’Anna per impetrare la grazia di un erede, ma restarono ugualmente soli. L’espressione in epigrafe nacque in origine come Lillo, Lélla e ‘o pere ‘e sant’ Anna con riferimento ad un’abitudine invalsa nel popolino di recarsi a venerare una presunta reliquia di Sant’ANNA (un piede!) conservato nella cappella della propria abitazione napoletana dal conte Giovan Battista di Tocco di Montemiletto[esponente d’una nobile famiglia feudale, insignita dell'ordine del Toson d'oro cheprese nome appunto dalla signoria di Tocco (da Casauria) da essa posseduta. Fiorì a Napoli, a Venezia, a Benevento, ecc. Si estinse nel ramo primogenito dei principi di Montemiletto (1613), e continuò nel ramo dei T. già despoti dei Romeni da quando Leonardo di T. fu inviato (1357) a conquistare la Romania, l'Epiro, l'Acaia da Filippo principe di Taranto, e ritornati nel 1517 in Italia sfuggendo all'occupazione di Maometto II abitazione ubicata appunto alla confluenza piú alta della strada detta ‘a ‘nfrascata; tale nobiluomo fu discendente del capostipite Guglielmo di Tocco che s’ebbe il titolo di conte di Montemiletto (Av) al tempo degli Angioini sotto Carlo III Durazzo. L’incredibile reliquia (oggetto della venerazione di creduli fedeli) era esposta dal conte in occasione della ricorrenza di sant’Anna (26 luglio) sull’altarino della propria cappella privata,ma nell’occasione della festa aperta ai visitatori; la reliquia era conservata in una preziosa teca di cristallo tempestata di gemme preziose, ma (a mio avviso) probabilmente si trattava – come è lecito supporre! - solo di un reperto artistico ligneo e/o di cartapesta che in quell’epoca (fine ‘500 principio ‘600) di smaccata credulità popolare era stata accreditata come una autentica reliquia; questo piede di sant’Anna faceva il paio con altra presunta reliquia (il bastone di san Giuseppe) protagonista d’un’altra espressione che suona 20. SFRUCULIÀ 'A MAZZARELLA 'E SAN GIUSEPPE Ad litteram: sbreccare il bastoncino di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo con continuità asfissiante. La locuzione si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento, sulle labbra di un servitore veneto posto a guardia di un bastone ligneo ceduto da alcuni lestofanti al credulone cantante lirico Nicola Grimaldi (Napoli 1673 - † ivi 1732). Debuttò all'età di dodici anni e divenne in seguito uno dei piú celebri cantanti evirati, prima con voce di soprano, poi con voce di contralto.), come appartenuto al santo padre putativo di Gesù. Il settecentesco celeberrimo cantante il 1° agosto del 1713 rientrò a Napoli da Venezia - dove aveva trionfato a “La Fenice” - convinto di recare con sé l’autentico bastone (la mazzarella) al quale San Giuseppe si era sostenuto nell’accompagnare la Madonna alla Grotta di Betlemme e che (stando almeno a quanto fa intendere Annibale Ruccello) si favoleggiava fosse efficace strumento per scacciare il Maligno dal corpo degli indemoniati. Espose dunque, in una nicchia ricavata nel salotto del suo palazzo (palazzo Cuomo) alla Riviera di Chiaia, il bastone e vi pose a guardia un suo servitore veneto con il compito di rammentare ai visitatori di non sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecule) della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià. Come si intende il verbo a margine è dunque un denominale che partendo dal s.vo latino frecula (pezzettino) addizionata in posizione protetica di una esse (distrattiva) è approdato a sfruculià/sfreculià passando attraverso una s (intensiva)+ il lat. volg. *friculiare=sfregare dolcemente, ma insistentemente fino a sbreccare in tutto o in parte l’oggetto dello sfregamento; chiaro ed intuitivo il traslato semantico da sfregare/sbreccare e l’infastidire. Normalmente, a mo' di ammonimento, la locuzione è usata come imperativo preceduta da un corposo NON. Torniamo alla locuzione di partenza per la quale si può ipotizzare che - correttamente! - l’originario Lillo, Lélla e ‘o pere ‘e sant’ Anna (Lillo, Lélla e il piede di sant’ Anna) sia stato trasformato in Lillo, Lélla ô pere ‘e sant’ Anna. (Lillo, Lélla al piede di sant’ Anna id est: Lillo, Lélla(prostrati) ai piedi di sant’Anna) quando ci si rese conto che il piede oggetto di venerazione non era una reliquia del corpo di sant’Anna, ma solo un pregevole (?) manufatto. 21. LEVARSE ‘A MIEZ’Ê BBOTTE Ad litteram: togliersi di mezzo ai, sottrarsi al pericolo dei fuochi artificiali. Id est: Defilarsi, sottrarsi ai rischi e/o pericoli e farlo vilmente magari in danno altrui. Da notare che con la voce bbotte nell’espressione in esame si intendono i fuochi d’artificio e non si intendono le percosse,(come improvvidamente ritiene qualcuno dei sedicenti addetti ai lavori del napoletano, ma colpevolmente a digiuno dell’autentica parlata napoletana nella quale ‘e bbotte non sono le percosse,ma i fuochi artificiali; è nell’italiano, non nel napoletano!, che le botte son sinonimo di percosse, e l’espressione in esame è napoletana non italiana e quindi chi opera la confusione tra le botte italiane e ‘e bbotte napoletane (che al sg. bòtta vale colpo,scoppio di fuoco artificiale o di arma da fuoco e per ampiamento semantico anche schianto, dolore improvviso, colpo apoplettico, ma non percossa!) è un asino calzato e vestito e non si può arrogare il diritto di sedere tra gli addetti ai lavori del napoletano! 22. SI SCAMPA ‘A CHESTI BBOTTE MASTU FRANCISCO NUN GHIESCE CCHIÚ ‘E NOTTE Ad litteram: Se esce (uscirà) indenne da questi colpi, mastro Francesco non esce (uscirà) piú di notte. Occorre far tesoro dell’esperienza e ripromettersi di non incorrere nei medesimi errori. Un tal non meglio identificato mastro Francesco aveva preso la pessima abitudine di recarsi a defecare nottetempo lungo il muro di cinta della casa d’ un suo vicino, fabbricante di fuochi artificiali; costui una notte per dissuaderlo lo accolse con una salva di fragorosi e pericolosi colpi di fuoco d’artificio ed il mastro Francesco si ripropose di tenere altro comportamente per non incappare in altre disavventure. Brak

STUFATO DI MANZO SAPORITO

STUFATO DI MANZO SAPORITO ingredienti e dosi per 6 persone 1,5kg. di spezzato misto (muscolo e spalla) di manzo adulto in pezzi di cm. 4 x 3 x 2, 1 costa di sedano tagliata a tocchetti, una cipolla dorata di Montoro affettata grossolanamente, 2 carote lavate, grattate e divise longitudinalmente in quattro parti, 250 grammi di pancetta tesa in cubetti da ½ cm. di spigolo, 1 foglia d’alloro, 1 bicchiere di olio di oliva e.v. p. s. a f. , farina q. s. sale fino q.s. - pepe nero q.s. – 1 peperoncino spezzettato 1 bicchiere e mezzo di vino bianco secco 500 gr. di polpa o passata di pomodoro fresco o in iscatola, 1 dado da brodo volendo: 6 etti di rigatoni o zite spezzati a mano (4 cm.) o maltagliati (altrove penne) rigati, 1 etto di pecorino grattugiato. Preparazione. In un tegame, basso ed abbastanza largo, fate soffriggere, in olio d'oliva, un trito di cipolle e carote con il sedano pulito e tagliato a pezzi, fino a che il sedano sia appassito, aggiungendo all'occorrenza mezzo bicchiere di vino che farete evaporare. Unite i cubetti di pancetta e lasciateli rosolare, ma non asciugare (15’) Quindi unite i pezzi di spezzato infarinati e fateli rosolare per circa 30 minuti, aggiungendo un bicchiere di vino, sale, pepe, peperoncino e la foglia d’alloro. Quando sarà evaporato il vino, aggiungete la polpa di pomodoro e un dado da brodo sbriciolato lasciando cuocere (2 – 3 ore circa) fino a che la carne non sia morbida ed il sugo un poco addensato. Servire lo spezzato ben caldo coperto di sugo con un contorno di patate fritte e/o verdure lessate. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente. P.S. Con il sugo di questo stufato si posson condire 6 etti di rigatoni, zite o maltagliati lessati al dente in acqua salata, conditi e serviti spolverizzati di pecorino grattugiato. Mangia Napule, bbona salute! raffaele bracale

STUPIDO E DINTORNI

STUPIDO E DINTORNI Tempo fa due giovani miei nipoti avevano in corso una loro disputa (per non ricordo bene quale questioncella), durante la quale il piú grande dei due gratificò l’altro d’una serie di contumelie dandogli in rapida successione dello scemo, stupido, cretino, imbecille, deficiente; sentendosi vilipeso il ragazzo mi chiese di intervenire per redarguire l’offensore, ma io non seppi dir di piú che:”Porta pazienza e consolati pensando che ti à offeso in lingua italiana; lo avesse fatto in napoletano, avrebbe potuto sotterrarti sotto una ben piú vasta e pesante coltre di contumelie!” E per tener dietro con degli esempi presi ad illustrare le voci partenopee che traducono le cennate voci italiane;lo faccio anche adesso qui di sèguito. Al solito diamo prima un rapidissimo sguardo alle parole italiane, per passare poi a quelle ben piú numerose della parlata napoletana; scemo: chi à o denota poco senno,; sciocco ed insulso etimologicamente deverbale dal latino ex-semare= privar della metà di qualcosa; comp. di ex via, da ed un deriv. di símis metà; stupido: chi denota stupidità, scarsa intelligenza e piú propriamente chi è proclive, anche senza motivo, a stupirsi; etimologicamentedal lat. stupidu(m), deriv. di stupíre 'stupire'; cretino: etimologicamente dal franco-provenz. crétin, propr. cristiano, che, usato dapprima nel significato di povero cristiano, poveraccio, à poi assunto valore spregiativo nel senso di stupido etc.; imbecille: che, chi à scarsa intelligenza: etimologicamente dal latino imbecille(m): debole fisicamente o mentalmente; deficiente: che, chi è intellettualmente e psichicamente inferiore alla media; etimologicamente dal latino deficiente(m) part. presente di deficere= mancare. E veniamo al napoletano ed alle sue numerose voci che rendono queste qui or ora elencate: alleccuto o alluccuto o anche locco: persona stupida, di aspetto poco intelligente; etimologicamente dal latino alucus per ulucus/ulluccus donde anche l’italiano allocco; abbunato agg.vo e s.vo maschile e solo maschile che connota propriamente lo sciocco, il babbeo aduso, propenso di sua natura al bene anche nelle occasioni meno propizie; etimologicamente è voce dal lat *ad+bonu(m) addizionato d’un suffisso verbale da part. pass.: ato per cui da ad+bonu(m)+ ato si perviene ad abbunato anchiòne: propriamente lo sciocco, il babbeo aduso a non discutere, ad accettar per buona ogni cosa, ad ubbidire, il tutto in linea con la sua etimologia che è dal latino anculus→anclu(m)→anchione(da cui il diminutivo femm. ancilla) = servo ; babbano: che è lo sciocco, il gonzo e – per dirla con Cicerone - l’uomo di nessun numero o conto; questo napoletano babbano à in babbaleo il corrispettivo toscano e, come questo, etimologicamente una radice greca in bambaliòn dal verbo bambalein=avere l’aria attonita ed incantata; babbio ed il suo accrescitivo, dispregiativo babbione: uomo sciocco e di poco cervello; etimologicamente dal latino bàblus sincopato di bàbulus=stolto; babbuasso: indica il credulone, lo scioccone, lo stupidone inveterato, quasi dispregiativo e peggiorativo del menzionato babbano; etimologicamente da collegarsi (tenendo presente appunto che il suffisso asso, corrispondente al toscano accio, à in napoletano valore dispregiativo) ad un latino volgare babbius← babejus che diede anche il toscano: babbeo; basciòscio donde anche i corrotti pachiochio/pachiochiero indicano tutti lo sciocco, rammollito, rimbambito e per estensione vuoto,smorto, privo di nerbo ; non di facile lettura l’etimologia: a bascioscio, ma piú ancora a pachiochio/pachiochiero non dovrebbe essere estraneo lo spagnolo chocho nell’accezione di molle,vuoto, ma non è peregrina l’idea che riporta il nostro bascioscio alla voce baciocco/occolo sorta di strumento sonoro di legno fatto a mo’ di scodella, dato ai fanciulli per giocarci, quale tamburello; in fondo il napoletano bascioscio connota lo sciocco vuoto di zucca; battilocchio s.vo ed ag.vo m.le e solo m.le denota 1la persona alta, dinoccolata, ma dall’aria svogliata, pigra, fiacca, inetta, inattiva, lenta; 2lo stupido che inceda quasi, con tutte le inevitabili, dure conseguenze negative, ad occhi chiusi, anzi bendati; originariamente il battilocchio etimologicamente dal francese: battant l’oeil fu una cuffia da donna, ampia cuffia le cui falde ricadevano sugli occhi; in seguito con la parola battilocchio si finí per indicare in una sorta di sineddoche, (piú che la cuffia) chi la indossasse, anche se lasciandosi trasportar dalla desinenza maschile si appioppiò all’uomo e non alla donna (che pure indossava la cennata cuffia) il termine battilocchio; rammento poi che con il termine a margine si indica anche 3 una frittella dolce di fior di farina e lievito allungata ed intrecciata cedevole e ripiegata su se stessa quasi come il bordo della cuffia suddetta. cacchio/cacchione: è lo sciocco, lo stupido che non à speranze di migliorare; costui viene appaiato al membro maschile inteso non come organo veicolo della riproduzione (in tal caso non sarebbe figura né dello sciocco, né dello stupido), ma come semplice e perciò sciocco veicolo dei liquidi scarti renali; etimologicamente come la parola cazzo, di cui sia cacchio che l’accrescitivo cacchione sono addolcimenti eufemistici, vengono – come altrove ricordai - da una voce gergale marinaresca greca akatiòn= albero della nave; caccialappàscere espressione verbale divenuta agg.vo e s.vo m.le; letteralmente sta per pastorello, bifolco, villano ed indica estensivamente l’inetto, lo sciocco, lo stupido che non à speranze di migliorare; in effetti la voce in origine si riferiva essenzialmente ai pastorelli come si evince esaminandola nella sua morfologia: 1)cacciala= caccial’a = menali a, conducili a 2) pàscere (dall’omonimo lat. pascere)= pascolare; “cacciali a pascere”= menali al pascolo era l’ordine impartito al suo garzone dal padrone del gregge, ordine che divenuto aggettivo e sostantivo finí per indicare tout court il pastorello,il bifolco, il villano ed estensivamente l’inetto, lo sciocco, lo stupido capace appena appena di menare un gregge. cannapierto: è lo stupido dall’aria melensa, che si guarda intorno con lo sguardo perso e la bocca aperta; il napoletano cannapierto stranamente, ma icasticamente piú che alla bocca fa riferimento all’organo ad essa collegato il canale della gola espressivamente reso con il termine canna, etimologicamente dal greco kànna originariamente kàna voce semita dall’ebraico qaneh; catàmmaro: è il sempliciotto, il babbeo che necessita quasi di esser accompagnato, portato mano nella mano; infatti etimologicamente la parola è una commistione greco/latino katà + manus = mano nella mano, come alibi: pedecatapede = passo dopo passo (da pedes+ katà+ pedes ); chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola, il bonaccione, il soggetto banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo piú che rienerlo (come fa lo Zazzera) un derivato di una non spiegata voce onomatopeica chia chia , si può supporre una base lat. cloac(u)la→clacla→chiachia + il suff.masch. iello(collaterale di ello, suffisso alterativo di sostantivi e aggettivi, con valore diminutivo o vezzeggiativo o spregiativo) oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca; chiafeo: antichissima voce maschile e solo maschile , quasi desueta che indica lo sciocco, il grullo, il melenso e per estensione il vuoto, molle, inespressivo; etimologicamente da collegarsi al greco kophòs = babbeo, attreverso l’aggettivo kophàîos; chionzo: voce di ampia diffussione tanto da ritrovarla nel comune lessico nazionale, sebbene in quest’ultimo con attinenza al solo aspetto fisico di una persona che sia bassa, grassa e tarchiata e dunque goffa; con la medesima accezione la voce la si ritrova nel dialetto lucchese dove è: chionso/pionso ed in quello calabrese dove è : chionzu; in napoletano la voce attiene piú che all’aspetto fisico, a quello intellettivo, connotando il rozzo babbeo, dall’aria attonita e distratta; etimologicamente la voce si fa risalire unanimemente ad un longobardo klunz= goffo, rozzo; chiòchiaro/ chiòchiero:s.vo ed agg.vo m.le antica voce ma ancóra viva nell’icastico linguaggio popolare, voce usata per indicare il melenso, sciocco babbeo di zucca vuota, accompagnandola per solito con un tipico gesto offensivo consistente nel far muovere, velocemente ed alternativamente l’avambraccio ruotandolo a dritta e mancina, tenendo la mano destra drizzata verso l’alto con le dita unite in modo che il polpastrello del pollice tocchi contemporaneamente tutti gli altri; etimologicamente piú che allo spagnolo chocho =molle, vuoto, pare che debba riferirsi al latino cochlea = conchiglia, considerata nel momento che sia vuotata del suo frutto;non è però da scartar l’ipotesi che la parola, giacché è usata anche per designare lo zotico villano, possa collegarsi alla voce chiochia che è variante di ciocia (= calzare rustico di antichissima origine, un tempo di uso comune tra i contadini e i pastori dell’Italia centro-meridionale; questo termine à per i piú un etimo sconosciuto,ma il DEI e precisamente il dottissimo prof. Giovanni Alessio, che curò la lettera C, vi lesse un lat. med. zocca (=zoccolo del cavallo),e penso si possa aderire all’ipotesi ); unendo il tipico suffisso di competenza aro/ero alla voce chiochia si arriva ai nostri chiòchiaro/chiòchiero; ciuccio letteralmente asino, ma per traslato cocciuto, ignorante e come nel caso che ci occupa stupido, sciocco, credulone s. m. quadrupede domestico da tiro, da sella e da soma, con testa grande, orecchie lunghe e diritte, mantello grigio e un fiocco di peli all'estremità della coda, ritenuto paziente e cocciuto nonché (ma non se ne intende il perché) ignorante;ancóra piú strano e non comprensibile il collegamento semantico che se fa a stupido, sciocco e credulone; varie sono le proposte circa l’origine della parola :chi dal lat. cicur= mansuefatto domestico; chi dal lat. *cillus da collegare al greco kíllos= asino; chi dallo spagnolo chico= piccolo atteso che l’asino morfologicamente è piú piccolo del cavallo; son però tutte ipotesi che non mi convincono molto; e segnatamente non mi convince quella che si richiama all’iberico chico= piccolo, a malgrado che sia ipotesi che appaia semanticamente perseguibile. Non mi convincono altresí, in quanto m’appaiono forzate, l’idee che il napoletano ciuccio sia da collegare o all’italiano ciuco o all’italiano ciocco. Vediamo: il ciuco della lingua italiana è sí l’asino ma nessuno spiega la eventuale strada morfologica seguita per giungere a ciuccio partendo da ciuco; d’altro canto non amo qui come altrove quelle etimologie spiegate sbrigativamente con il dire: voce onomatopeica oppure origine espressiva; ed in effetti la voce italiana ciuco etimologicamente non viene spiegata se non con un inconferente origine espressiva; allo stato delle cose mi pare piú perseguibile l’idea che sia l’italiano ciuco a derivare dal napoletano ciuc(ci)o anziché il contrario. Men che meno poi mi solletica l’idea che ciuccio possa derivare dall’italiano ciocco= grosso pezzo di legno e figuratamente uomo stupido, insensibile ed estensivamente ignorante e dunque asino. No, no la strada semantica seguita è bizantina ed arzigogolata: la escludo! In conclusione mi pare piú perseguibile l’ipotesi che la voce ciuccio vada collegata etimologicamente alla radice sciach dell’arabo sciacharà= ragliare che è il verso proprio dell’asino, secondo il seguente percorso morfologico: (s)ciach→ciuch→ciuccio; rammento che in siciliano l’asino è detto sceccu con evidente derivazione dalla medesima radice sciach dell’arabo sciacharà= ragliare. ferlocco ed il suo metatetico frellocco: voce in voga negli anni d’antan ed oggi quasi desueta, voce divertente che si usò per indicare lo sciocco citrullo che, a maggior disdoro fosse anche vanesio e privo di sostanza in linea con l’etimologia della parola che risulta dall’unione di un latino ferla = verga vuota con il precedente locco; fesso: esattamente lo sciocco balordo, senza una sua consistenza fisica e/o morale, in tutto in linea con il suo etimo dal latino fissus part. pass. del verbo findere =spaccare, dividere; fogliamolla: non ci si lasci ingannare dalla desinenza femminile: la parola è un aggettivo sostantivato invariabile e lo si riferisce, senza alcuna variazione desinenziale, sia all’uomo che alla donna: ‘nu fogliamolla o ‘na fogliamolla nel significato di persona sciocca e neghittosa nonché molle tal quale la tenera foglia da cui deriva ed a cui è rassomigliata ; etimologicamente è voce del tardo latino: folia + molle(m); voce che semanticamente si attaglia, a chi di costituzione manchi di saldezza fisica, ma è usato altresí in riferimento a chi abbia poca forza, energia morale, non riuscendo mai a sostenere i propri convincimenti o le proprie idee, lasciandosi continuamente travolgere dagli antagonisti. gliògliaro: antica voce ormai desueta che un tempo fu usata quale corruzione (ma nel medesimo significato, e medesime modalità) del precedente chiòchiaro. lasagna e l’accrescitivo lasagnone nonché il composto pappalasagne (mangialasagne): antiche voci (non dimentichiamo che con il soprannome di lasagna il re Ferdinando II Borbone soleva appellare suo figlio Francesco II e non perché costui – come inesattamente riportato da certa frettolosa aneddotica postunitaria,pseudo-storica – fosse goloso dell’omonima pietanza, quanto perché il re riteneva suo figlio – sia pure ingiustamente – inetto e d’intelligenza poco pronta) con le quali si designavano anche con valenza bonaria, il bietolone, gracile e non molto sveglio, dal carattere cedevole ed accondiscendente, la cedevolezza che si ritrova nell’impasto di uova e farina da cui si ricava la sfoglia per trarne lasagne etimologicamente dal greco lagaròs = floscio, molle; mammalucco: ad un dipresso lo sciocco impenitente, dall’aria frastornata, tal quale il precedente cannapierto; etimologicamente questo mammalucco è dall’arabo mamluk = schiavo, soldato prigioniero; mamozio: illustrai già abbondantemente alibi la voce a margine, intesa come designante persona (adulto e/o ragazzo) inceppata nei movimenti o nell’espressione a mo’ di fantoccio o di pupazzo o anche di figurina mal scolpita o incisa e piú estensivamente individuo torpidamente imbambolato tale da apparire di duro comprendonio, e parlai della sua etimologia che risulta essere, checché ne dicano i proff. Cortelazzo e Marcato nel loro Dizionario dei dialetti italiani, la corruzione del nome Mavorzio da riferirsi ad una enorme, quantunque acefala, statua del IV sec. d. C. raffigurante il nobile puteolano FLAVIO EGNAZIO LOLLIANO QUINTO MESIO MAVORZIO, pretore urbano, proconsole della provincia dell’ Aquila e candidato questore, statua che fu appunto ritrovata a Pozzuoli nel corso (1704) degli scavi per l’erigenda chiesa di san Giuseppe; l’inesperto scultore chiamato al restauro della statua acefala la corredò di una testa tanto piccola da risultare sproporzionata e per giunta dall’aria melensa; i puteolani impiegarono un nonnulla per trasformare il nome MAVORZIO in mamozio accreditandolo della stupidità suggerita dal volto della piccola (segno di scarso contenuto di cervello) testa indegnamente restaurata; - mammuoccelo: che è propriamente l’uomo dall’aria melensa ed attonita denotante mancanza di intelletto, stupidità; etimologicamente da collegarsi come corruzione diminutiva al toscano bamboccio e dunque a bambo che in origine indicò l’infante ed in seguito lo sciocco e lo stupido; - messere: altra voce antica ed ormai desueta, di sapore ironico, voce che nel significato ironico di stupido, sciocco e credulone non si ritrova che in qualche poeta d’antan ( ad es.: E. Murolo che in una sua gustosa canzone di cui ora mi sfugge il titolo, lo usa ironicamente appunto in luogo di becco, affermando che una donna supera, se intende tradirlo, tutte le pastoie approntatele dal proprio uomo, giungendo, metaforicamente, a fumarselo e a farlo messere id est becco in quanto l’uomo è sciocco, stupido e credulone); la voce, ò detto è ironica, pur se etimologicamente starebbe per mio signore, mio sire risultando esser composta dal provenz.: mes=mio +sere/sire=signore; - moscammocca: l’ignavo, lo scioccone, l’allocco tanto irresoluto ed immoto da starsene perennemente a bocca aperta tanto da permettere addirittura che le mosche vi passeggino dentro entrando ed uscendo ad libitum; va da sé l’etimologia che fotografa l’atteggiamento di questo ignavo aduso a portarsi la mosca in bocca che è l’esatta traduzione di moscammocca (mmocca infatti è: in+bocca ); mucchione: è propriamente non il bambino, ma l’adolescente o anche l’adulto fatto cosí sciocco, melenso, inetto tanto da non esser capace o non avvertire la necessità di ripulirsi del moccio che gli coli dal naso; etimologicamente da qualcuno si vorrebbe correlare la voce ad un generico latino murcus>murcius =stolto, ma – rammentato quanto appena detto - penso che non è o sarebbe scorretto pensare ad un deverbale del latino muccare che è da muccus= moccio, catarro; tuttavia non è da scartare neppure l’ipotesi che mucchione sia l’accrescitivo, dispregiativo di mucchio(che è da un latino cumulus >muculus>muc’lus>mucchio) nel senso di uomo grosso e grasso e dunque stolto e sciocco tenendo presente il luogo comune partenopeo per il quale: ommo gruosso bubbelis es = l’uomo grosso è sciocco , dove il maccheronico bubbelis è corruzione di bàblus sincopato di bàbulus=stolto; - - ntòntaro/ntonto : propriamente lo stupido, il melenso ed il perennemente frastornato; voce in doppia lezione [di cui la seconda è semplificazione della prima] di tutta l’area mediterranea: la si ritrova anche in Sicilia: ‘ntòntaro, in Sardegna: dòndaro oltre che in Portogallo e Spagna dove è solo tonto tal quale l’italiano tonto; per tutte le voci l’etimologia è latina: tonitus = stordito come chi è colpito dal tuono; cfr.il toscano attonito; - ‘ntruglione : propriamente il bietolone dal viso inespressivo, incapace di discernere; non bisogna dimenticare infatti che la parola ‘ntruglione non è che l’accrescitivo di ‘ntruglio che non è il toscano intruglio= mescolanza di sostanze diverse, ma è, gastronomicamente, l’intestino d’agnello abbondantemente speziato e avvolto strettamente su sé stesso al segno di non poterlo piú dipanare, cotto su braci ardenti; - ‘nzallanuto ed il derivato zallo (caro al commediografo Raffaele Viviani, vocabolo che per quanto mi sia affannato a ricercare, non ò trovato che solo nell’Alfabeto napoletano dell’amico Renato De Falco) che significano l’uno il confuso, lo stordito, l’altro lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú;etimologicamente ambedue le voci sono da collegarsi piú che al latino in-sanire, al greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente; a meno che il vocabolo zallo, non sia corruzione di tallo (che è dal lat. tàllus, forgiato sul greco tallòs; di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto e ben potrebbe per traslato indicare con la sua tenera consistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo; - papurchio: è lo stolto inveterato che, a maggior disdoro, sia anche poco prestante fisicamente; etimologicamente deriva dal latino baburculu-m, diminutivo di un baburcu-m= stolto e melenso;questo l’iter morfologico: baburculu-m→ baburc(u)lu-m→baburclum→baburchio→papurchio. - purpetta: evidente traslato dispregiativo e non perché la polpetta da cui purpetta non sia cibo gustoso e saporito,in ispecie se fritta e non cotta al forno, ma, in quanto preparato con carne trita, si presta al concorso di piú residui di tagli di carne anche non pregiati presenti sul banco del macellaio, che intrugliandoli può conferire una preparazione anche di scarto, come di scarto viene a dimostrarsi il soggetto gratificato della voce a margine; - rapesta: altro paragone dispregiativo di cui vien gratificato l’uomo inetto e dappoco, come dappoco è la rapa (latino: rapa←rapum)selvatica che lo rappresenta; - scapucchione: epiteto per solito riferito a ragazzo dalla testa grossa, ma ovviamente vuota, ed estensivamente all’adulto che si ostini a restare ragazzo, non venendo a capo mai di nulla, né quanto a comprensione, né quanto ad azioni; voce violentemente ironica ed offensiva forgiata com’è quale accrescitivo intensivo (vedi la solita prostesi della iniziale esse,intensiva ed il suffisso one) della parola capocchia (che è dal latino capuclum←capiclum per capitulum diminutivo di caput) che nel napoletano indica però il glande, testa notoriamente poco atta al raziocinio; - scatozza: precisamente: ignorante, babbeo, scioccone; si tratta di una antica voce, ormai però abbondantemente desueta, nata in ambito teatrale dove fu il nome proprio di un ridicolo personaggio goffo, sciocco, stupido ed ignorante; uscito dall’ambito teatrale il termine trasmigrò come aggettivo in quello letterario dei poeti partenopei secenteschi, e da esso entrò nel linguaggio comune; - sciabbecco: precisamente il bietolone, lo sciocco, lo stupidone aduso a piegarsi ad ogni vento, come che mentalmente vuoto e privo d’ogni opinione e/o cognizione; in origine lo sciabecco (dal turco sumbeki, attraverso un arabo šumbûk) indicò un lungo e stretto naviglio, veloce, ma – per la sua esile consistenza – facilmente preda dei venti e dei marosi; - sciacqualattuca inetto, incapace, sciocco colui che al massimo può essere utilizzato in compiti di nessuna importanza, apparentemente semplicissimi come quello di lavare la verdura; in effetti la voce risulta formata agglutinando la voce verbale sciacqua ( qui 3° p. sg. ind. pres. dell’infinito sciacqare/sciacquà=lavare sommariamente con acqua; lavare con acqua una cosa già lavata per toglierne i residui di detersivo o di sapone;dal Lat. tardo exaquare, deriv. di aqua 'acqua') con la voce lattuca = lattuga s. f. 1 pianta erbacea coltivata negli orti, le cui foglie larghe e tenere si mangiano in insalata (fam. Composite) | lattuga di mare, alga marina dal tallo increspato, di color verde chiaro (fam. Ulvacee). 2 gala di merletto o di tela inamidata e increspata, che gli uomini portavano per ornamento sul davanti delle camicie; gorgiera; l’etimo della voce napoletana, come quella italiana è dal lat. lactuca(m), deriv. di la°c la°ctis 'latte', per il liquido lattiginoso che secerne; il sign. 2, per sovrapposizione di lattuga allo sp. lechuga - sciaddeo/sciardeo : esattamente lo sciocco,l’inetto l’incapace buono a nulla e per estensione talora smorto, pallido,vuoto; rammenterò qui che sciaddeo/sciardeo son la medesima parola: nella seconda si è verificato il fenomeno del parlato popolare di rotacizzare la prima d, ma la parola è la stessa; per quanto riguarda l’ etimologia di sciaddeo escludo a priori che la si debba riferire al nome dell’apostolo Giuda Taddeo che con sciaddeo à solo una tenua assonanza, non risultando da nessuna sacra scrittura (vangeli – atti degli apostoli – lettere etc.) che il suddetto Giuda Taddeo fosse uno sprovveduto o un incapace, e propendo per il verbo greco skedao= comportarsi da sbandato e/o sprovveduto; ancora ricorderò che dal femm. di sciardeo,cioè da sciardea si trasse il diminutivo sciardella nel significato di donna inetta, di casalinga incapace di fare i donneschi lavori di casa con attenzione e secondo i crismi dovuti; a Napoli è 'na sciardella la casalinga che lavi le stoviglie, facendosele scappare di mano e rompendole, che lavi i pavimenti con poca acqua, che spolveri superficialmente, che riponga gli abiti in modo raffazzonato, cosí che riprendendoli uno li trovi stazzonati e gualciti al punto di non poterli indossare, una donna insomma inetta ed inaffidabile, una sbadata patentata. Esiste anche un peggiorativo del termine ed è sciuazza, peraltro addolcimento – attraverso l’epentesi di una efelchistica u – di un’originaria sciazza (che è dal latino ex-apta=inadatta)inteso troppo duro o volgare; - sciamegna/sciamenchia: e cioè lo sciocco, il grullo, l’allocco; la parola, con un arzigogolo mentale, trasferisce una probabile deficienza corporale ad una ben piú grave deficienza mentale: etimologicamente infatti la parola deriva da un (mo)scia + megna o(mo)scia + menchia dove megna/menchia stanno ovviavente per minchia (che è dal latino méncla collaterale di mèntula diminutivo di menta = membro maschile) nella pretesa che un uomo impossibilitato o incapace di avere un’erezione debba esser uno sciocco, uno stupido o un allocco; - scialabbacchione: di per sé il balbuziente che come incapace di farsi capire, è conseguentemente stupido e sciocco; etimologicamente la parola è un deverbale del latino ex-alapare = balbettare; - sciosciammocca: come altrove, anche questo sciocco, credulone, facilmente circuibile, nasce come personaggio del teatro popolare partenopeo ed agí in numerose piéces comiche fino a quando il famosissimo commediografo Eduardo Scarpetta (Napoli 1853 -1925, padre naturale dei fratelli De Filippo: Eduardo, Titina e Peppino)non se ne impossessò, facendone una sua creazione, rendendolo protagonista – col nome di Felice o Feliciello Sciosciammocca - di innumerevoli pocàde, molte delle quali tratte da originali francesi; dal teatro poi il nome sciosciammocca, diventato aggettivo dilagò nel parlato partenopeo; preciso qui che la parola sciosciammocca sebbene abbia ad un dipresso il medesimo significato della precedente moscammocca, non va confusa con essa in quanto la precedente fa riferimento a qualcuno che per ignavia lascia addirittura che le mosche gli passeggino in bocca, questo sciosciammocca a margine identifica colui che per ignavia ed inettitudine avrebbe bisogno di chi gli soffiasse in bocca per raffredare i bocconi troppo caldi che avesse ingurgitato; smocco ed il suo accrescitivo smuccone connotano il medesimo individuo sciocco, melenso, inetto di cui al precedente mucchione al quale vanno riferiti come intensivi, intensività rappresentata dalla solita prostesi della esse; stòteco/stuóteco/a : agg.vo e s. m.le o f.le letteralmente ( con derivazione etimologica da un incrocio delle voci latine stu(ltum) + (idio)ticu(m)) è 1lo/a stolto/a,il/la rimbambito/a, lo/la stordito/a 2 per ampliamento semantico incostante, incerto/a,insicuro/a, lunatico/a indeciso/a, irresoluto/a, dubbioso/a, esitante, titubante, tentennante. stucchione/strucchione: propriamente il perticone, lo spilungone inteso come vuoto di mente o – per l’eccessiva altezza – perennemente con la testa nelle nuvole e quindi svagato e stupido; etimologicamente stucchione/strucchione provengono al napoletano, attraverso uno spagnolo estuche da un antico provenzale estug = canna secca e perciò vuota; - tòtaro che sta per tòtano: originariamente un mollusco della specie dei calamari; il fatto che sia un mollusco à fatto pensare ad una sorta di mollezza caratteriale dell’uomo gratificato del termine tòtaro (etimologicamente da un greco teythís attraverso un latino tòtilus con normale cambio delle liquide l→r), quantunque di per sé il tòtano non sia sempre vuoto (come invece lo stupido cui si appaia) ed anzi venga quasi sempre preparato abbonbantemente imbottito (‘o totaro ‘mbuttunato) rammenterò a margine che con la parola tòtaro, nel comune parlato napoletano, con altra valenza, si indica pure il membro maschile eretto, al segno che nella smorfia napoletana al numero 67 è codificato: ‘o tòtaro dint’ â chitarra a significare il coito in atto; - turzo: per significare lo sciocco, lo stupido completamente inutile, anzi da scartare tal quale il torsolo (per solito poco edibile) di ortaggi o torsolo di altro; in napoletano infatti ‘o turzo non è solo il torsolo di cavolfiore o broccolo, ma si ànno anche: ‘o turzo ‘e bbotta: il residuo di un fuoco d’artificio combusto, e ancòra ‘o turzo ‘e penniello: ciò che resta di un pennello da barba lungamente usato, perciò logoro ed inutile; tutti questi turzi sono inutilizzabili, da buttar via e – per traslato – stupidi, sciocchi etc. etimologicamente turzo è dal latino tursus = stelo, gambo; - zimeo: siamo giunti alla fine della nostra elencazione e ci imbattiamo in una parola che serve ad indicare il finto tonto colui che in perfetta malafede, fa ‘o francese o se veste ‘a fesso facendo le viste di non capire o di non comprendere per esimersi dal compiere qualcosa cui invece (o per dovere o graziosità) sarebbe tenuto; per cui piú che con uno sciocco si à a che fare con un ignobile furbastro; etimologicamente zimeo risulta essere una popolaresca contrazione d’un zio (zi’) (Bartolo)meo personaggio non meglio identificato, ma ricordato nel comune popolare come un avaro aduso a non addivenire mai a conferimento di danaro, trincerandosi dietro la scusa di non aver capito. Raffaele Bracale -

ARRAPATO COMME A ‘NA SCIGNA

ARRAPATO COMME A ‘NA SCIGNA Ad litteram: Sessualmente eccitato al pari di una scimmia Espressione usata iperbolicamente per burlarsi di chi non riuscendo a dominarsi si mostri costantemente su di giri, acceso, agitato anche quando le circostanze non lo richiedano; ancòr piú l’espressione si attaglia a chi non sa porre un freno al proprio istinto ed alla prima occasione proprizia faccia le viste di essere cosí tanto infoiato/a da non potersi frenare ed esser costretto/a quasi a dare spettacolo di sé tal quale uno scimpanzé di sesso maschile aduso a soddisfarsi, anche onanisticamente, senza alcuna remora coram populo et ceteris. Va da sé che l’agitazione che è propria delle scimmie antropomorfe è presa a riferimento per schernire chi sia molto eccitato anche non sessualmente. arrapato è il part. pass. usato anche come agg.vo dell’infinito arrapà (arrapare) che è v.bo tr.vo di origine meridionale,pervenuto anche nel lessico italiano sia pure come voce volgare. [denominale del lat. rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi considerato come f.le sg.in senso maliziosamente allusivo alla durezza dell’ortaggio] = eccitare sessualmente; piú spesso usato come intr. o intr. pron. (arrapà, arraparse, fà arrapà), eccitarsi sessualmente; quantunque sia piú comunemente usata al maschile (arrapato= eccitato ) nulla vieta che la voce sia coniugata anche al f.le (arrapata= eccitata) quantunque l’eccitazione maschile meglio si presti in pratica ad esser rappresentata dalla turgidità della rapa! scigna s.vo f.le = scimmia; voce deriva dal lat. simia→simja, con un consueto passaggio di s+ vocale a sci: (cfr. alibi semum→scemo) e con passaggio di mj a gn (come in ca(m)mjare→cagnà). Brak

sabato 2 marzo 2013

VARIE 2288

1 -TENÉ 'A PAROLA SUPERCHIA Ad litteram: tenere la parola superflua. Detto di chi parli piú del dovuto o sia eccessivamente logorroico, ma anche di chi, saccente e suppunente, aggiunga sempre un' ultima inutile parola e nell'àmbito di un colloquio cerchi sempre di esprimere l'ultimo concetto, perdendo -come si dice - l'occasione di tacere - atteso che le sue parole non sono né conferenti, né utili o importanti, ma solo superflue. 2 -TENÉ 'A PÓVERA 'NCOPP' Ê RECCHIE Ad litteram: tenere la polvere sulle orecchie Icastica locuzione usata a Napoli per indicare chi sia o - solo - sembri, per la voce e/o le movenze, un diverso accreditato di avere le orecchie cosparse di una presunta polvere , richiamante quella piú preziosa, in quanto aurea ,che usavano gli antichi effeminati dignitarii messicani e/o peruviani cosí apparsi ai conquistatori ispanici. La locuzione in epigrafe, a Napoli viene riferita ad ogni tipo di diverso, sia al ricchione (pederasta attivo), che al femmeniello (pederasta passivo). 3 - TENÉ 'A PUZZA SOTT' A 'O NASO Ad litteram: tenere ilpuzzosotto il naso Detto di chi, borioso, tronfio e schizzinoso assuma un atteggiamento di ripulsa, quello di chi avendo un puzzo sotto il naso, non lo tollerasse. 4 TENÉ A UNO APPISO 'NCANNA o anche PURTÀ A UNO APPISO 'NCANNA Ad litteram: tenere uno appeso alla gola o anche portare uno appeso alla gola Locuzione dalla doppia valenza: positiva e negativa; in quella positiva si usa per significare di avere una spiccata preferenza per una persona, quasi portandola al collo a mo' di preziosa medaglia benedetta; nella valenza negativa la locuzione è usata per indicare una situazione completamente opposta a quella testé segnalata, quella cioé in cui una persona generi moti di repulsione e di fastidio a mo' di taluni pesanti, tronfi monili che messi al collo, finiscono per infastidire chi li porti.Chiarisco qui che per meglio determinare la valenza della locuzione, quella positiva è segnalata dall'uso del verbo purtà (portare), quella negativa dall'uso del verbo tené (tenere). 5 -TENÉ A QUACCUNO APPISO ALL'URDEMO BUTTONE D''A VRACHETTA Ad litteram:tenere qualcuno appeso all'ultimo bottone della apertura anteriore dei calzoni. Id est: Avere e mostrare aperta repulsione nei confronti di qualcuno al segno di considerarlo fastidioso elemento da poter - figuratamente - sospendere, per vilipendio, all'estremo bottone della brachetta anteriore dei calzoni. 6 -TENÉ A QUACCUNO 'NCOPP' Ê PPALLE Ad litteram:tenere qualcuno sui testicoli Id est: Cosí si esprime chi voglia fare intendere di nutrire profonda antipatia ed insofferenza nei confronti di qualcuno al segno di ritenerlo, sia pure figuratamente, assiso fastidiosamente sui propri testicoli. 7 -TENÉ 'A SARÀCA DINT' Â SACCA o anche TENÉ 'A QUAGLIA SOTTO Ad litteram:tenere la salacca in tasca o anche avere la quaglia sotto Icastiche locuzioni, usate alternativamente per indicare la medesima cosa e cioè quella di trovarsi in una incresciosa situazione tentando inutilmente di nasconder qualcosa ; nel primo caso infatti è impossibile celare di avere in tasca una maleodorante salacca ; il suo puzzo l'appaleserebbe subito; nella variante è ugualmente improbo, se non impossibile nascondere di essere affetto da una corposa, voluminosa ernia (quaglia) inguinale . 8 -TENÉ 'A SCIORTA 'E CAZZETTA: JETTE A PISCIÀ E SE NE CADETTE Ad litteram:tenere il destino di Cazzetta: si dispose a mingere ed il pene cadde in terra. Divertente locuzione usata però a bocca amara da chi voglia significare di essere estremamente sfortunato e perseguitato da una sorte malevola al segno di non potersi iperbolicamente permettere neppure le piú normali funzioni fisiologiche, senza incorrere in gravi, irreparabili disavventure quali ad es. la perdita del pene. 9 -TENÉ 'A SCIORTA D''O PIECORO CA NASCETTE CURNUTO E MURETTE SCANNATO Ad litteram:tenere il destino del montone che nacque becco e morí squartato. Locuzione che, come la precedente viene usata da chi si dolga del proprio infame destino, qui rapportato a quello del montone che nato cornuto (per traslato: tradito) finisce i suoi giorni ucciso. 10 -TENÉ 'A SALUTE D''A CARRAFA D''A ZECCA Ad litteram:tenere la salute (consistenza) della caraffa della Zecca. Id est: essere molto cagionevoli di salute al segno di poter essere figuratamente rapportati alla estrema fragilità della ampolla di sottilissimo vetro, (la cui capacità era di litri 0,727= ampolla che marcata, tarata e conservata presso la Regia Zecca Napoletana era la unica atta ad indicare la precisa quantità dei liquidi contenutied alla sua capacità dovevano uniformarsi le ampolle poste in commercio. 11 -TENÉ 'A VOCCA SPORCA Ad litteram:tenere la bocca sporca Détto di chi, per abitudine parli facendo uso continuato ed immotivato di volgarità e/o parole sconce ed oscene al segno da restarne figuratamente con la bocca sporcata. 12 - TENÉ 'E CHIRCHIE ALLASCATE Ad litteram:tenere i cerchi allentati Detto di chi, vacillandogli la mente, sragioni o abbia vuoti di memoria, alla stregua di una botte che per essersi allentati i cerchi contentivi delle doghe, vacilla e perde il liquido contenuto. 13 -TENÉ 'E GGHIORDE Ad litteram:tenere la giarda Cosí ironicamente si usa dire di chi, pigro, infingardo e scansafatiche mostri di muoversi con studiata lentezza, tardo e dolente all'opera, quasi come i cavalli che affetti dalla giarda ne abbiano le giunture e il collo delle estremità ingrossati al punto da esserne impediti nei movimenti. 14 -TENÉ 'E LAPPESE A QUADRIGLIÈ P''A CAPA Letteralmente: Avere le matite a quadretti per la testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà lappese a quadrigliè è la corruzione dell'espressione latina lapis quadrellatum a sua volta corruzione parlata del classico lapis quadratum (o anche opus reticulatum); il lapis quadratum o lapis quadrellatum (donde lappese a quadriglié) fu un’antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno,ed il vertice verso l'interno, di piccole piramidi di tufo o altra pietra , per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente.Questa costruzione richiedeva notevole precisione, applicazione ed attenzione con conseguente sforzo mentale tale da procurare fastidio e ... mal di testa per la tensione ed il nervosismo, quelli che figuratamente sono indicati con la locuzione a margine.Ricorderò che erroneamente qualche scrittore di cose napoletane chiama in causa le matite o lapis propriamente detti, ed in particolare una pubblicità d'inizio del 20° secolo che mostrava una testa su cui erano conficcate a mo' di raggiera delle matite laccate a quadrettini neri e bianchi; ma atteso che la locuzione in epigrafe è molto antecedente all'epoca di quando furono commercializzate le matite( ca. 1790), ne discende che l'ipotesi è da scartare. 15 - TENÉ 'E PPALLE QUADRATE Ad litteram:tenere i testicoli quadrati. Icastico ed iperbolico modo di dire usato ad encomio di chi appaia nel proprio agire solerte, pronto ed attento, dotato di efficaci capacità mentali e/o operative attribuite all'inusuale quadratura dei suoi testicoli che risultano sia pure figuratamente non banalmente sferici, ma addirittura cubici richiamanti quella quadratura indice di facoltà mentali e/o operative superiori alla media. 16 -TENÉ 'E PECUNE Ad litteram:tenere i pichi Espressione che con valenza positiva viene riferita a coloro che sebbene giovani di età, si mostrino moralmente cresciuti, intelligenti e capaci di operare al di là del presagibile, quasi che non siano gli imberbi adolescenti che l'anagrafe dice, ma a mo' degli uccelli prossimi a metter le piume, mostrino di avere, figuratamente, sparsi per il corpo quei pichi propedeutici negli uccelli allo spuntar delle piume 17 -TENÉ 'E PAPPICE 'NCAPA Ad litteram:tenere i tonchi in testa Id est: sragionare, non connettere. Locuzione usata nei confronti di coloro che con parole o atti adducano nei rapporti interpersonali, ragionamenti non consoni, assurdi, sciocchi e pretestuosi, quasi fossero generati da teste i cui cervelli fossero assaliti e lesi nelle capacità raziocinanti dai tonchi quei minuscoli insetti che talora infestano i cereali in genere e la pasta in particolare. 18 - TENÉ 'E PPIGNE 'NCAPO Ad litteram:avere le pigne in testa. Locuzione di identica valenza della precedente, usata però quando si voglia intendere che la mancanza di raziocinio è ritenuta esser dovuta ad una ipotetica violenza subíta, come potrebbe esser quella di sentirsi cadere in testa i duri stròbili del pino. 19 -TENÉ 'E RRECCHIE 'E PULICANO Ad litteram:tenere le orecchie di pubblicano Locuzione dalla duplice valenza usata sia per indicare sia dotato di udito finissimo , sia - piú spesso - per indicare coloro che stiano sempre, con l'orecchio teso attenti ad ascoltare ciò che accade a loro intorno, vuoi per informarsi, vuoi per non lasciarsi cogliere impreparati, comportandosi alla medesima stregua degli antichi esattori pubblici: pubblicani di cui pulicano è corruzione, pronti ad ascoltar qualunque cosa venisse detta in giro sul conto di chiunque, per non lasciarsi sfuggire un eventuale contribuente. 20- TENÉ 'E RRECCHIE PE FINIMENTE 'E CAPA Ad litteram:tenere le orecchie per guarnimento della testa. Divertente locuzione di portata esattamente contraria alla precedente, che viene usata nei confronti di chi sia cosí duro d'orecchio da fare ritenere i loro padiglioni auricolari buoni solo per agghindare la testa. 21 -TENÉ FATTO A QUACCUNO Locuzione impossibile da tradurre ad litteram, usata da chi voglia fare intendere di avere completamente in pugno qualcuno, di tenerlo nella propria disponibilità, avendolo quasi plagiato. 22-TENÉ ARTETECA Ad litteram:stare in agitazione continua Detto soprattutto di ragazzi irrequieti, instabili e vivaci in perenne movimento, incapaci di star fermi in un luogo e adusi a stender le mani su tutto ciò che capiti nei loro pressi.La parola arteteca, etimologicamente viene da un tardo latino: arthritica con il significato nella restante parte dello stivale di artrite. mentre nell'Italia meridionale vale irrequietezza quella che ad un dipresso si può cogliere in chi affetto da artrite si agita in continuazione nel tentativo di trovare una posizione antalgica per lenire i fastidiosi dolori muscolari che l’artrite comporta. 23 - TENÉ 'MMANO Ad litteram: tenere in mano id est: attendere, rimandare, procrastinare, quasi trattenendo nelle mani ciò che vorrebbe esser fatto súbito. 24 -TENÉ 'MPONT' Ê DDETE Ad litteram: tenere(qualcosa) sulla punta delle dita; id est: essere pienamente padrone d'un'arte o mestiere, conoscendone a menadito la strada ed i tempi da seguire per ottenere degni risultati o anche essere tanto esperto di una materia , conoscerla cosí bene da averla quasi come propria impronta digitale quella che si ricava appunto dalle punte delle dita. 25 -TENÉ 'NA PIONECA 'NCUOLLO Ad litteram: tenere una miseria addosso; id est: essere o ritenersi di essere perseguitati dalla malasorte , quasi vessati dalla sfortuna che si è quasi attaccata addosso a mo' di seconda pelle. 26 -TENÉ N' APPIETTO 'E CORE Ad litteram: avvertire una compressione toracica id est: trovarsi in uno stato di angoscia, essere ansiosi al punto di avvertire il cuore pulsare tachicardicamente nel petto, quasi comprimendosi contro la gabbia toracica. 27 -TENÉ 'NU CHIUVO 'NCAPA Ad litteram: tenere un chiodo in testa id est:avere un'idea fissa che preoccupa ed affanna tenuta per iperbole a mo' di chiodo confitto in testa. 28 -TENÉ 'NFRISCO A QUACCUNO Ad litteram: tenere in fresco qualcuno id est: fare attendere qualcuno prima di provvedere ai suoi bisogni o desideri , oppure anche solo prima di prestargli ascolto, lasciarlo in sospeso, senza curarsene, come di un cibo che d'estate, prima d'esser consumato venga messo a refrigerare. 29-TENÉ 'NU PÍSEMO 'NCOPP'Ô STOMMECO/VERNECALE Ad litteram: tenere un peso sullo stomaco id est: avere la sgradevole sensazione di portare un peso sullo stomaco, peso rappresentato - per solito - da una grave contrarietà ricevuta e risultata metaforicamente indigesta, sí da avvertirne il relativo peso sullo stomaco. 30 -TENÉ 'O BBALLO 'E SAN VITO Ad litteram: essere affetto da còrea ed estensivamente essere o mostrarsi irrequieto ed instabile . 31 - TENÉ 'O CULO A BUTTIGLIONE, A MAPPATA, A PURTERA, A MANDULINO Ad litteram: avere il culo a forma di bottiglione, di pacco, di portiera, di mandolino. Cosí, in vario modo si suole alludere alle diverse configurazioni del fondoschiena femminile; la forma piú - diciamo - pregiata è ritenuta l'ultima: quella che arieggia la struttura del mandolino; le altre tre forme si riferiscono alla medesima sgraziata forma d’un fondoschiena eccessivamente vasto tale da potersi volta a volta raffigurare come un bottiglione (grossa bottiglia di grande capacità), o come una mappata ( ampio inviluppo di panni)(ed in tale accezione si fa riferimento non solo al fondoschiena femminile di donne adulte, ma anche a quello degli infanti spesso avviluppati nei pannolini) o infine come una purtera (vasto sportello). 32 -TENÉ 'O CULO A TTRE PPACCHE Ad litteram: avere il culo a tre natiche Atteso che la cosa è anatomicamente impossibile, la locuzione è usata ironicamente, a mo' di dileggio di ogni spocchioso, borioso saccente e supponente che si ritenga titolare di eccezionali doti e talenti fisici o morali che in realtà non esistono, come è inesistente un culo con tre natiche; la locuzione è però usata altresí con una punta d’invidia nei confronti di chi sia cosí fortunato da essere appunto accreditato d’avere un fondoschiena (pensato sede della buonasorte) vastissimo ed addirittura a tre natiche! 33 -TENÉ 'O CUORIO A PESONE Ad litteram: avere le cuoia a pigione id est: essere costretti a vivere a rischio continuo, in modo precario, nelle mani della malasorte, in un clima di continua incertezza, come chi - non essendo proprietario di alloggio, sia costretto a prenderne uno in pigione al rischio di vedersi improvvisamente messo fuori dal proprietario. 34 -TENÉ 'O FFRÀCETO 'NCUORPO Ad litteram: avere il fradicio in corpo id est: portarsi dentro, tentando di non appalesarle, ingenti carenze intellettive o morali, o - piú spesso - pessime inclinazioni; va da sè che ci sia poco da fidarsi di chi abbia tali carenze o inclinazioni. 35 -TENÉ 'O PIZZO SANO E 'A SCELLA ROTTA Ad litteram: avere il becco integro e l'ala rotta Détto ironicamente di chi sia sempre pronto a prendere, ma accampi scuse per esimersi dal dare . Al di là del significato traslato, la locuzione si riferisce di per sé a chi sia sempre pronto a mangiare e restio a lavorare. 36 - TENÉ 'E PPEZZE Ad litteram: avere le pezze id est: essere ricco, disporre di molto danaro, atteso che qui il termine pezza non sta a significare: straccio, ma - appunto - moneta; rammenterò che al tempo dei Borbone, nel Reame di Napoli la pezza era una ben identificata, grossa moneta d'argento detta anche piastra del valore di ben 15 carlini; l’essere in possesso di tante piastre o pezze era indice di grande ricchezza. 37 -TENÉ 'E FRUVOLE PAZZE DINT' Ô MAZZO Ad litteram: avere le folgori pazze nel sedere Riferito soprattutto a ragazzi irrequieti e chiassosi, recalcitranti ai freni ed in quanto tali ritenuti titolari di folgori pazze (tipo di fuochi artificiali)allocate nel sedere, che con il loro scoppiettío, costringono i ragazzi a non stare fermi e ad agitarsi continuamente. 38 -TENÉ 'E SETTE VIZZIE D''A ROSAMARINA Ad litteram: avere i setti vizi del rosmarino Detto iperbolicamente di chi non sia ritenuto titolare di alcuna virtú, anzi - al contrario - di troppi vizi ; tra i quali sono considerati anche le eccessive voglie, i desideri, le richieste pressanti in ispecie quelle di taluni incontentabili ragazzi, ma anche di qualche adulto di sesso femminile. La pianta del rosmarino, arbusto aromatico che viene molto usato in cucina , ma anche sfruttato in erboristeria per la produzione di profumi, ed in farmacopea - per le sue capacità terapeutiche, è ritenuto però ricca di vizi, che se non sono sette come affermato nella locuzione in epigrafe, son comunque tanti: è pianta che brucia con difficoltà , fa molto fumo e poca fiamma e dunque non riscalda, quando brucia, contrariamente a ciò che avviene normalmente, putisce ed irrita fastidiosamente gli occhi con il suo fumo. 39 -TENÉ 'O SFUNNOLO Ad litteram: avere lo stomaco sfondato Detto iperbolicamente di chi sia cosí tanto vorace ed insaziabile da mangiare continuatamente ad immettendo tantissimo cibo nello stomaco, senza mai satollarsi, quasi che lo stomaco fosse sfondato e non fosse possibile riempirlo mai. 40 -TENÉ 'O STOMMACO 'MPIETTO E 'O VELLICULO Ô PIZZO SUJO. Ad litteram: avere lo stomaco nel petto(id est: nel torace) e l'ombellico al suo (giusto) posto. Detto ironicamente di chi lamenti continui,gravi (ma - in realtà –inesistenti) malanni. brak

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1 -VUJE VEDITE Ô PATATERNO! Ad litteram: Voi guardate(ponete attenzione) al Padre Eterno!(cosa mi à comminato!) Espressione/invito che contravvenendo il 2° comandamento viene spesso usata con un moto di delusione e/o rammarico quando non addirittura di rabbia, nell'osservare e/o prender coscienza di sgraditi accadimenti che ci colgano di sorpresa e che si pensa provengano dal Cielo e se ne provi molta meraviglia, mai pensando che il celeste Padre potesse o avesse potuto chiamarci a quelle difficili prove.Rammento che in napoletano, contrariamente a quanto fanno la maggior parte degli autori partenopei, che però sono a digiuno delle regole grammaticali dell’idioma partenopeo diverse ed autonome rispetto a quelle della lingua nazionale, cui invece essi si ispirano, il complemento oggetto se animato è sempre introdotto da una A segnacaso che fondendosi per crasi con l’articolo determinativo del complemento determina volta a volta ô = a+’o, â= a + ‘a, ê = a + ‘e. 2 -VULÉ FOTTERE E SBATTERE 'E MMANE o anche VULÉ PISCIÀ E GGHÍ 'NCARROZZA.altrove ancóra VULÉ FOTTERE E VASÀ Ad litteram: voler coire ed applaudire o anche voler mingire ed andare in carrozza o anche ancóra voler coire e baciare; espressioni usate alternativamente per indicare la sciocca idea di chi voglia conseguire nello stesso momento due risultati antitetici e perciò non conciliabili; nella prima espressione è sottintesa la posizione c.d. del missionario nella quale le mani sono impegnate a sostenere il corpo e dunque non possono applaudire; la variante rammenta uno dei frequenti motivi di litigio tra i passeggeri ed i vetturini da nolo, i quali - in ispecie durante le corse notturne dovevano a loro malgrado, arrestare spesso la vettura per permettere ai passeggeri che lo richiedevano di provvedere ai loro bisogni fisiologici: naturalmente la faccenda, ripetendosi spesso, comportava perdite di tempo sgradite ai vetturini, sempre alenanti a principiare nuove corse; nella terza espressione si prendono in esame due comportamenti inconciliabili quali il coito(ma orale) ed il bacio. 3 -VULÉ PISCIÀ TUTTE DINT'Ô RINALE oppure VULÉ PISCIÀ TUTTO DINT'Ô RINALE Ad litteram: voler minger tutti nell'orinale oppure voler mingere completamente nell’orinale ; in ambedue i casi le espressioni stanno per : pretendere l'impossibile; infatti non a tutti è concesso di fare tutte le medesime cose, come non è possibile che tutti possano mingere nell'orinale, qualcuno dovrà contentarsi di farlo all'aperto e - come i cani - contro il muro. Nell’altra espressione si manifesta l’acclarata certezza che orinando non si può depositare tutto l’orina nel pitale; inevitabilmente si finisce per versarne fuori una parte! piscià voce verbale (infinito) = orinare, mingere derivata dal tardo lat. pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià; rinale s.vo m.le = orinale, pitale, piccolo vaso da notte; voce dal lat. *urinale(m)→rinale per aferesi della u diventata o e deglutinata in quanto inteso articolo: *urinale(m)→ orinale(m)→ ‘o rinale. 4 - VULÉ VEDÉ MUORTO A QUACCUNO Ad litteram: voler vedere morto qualcuno id est: odiare tanto qualcuno al segno di voler assistere alla di lui morte. 5 -VULÉ VENNERE ZIZZA 'E VACCA PE TARANTIELLO Ad litteram:voler vendere mammella di mucca per insaccato di tonno id est: tentare di imbrogliare qualcuno in maniera palese e spudorata, come chi tentasse di cedere in vendita la vile mammella vaccina per il piú pregiato e costoso insaccato di tonno detto tarantiello perché prodotto largamente nel circondario della città di Taranto. 6 -VULESSE DDIO! Ad litteram:lo volesse Iddio! È l’utinam latino. Id est: magari!, Piacesse al Cielo che accadesse! 7- VUTÀ CÀNTARE Ad litteram:vuotare vasi di comodo. Détto di chi insiste continuamente e fastidiosamente a partecipare agli altri i propri guai, le proprie angosce,i propri malanni che nella locuzione vengono assimilati a putescenti grossi pitali sversati non in mare ma coram populo quasi ai piedi altrui. Càntere s.vo m.le plur. di càntaro o càntero alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)! 8 -VUTTÀ 'E MMANE Ad litteram: buttare le mani id est: sbrigarsi, attivarsi sollecitamente e procedere con uguale sollecitudine per portare a compimento celermente un lavoro, agitando all'uopo le mani in un finalizzato moto. 9 -VUTTÀ FUOCO P''E RRECCHIE Ad litteram: gettare fuoco per le orecchie Detto di chi per essere esageratamente nervoso ed arrabbiato si dimostri eccitato se non esagitato iperbolicamente emettendo per le orecchie l'ipotetico fuoco che cova dentro di sé. 10-VUTTARSE SOTT' Â BANNERA Ad litteram:buttarsi sotto la bandiera Detto di chi, per vile opportunismo è solito schierarsi con il piú forte, mettendosi sotto la di lui bandiera, e ciò quando ancora ferve una mischia; peggiore il caso ricordato altrove dove lo schierarsi avviene a mischia conclusa, a risultato acquisito e si balzi allora sul carro del vincitore. 11 -ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte. 12 -ZITTO E MMOSCA! Ad litteram:silenzio assoluto! Ordine perentorio rivolto genericamente intorno, affinché tutti tacciano completamente al segno che si possa udire il volo d'una mosca. 13 -ZOMPA CHI PO’, DICETTE 'O RANAVUOTTOLO Ad litteram: Salti chi puó, disse il ranocchio; gli altri si contentino del proprio stato ed accettino la loro condizione che, a causa dell'età o per sfavorevoli congiunturali condizioni, non permette loro di raggiunger traguardi allettanti o beate evasioni; questo è il senso della locuzione in epigrafe con la dispettosa espressione posta sulla bocca di un altrettanto dispettoso ranocchio che avendo ricevuto in sorte la possibilità di saltare, si prende giuoco di chi non può farlo. 14 -ZUCÀ A DDOJE ZIZZE Ad litteram:succhiare da due mammelle Detto di chi, ingordo, avido, insaziabile quando non prevaricante, pretende di ottenere, non si sa come, doppi insperati vantaggi o di ricavare danaro, magari estorcendolo da piú fonti . 15 -ZÚCATE 'O FRANFELLICCO Ad litteram: súcchiati il bastoncino di zucchero; detto a mo' di soddisfatto commento della gradevole situazione in cui si trovi qualcuno che per essergli occorsi tutti favorevoli accedimenti, non gli resti che beatamente goderli gustandosi golosamente il franfellicco: gustoso bastoncino di zucchero filato variamente insaporito, da leccare passeggiando. Talvolta però la locuzione è usata in senso completamente opposto, quando si voglia significare a qualcuno: ti è andata male... ora non ti resta che succhiare il franfellicco, usato - in questa valenza - eufemisticamente in luogo di una intuibilissima parte anatomica maschile; in tale seconda valenza piú spesso si adopera l'espressione: zúcate 'o limone (súcchiati il limone ) con evidente riferimento al gusto acre dell'agrume che richiama la spiacevolezza della situazione andata male. Zúcate voce verbale = súcchiati (2° p. sg. imperativo dell’infinito zucare/à = succhiare (zucare/à etimologicamente è un denominale di sucus attraverso un *sucare) da notare che l’accento ritratto sulla prima sillaba indica che si tratta di 2° p. sg.; la 2° p. pl. sarebbe stata zucàte. Franfellicco s.vo m.le = bastoncino di zucchero filato variamente insaporito, da leccare passeggiando; in senso furbesco: membro maschile(etimologicamente marcato per metatesi sul francese fanfreluque).La voce a margine fu usata icasticamente nel senso di bene di cui profittare, in una canzoncina di anonimo, molto popolare e databile tra la fine del 1700 ed i principi del 1800( quando ne riferí, con divertito gusto, persino il Goethe(Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – †Weimar, 22 marzo 1832) che l’udí durante il suo viaggio in Italia; nella canzoncina, con riferimento all’invasione francese, si disse: Vi’ quant’è bbello Napule, pare ‘nu franfellicco; ognuno vène, allicca, arronza e se ne va! 16 -.ZUMPÀ ASTECHE E LLAVATORE Ad litteram: saltare tra lastrici solai e lavatoi ; id est: andar su e giú perdendo tempo. Detto di chi, eterno perdigiorno, dedichi il suo tempo non ad impegni lavorativi o di studio, ma lo trascorra bighellonando senza una precisa meta, ascendendo i lastrici solai(asteche pl. di asteco dal greco ast(r)akon), posizionati in vetta alle abitazioni, o frequentando i lavatoi posti in basso, nei pressi dei cortili delle suddette abitazioni. 17 -ZUMPÀ 'A LL'ASTECO Â FENESTA Ad litteram: saltare dal lastrico solaio alla finestra. Detto di chi manchi di ogni lineare coerenza e o tenga un comportamento continuamente oscitante ed indeciso o, piú spesso, tenga un modo di discorrere, non facilmente comprensibile atteso che non segua un filo logico e coerente, ma si avventuri in circonvoluzioni ardite ed indecifrabili. 18 -ZUMPÀ COMME A N'ARILLO Ad litteram:saltare come un grillo; detto con, non sempre velata, invidia di chi pur essendo già avanti con gli anni goda di tanta buona salute che gli consente una ipercinecità tale da poterla paragonare a quella di un grillo insetto noto per il suo continuo saltellare. 19 -ZUMPÀ 'NCOPP' Ê CCANNUCCE Ad litteram:saltare sulle cannucce id est: vivere pericolosamente e perciò in continuo timore, come chi lo faccia muovendosi e saltando su risibili, piccole e sottili canne con il pericolo continuo di sprofondare . 20 -N’HÊ ‘A MAGNARTÉNE FURNE ‘E PANE! Iperbolica, ironica icastica espressione che tradotta ad litteram vale: “Devi mangiarne forni di pane!” Id est: Devi mangiare (ancóra) tantissimo pane... (prima di poter ritenere di esserti affermato, prima d’essere all’altezza della situazione, prima di poter esprimere un parere su di un argomento, prima di aver dimostrato di valere qualcosa e prima di poter aspirare ad una posizione di preminenza)! L’espressione viene usata, come si evince, ironicamente ed a mo’ di ammonimento rivolta a chi arrogantemente, pur essendo alle prime armi, presuma di bruciare le tappe ritenendosi e proponendosi come esperto o navigato nei piú svariati campi dello scibile, dell’azione o -piú in generale - del vivere quotidiano! Brak

VARIE 2286

1 - QUANNO ‘A GATTA NUN CE STA ‘E SURECE ABBALLANO Quando il gatto non c’è i sorci ballano Id est:quando è assente il capo o il superiore tutti i sottoposti, siano figli o studenti o impiegati o operai ne profittano, facendo il proprio comodo e contravvenendo alle previste regole comportamentali. 2 - QUANNO ‘A MUGLIERA È BBONA E ‘O MARITO È CHIACHIELLO, SPONTANO SEMPE ‘E CCORNE Quando una moglie è procace e piacente ed il marito è sciocco o bonaccione, spuntano sempre le corne Id est:la moglie procace e sfrontata d’un marito fesso e credulone, prima o poi lo tradirà. chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola, il bonaccione, il banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo si può supporre una base lat. cloac(u)la + il suff.masch. iello oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca; 3 - QUANNO ‘A PALLA FA TTA-TTÀ, O SÎ STRUNZO O NUN SAJE JUCÀ Quando la palla rimpalla (fa tta-ttà) o sei uno sciocco o non sai giocare. Locuzione proverbiale in uso tra i giocatori di biliardo con la quale si assicura che il giocatore che con il suo colpo induca la propria palla a rimpallare ripetutamente con un’ altra o è uno stupido o – piú probabilmente – è incapace di giocare; per estensione la locuzione è usata tutte le volte che si voglia accusare di inettitudine chi non riesce a portare a buon fine un’operazione, confondendosi anche in mancanza di conclamati intralci. strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica e figuratamente persona stupida, odiosa etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco'; 4.'A CARNE SE JETTA E 'E CANE S'ARRAGGIANO. Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe. 5.'A VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO. Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo,in napoletano trapanaturo (deverbale del greco trypân) l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo. Trapanaturo s.m. = aspo, strumento girevole che serve per avvolgere in matassa un filato; la voce napoletana trapanaturo deriva dal gr. trypanon, deriv. di trypân 'forare/girare', mentre la voce italiana aspo deriva dal gotico *àspa. 6. JÍ ZUMPANNO ASTECHE E LAVATORE. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi dal greco astrakon= coccio: l’impiantito dei solai era formato con cocci di anfore e/o lapillo vesuviano;) ed in basso (i lavatoi (da un lat. tardo lavatoriu(m), deriv. di lavare 'lavare')erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. 7. PARE CA MO TE VECO VESTUTO 'A URZO. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso (giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle.). La frase viene usata a sarcastico commento delle azioni iniziate da qualcuno ritenutotanto inetto al punto da non poter portare mai al termine ciò che intraprende.Sovente l’espressione è pronunciata preceduta da un esclamatorio Ahé! 8. 'O CUCCHIERE 'E PIAZZA: TE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TE LASSA CU 'O CHI T'È MMUORTO. Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie (dantoti dell’)'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. 9. JÍ CASCIA E TURNÀ BAUGLIO OPPURE JÍ STOCCO E TURNÀ BACCALÀ. Letteralmente: andar cassa e tornare baúle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baúle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. 10. TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO! Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipico dei fanciulli, ma pure degli adulti afflitti dalla sindrome di Peter Pan, soggetti tutti che rifiutano l’idea che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e non si rassegnano ad ammettere il fatto che tutto debba essere accettato; il termine frusta lla discende dal greco froutà-froutà col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 11.HÊ 'A MURÍ RUSECATO DA 'E ZZOCCOLE E 'O PRIMMO MUORZO TE LL'À DA DÀ MAMMÈTA Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola (dal lat. sorcula) che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare 12.MA TE FOSSE JIUTO 'O LLICCESE 'NCAPO? Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso cosí le facoltà raziocinanti del... fiutatore. 13. 'A FATICA D''E FRACETE SE VENNE A CARO PREZZO. Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro. Id est: chi à scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi per modo da spaventare e distogliere il committente dalla sua richiesta d'opera. 14.DALLE E DDALLE 'O CUCUZZIELLO ADDEVENTA TALLO. Letteralmente: dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male, come a cogliere zucchini continuamente non ne restano che le foglie. Il tallo (dal lat. tàllu(m), dal gr. tàllós 'germoglio', deriv. di thállein 'fiorire')è la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata o gustosa della zucchina che già di suo non è molto saporita. 15. QUANN'È PE VIZZIO, NUN È PECCATO! Letteralmente: Quando dipende da un vizio, non è peccato. A prima vista parrebbe che la locuzione si ponga agli antipodi della morale cristiana che considera peccato anche i vizi, soprattutto i capitali; ma tenendo presente che il vizzio(correttamente scritto con due zete in napoletano) della locuzione è il vitium latino, ovvero il mero difetto,errore si comprenderà la reale portata della frase che scusa la cattiva azione generata non per dolo, ma per mero difetto o errore. 16. PASSASSE LL'NGELO E DICESSE: AMMENNE! Letteralmente: Possa passare un angelo e dire "Cosí sia!" La locuzione usata come in epigrafe con il congiuntivo ottativo la si adopera per augurarsi che accada qualcosa, sia nel bene che nel male; usata con l'indicativo à finalità imprecativa, mentre usata con il passato remoto serve quasi a spiegare che un determinato accadimento, soprattutto negativo è avvenuto perchè, l'angelo invocato è realmente passato ed à con il suo assenso prodotto il fatto paventato da taluno e augurato invece da un di lui nemico. 17. VA TRUVANNO: 'MBRUOGLIO, AIUTAME. Letteralmente: va alla ricerca di un imbroglio che lo soccorra. Cosí a Napoli si dice di chi in situazioni difficili e senza apparenti vie di scampo, si rifugi nell'astuzia, nell'inganno, in situazioni ingarbugliate rimestando nelle quali spera di trovare l'aiuto alla soluzione dei problemi 18. PARE PASCALE PASSAGUAJE. Letteralmente: sembra Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti.Il nome Pasquale usato nell’espressione è mutuato da un tal Pasquale Barilotto personaggio del teatro pulcinellesco di A. Petito, personaggio comicamente perseguitato continuamente da malasorte ed affanni, spesso solo paventati ma in realtà inesistenti. 19. PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA. Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt. 20.MEGLIO A SAN FRANCISCO CA 'NCOPP' Ô MUOLO. Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporrti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco,nei pressi di porta Capuana a Napoli, in quello che era stato il convento francescano dei cosiddetti monaci di sant’Anna e sino a non molto tempo fa ospitavano gli uffici della pretura, erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato. 21. FÀ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA. Letteralmente: far di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa. 22. FÀ TRENTA E UNA TRENTUNO. Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò, senza che ce ne fosse necessità o urgenza, un trentunesimo. 23.ESSERE CARTA CANUSCIUTA. Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve. 24. ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE. Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato. 25. 'O RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LLE DETTE 'NA NOCE. Letteralmente : il regalo che fece Beerta alla nipote: aprí la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per sottolineare l'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res. 26. 'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO. Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche. 27. AMICIZIA STRETTA, SE SPEZZA CU 'NA MAZZA. Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza (solo) con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; occorrono gravi ed importanti ragioni per troncare un’autentica amicizia, che non viene meno per futili motivi. 28. TANNO SE CHIAMMA GRANO, QUANNO STA 'INT' Â VOTTA. Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: per potersi vantare di taluni risultati, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura. 29.TRE CCALLE E MMESCAMMÉCE. Letteralmente: tre cavalli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che, con pochissima spesa, ama intromettersi nelle faccende altrui, per dire la sua. Il tre ccalle era una moneta di infimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo rampante, poi simbolo della città di Napoli, da cui per contrazione ca(va)llo prese il nome di callo, ed al plurale calle La locuzione significa: con poca spesa ci si interessa delle faccende altrui. 30. CHI SE FA MASTO, CADE DINT' Ô MASTRILLO. Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare. masto = maestro, mastro (dal lat. magistru(m)→ma(gi)st(r)u(m)→masto, deriv. di magis 'di piú, molto' mastrillo = trappola per topi ( dal lat. mustriculu(m). 31. TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MMARIA. Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente. 32. CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA ‘O MMAGNATO. Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri! 33. PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce, pagliaccio inglese d’un circo venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e/o moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto. 34. FÀ COMME A SANTA CHIARA CA DOPP' ARRUBBATA CE METTETERO 'E PPORTE 'E FIERRO. Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti in danno della antica chiesa partenopea. 35. 'A CAPA 'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA. Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. E' il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla. 36. NUN TENÉ VOCE 'NCAPITULO. Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione non à nè l'autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla. 37. MENARSE DINT' Ê VRACHE... Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano la bestia. 38. CHI POCO TÈNE, CARO TÈNE. Letteralmente: Chi à poco, lo tiene da conto. Id est: il povero non può essere generoso 39. LASSA CA VA A FFUNNO 'O BASTIMENTO, ABBASTA CA MÒRONO 'E ZZOCCOLE. Letteralmente: lascia che affondi la nave, purchè muoiano i ratti. Con questa locuzione si suole commentare l'azione spericolata di chi è disposto anche al peggio pur di raggiungere un suo precipuo, improcrastinabile scopo; proverbio nato nell'ambito marinaresco tenendo presente le lotte che combattevano i marinai con i ratti che infestavano le navi. 40. NCE VONNO CAZZE 'E VATECARE PE FÀ FIGLIE CARRETTIERE Letteralmente: occorrono membri da vetturali per generare figli carrettieri Id est: per ottenere i risultati sperati occorre partire da adeguate premesse; addirittura nella locuzione si adombra quasi la certezza che taluni risultati non possano essere raggiunti che per via genetica, quasi che ad esempio il mestiere di carrettiere non si possa imparare se non si abbia un genitore vetturale di bestie da soma... Vatecare s.m. pl. di vatecaro= vetturale, carrettiere che trasporta merci, che guida bestie da soma; quanto all’etimo è un denominale dell’agg.vo lat. viaticus=relativo al viaggio 41. SI MINE 'NA SPORTA 'E TARALLE 'NCAPO A CHILLO, NUN NE VA MANCO UNO 'NTERRA Letteralmente: se butti il contenuto di una cesta di taralli sulla testa di quello non ne cade a terra neppure uno (stanti le frondose ed irte corna di cui è provvista la testa e nelle quali, i taralli rimarrebbero infilati). Icastica ed iperbolica descrizione di un uomo molto tradito dalla propria donna. 42. MUNTAGNE E MUNTAGNE NUN S'AFFRONTANO. Letteralmente: (Solo) le montagne non si scontrano con le proprie simili. È una velata minaccia di vendetta con la quale si vuol lasciare intendere che si è pronti a scendere ad un confronto anche cruento, stante la considerazione che solo i monti sono immobili... 340. FACCIA 'E TRENT'ANNE 'E FAVE. Letteralmente: faccia da trent'anni di fava. Offesa gravissima con la quale si suole bollare qualcuno che abbia un volto poco rassicurante, da galeotto, dal quale non ci si attende niente di buono, anzi si paventano ribalderie. La locuzione fu coniata tenendo presente che la fava secca era il cibo quasi quotidiano che nelle patrie galere veniva somministrato ai detenuti; i trent'anni rammentano il massimo delle detenzione comminabile prima dell'ergastolo; per cui un individuo condannato a trent'anni di reclusione si presume si sia macchiato di colpe gravissime e sia pronto a reiterare i reati, per cui occorre temerlo e prenderne le distanze. 44.SPARÀ A VRENNA. Letteralmente: sparare a crusca. Id est: minacciare per celia senza far seguire alle parole , i fatti minacciati. L'espressione la si usa quando ci si riferisca a negozi, affari che si concludono in un nulla di fatto e si ricollega ad un'abitudine dell'esercito borbonico i cui proiettili, durante le esercitazioni, erano caricati con crusca, affinchè i colpi non procurassero danno alla truppa che si esercitava. Vrenna s.f. = crusca, residuo della macinazione dei cereali costituito dagli involucri dei semi; è usato soprattutto come alimento per il bestiame | (pop.) lentiggini. La voce napoletana vrenna è da un lat. med. brinna, mentre la voce italiana crusca è dal germanico *kruska. 45. 'E SCIABBULE STANNO APPESE E 'E FODERE CUMBATTONO. Letteralmente: le sciabole stanno attaccate al chiodo e i foderi duellano. L'espressione è usata per sottolineare tutte le situazioni nelle quali chi sarebbe deputato all'azione, per ignavia o cattiva volontà si è fatto da parte lasciando l'azione alle seconde linee, con risultati chiaramente inferiori alle attese. 46. 'A TAVERNA D''O TRENTUNO. Letteralmente: la taverna (bettola, osteria dal lat. taberna(m)) del trentuno. Cosí, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle piú disparate ore, pretendendo che venga servito loro un veloce pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola del contado napoletano, situata in quel della zona vecchia di Pozzuoli in via san Rocco (oggi 16), all’insegna : Taverna del trenta e trentuno che prendeva il nome dal civico dove era ubicata e che aveva due ingressi contigui: ai civici 30 e 31, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte 47. 'A VACCA, PE NUN MOVERE 'A CODA SE FACETTE MAGNÀ 'E PPACCHE DÊ MOSCHE. Letteralmente: la mucca per non voler muovere la coda, si lasciò mangiare le natiche dalle mosche. Lo si dice degli indolenti e dei pigri che son disposti a subire gravi nocumenti e non muovono un dito per evitarli alla stessa stregua di una vacca, bestia notoriamente inadatta al lavoro, escluso quello di lasciarsi mungere, bestia accidiosa che assalita dalle mosche per non sottostare alla fatica di agitare la coda, lascia che le mosche le pizzichino il fondo schiena! E che la vacca sia bestia inadatta al lavoro è confermato nel detto che segue. 48. ZAPPA 'E FEMMENA E SURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA. Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra. 49. TRASÍ O PASSÀ CU 'A SCOPPOLA. Letteralmente: entrare o passare con lo scappellotto. Id est: entrare in teatro o altri luoghi pubblici come musei o pinacoteche o mostre artistiche senza pagare e senza le necessarie credenziali: biglietti o inviti. La locuzione fotografa il benevolo comportamento di taluni custodi che son soliti fare entrare i ragazzi senza pagare il dovuto, spingendoli dentro con un compiacente scappellotto. Per traslato la locuzione si attaglia a tutte quelle situazioni dove gratuitamente si ottengono benefíci per la magnanimità di coloro che invece dovrebbero controllare. brak