mercoledì 27 febbraio 2013
LISCEBBUSSO/ LISCIABBUSSO
LISCEBBUSSO/ LISCIABBUSSO
Questa volta, su sollecitazione d’un frequentatore di questo BLOG, frequentatore di cui mi sfugge il nome, mi soffermo a parlare delle voci in epigrafe o meglio del sostantivo partenopeo liscebbusso attestato anche come lisciabbusso, con una piccola variante morfologica, voce che appartiene anche ai linguaggi siculi e calabresi ( dove è liscibussu/liscebusso);
Ora sia che si tratti di liscebbusso o lisciabbusso o anche liscibussu/liscebusso la parola vale sempre rabbuffo e poi ramanzina molto energica, strapazzata, paternale, rampogna, sgridata fino a giungere estensivamente anche solenne bastonatura.
Prima di addentrarmi su etimo e semantica della parola in epigrafe faccio notare che essendo attestata nel parlato di napoletani, calabresi e siciliani (ma non mi stupirei di ritrovarla anche sulla bocca di pugliesi e lucani) è fuor di dubbio che la voce sia nata nel meridione d’Italia, quantunque sul web mi è occorso di leggere testualmente da un giornalista e cioè tal Sergio Di Giorgi (che non mi risulta essere un meridionale, ma non chiedetemene di piú) la seguente affermazione : personalmente "lisciabusso" lo uso e lo sento usare in contesto italiano col significato di "aspro rimprovero, strigliata”. Se dunque è degno di fede quel tal Di Giorgi, comincio a sospettare che la voce meridionale liscebusso/lisciabusso sia usata non solo nel meridione, ma anche altrove e non farà meraviglia se prima o poi finirà per essere accolta nella lingua nazionale come già sta accadendo per il verbo partenopeo rizelare/rizelarsi = adontarsi (vedi alibi) e come da lunga pezza è avvenuto per voci quali: guaglione,guappo, vongola,scarola, sfogliatella, camorra etc.tutte voci in origine del napoletano, poi trasmigrate nell’italiano.
Ciò détto entro in medias res circa l’etimo e la semantica della voce a margine.
È fuor di dubbio e me lo confermano quei pochi vocabolaristi napoletani (Altamura, D’Ascoli, Malato,de Falco) che prendono in considerazione la voce (quantunque nessuno di essi, con mia somma meraviglia, azzardi un’idea o un percorso semantico...) è fuor di dubbio dicevo che la voce sia mutuata dal linguaggio dei giocatori di tressette (antichissimo giuoco di carte nato nel Reame (1700 circa cfr. Chitarrella, prete napoletano che nel 1750 pubblicò la prima edizione di un suo trattatello, scritto in latino e poi tradotto in napoletano, con le regole del mediatore, del tressette e dello scopone. ) e dal Reame diffusosi non solo in Italia ma anche in altre aree geografiche come in Croazia (dove si gioca nelle aree costiere e sulle isole con il nome croato di trešeta(palese adattamento di tressette, utilizzando carte triestine), in Slovenia e in altre nazioni dove la sua diffusione fu dovuta per lo piú o alla presenza di comunità di immigrati originarie dei paesi dove il gioco è praticato, o piú anticamente ad opera di marinai e/o pescatori napoletani o della provincia partenopea). Rammenterò, per quei pochi che non lo conoscessero e per poter illustrare l’origine della voce a margine,che nel predetto giuoco la carta con il maggior valore (1 punto) è l’asso, mentre tutte le figure e le carte ad esse equiparate (2 e 3) valgono solo 1/3 di punto cadauna e che l’asso pur di valore superiore, può esser catturato o dal 2 o dal 3; rammenterò altresí che a malgrado si dica che il giuoco del tressette ( che per incidens, à tale nome perché in origine per vincere la partita occorreva vincere tre mani totalizzando in ognuna sette punti: tre per sette = ventuno che sono i punti necessari per vincere la partita...giocata con le regole di base e senza sciocchi arzigogoli quali i punti di accusa che vengono assegnati, in aggiunta a quelli lucrati sul campo, a quei giocatori in possesso delle carte migliori. Questa faccenda di assegnare punteggi aggiuntivi a chi abbia già carte buone, anzi buonissime, se non migliori mi pare una delle cose piú stupide che si possa pensare o ideare; mi spiego: un giocatore per sua buona sorte ( e dico buona sorte in luogo di mazzo o culo) per parlare eufemisticamente... è già in possesso di carte che gli assicureranno numerose prese e quasi certamente la vittoria finale,invece di comminargli un punteggio di handicap, gli si assegna ad abundantiam un ulteriore vantaggio di un punteggio suppletivo. Non ci siamo! È una faccenda cosí stupida che mi à fatto non amare mai il tressette e mi à fatto preferirgli sempre e comunque il giuoco dello lo scopone scientifico!... Ma questo è un altro paio di maniche...; torniamo a bomba. ) Dicevo che a malgrado si dica che il giuoco del tressette sia stato ideato da muti, oggi nel corso della partita si parla e talvolta anche eccessivamente... In effetti in origine ai giocatori era consentito segnalare al proprio compagno ed ovviamente agli avversari, il possesso di alcune carte, solamente con dei segni ed ugualmente solo con dei segni si poteva chiedere al compagno di rispondere alla giocata con una determinata carta (ad es.: bussare una volta sul tavolo con le nocche delle dita equivale a dire: sono in possesso del tre del palo (seme) che sto per giocare: bussare due volte sul tavolo con le nocche delle dita equivale a dire: sono in possesso del due del palo (seme) che sto per giocare; strisciare o lisciare piú o meno ripetutamente una carta e súbito dopo bussare una volta equivale a dire: sono in possesso dell’asso del palo (seme) che sto per giocare; A seconda poi del numero delle volte che si liscia/striscia la carta significa che l’asso è accompagnato e difeso da piú o meno numerose figure e/o cartine; quando poi si liscia/striscia una carta senza far seguire il bussare significa che del palo (seme) di cui si sta strisciando la carta giocata non si à né asso, né due, né tre, ma solo una sequenza piú o meno lunga di figure o cartine).
Dicevo che in origine ai giocatori era consentito segnalare al proprio compagno ed ovviamente agli avversari, il possesso di alcune carte solamente con dei segni ed ugualmente solo con dei segni si poteva chiedere al compagno una particolare richiesta di carta, poi ai gesti si accompagnò la voce per cui chi volesse dire: sono in possesso del tre del seme che sto per giocare, poteva accompagnare il gesto di picchiare una volta sul tavolo, annunciando pleonasticamente “busso”; chi volesse dire: sono in possesso del due del seme che sto per giocare, poteva accompagnare il gesto di picchiare due volte sul tavolo, annunciando pleonasticamente “ribusso”; e chi volesse dire: sono in possesso dell’asso del seme che sto per giocare poteva strisciare/lisciare piú o meno ripetutamente una carta e súbito dopo bussare una volta aggiungendo pleonasticamente “liscio e busso”.
Va da sé che chi sia in possesso dell’asso accompagnato solo da poche figure e/o cartine corra il rischio di vedere prima o poi cadere il proprio asso nella... bocca del 2 o del 3 che siano nelle mani dell’avversiaro e si trovi perciò in una situazione precaria, prodromica di una solenne sconfitta/perdita tale da poter essere considerata come una strapazzata, paternale, rampogna, sgridata o addirittura una sonora bastonatura.
E questa mi appare la miglior via da tenere per spiegare semanticamente il riferimento del sostantivo liscebbusso/lisciabbusso alla corrispondente voce del giuoco del tressette.
Linguisticamente poi il sost. liscio e bbusso donde liscebbusso/lisciabbusso risulta essere l’agglutinazione di due voci verbali:1) liscio (1ª pers. sg. ind. pres.) dell’infinito lisciare derivato dal lat. volg. *lisiare, prob. voce di orig. espressiva; 2) busso (1ª pers. sg. ind. pres.) dell’infinito bussare derivato dal lat. volg. pulsare→bulsare→bussare; pulsare è un intensivo di pellere.
Aggiungo che il napoletano accanto al sostantivo liscebbusso/lisciabbusso à anche l’ aggettivo liscesbriscio morfologicamente attestato anche come liscio e sbriscio che vale squattrinato, misero, povero, senza soldi aggettivo affatto diverso dal sostantivo a margine con il quale non à nulla in comune e con il quale non va assolutamente confuso, essendo le due voci molto diverse anche per ciò che concerne l’etimo; di liscebbusso/lisciabbusso ò già detto ed ò parlato di agglutinazione di due voci verbali, diverso è il caso liscio e sbriscio/liscesbriscio che come etimo risulta l’agglutinazione di due aggetti: 1) liscio che sta per liso= consunto, logoro (derivato dal lat. volg. (e)lisu(m), part. pass. di elidere 'rompere' 2) sbriscio che sta per sbricio= meschino, ridotto male, malandato con derivazione dal lat. volg. *brisare 'rompere'; normale sia per liscio che per sbriscio il passaggio in napoletano di s seguita da vocale a sci+ vocale.
Trovandomi in argomento rispondo ora ad un caro amico che mi à chiesto come mai i napoletani chiamano pali quelli che in italiano son detti semi delle carte (coppe, bastoni, spade e denari) ed à ipotizzato che ciò dipenda dal fatto che i giocatori dispongono in mano le carte l’una sull’altra a mo’ di bastone/palo; non è cosí;a parte che non mi risulta che i giocatori dispongano in mano le carte l’una sull’altra a mo’ di bastone/palo in quanto li ò sempre visti disporre le carte a ventaglio,cosí come fa o faceva il sottoscritto; la faccenda è molto piú semplice: i napoletani chiamano pali (i semi delle carte) avendo marcato il lemma sulla voce spagnola palos (che è la voce con cui gli spagnoli indicano i semi delle carte) adattandola in palo/pali; ora risulta che gli spagnoli appresero dagli arabi invasori i giuochi di carte, per cui penso che sia c orretto ipotizzare che la voce iberica palos sia o possa essere l’adattamento d’una qualche omologa voce araba indicante i semi delle carte; purtroppo (e me ne dolgo!) non conosco l’arabo e posso soltanto mantenermi nel campo delle ipotesi.
In chiusura e per fare un passo all’indietro con riferimento al tressette riporto qui di sèguito una mia poesiola inedita
A ‘nu jucatore ‘e tressette.
Mo t’aggiu overamente scanagliato
e sulo mo cernenno crusca ‘a sciore
m’hê fatta ‘na grattata addó me prore...
Fino a mez’ora fa îve smammato
d’essere jucatore patentato
capace ‘e tené ‘e ccarte a sservitora
specie a ttressette e gguappo e prufessore
mettive tutte sotto, una vutata...
E grazie... a orazio! S’è chiarito ch’era
quanno t’aggiu ‘mmitatato a ffà ‘o scupone:
‘nu juoco serio, sapurito overo
addó nun conta ‘o mazzo e a bbon raggione
vence chi joca bbuono e asciutto asciutto
nun serve de tené ‘o culo rutto!
Nun è ‘o tressette addó vence ‘a partita
chi è pigliatore ‘e carte e avenno ‘mmano
mappate ‘e tre, longhe e nnapulitane
fa ‘o guappo sempe... Chesto ll’hê capito
e vuó fà sulo chistu juoco lloco
‘stu juoco ‘e femmenielle affurtunate
e te nieghe ô scupone, a chistu juoco
addó – si nun saje jucà – piglie mazziate
e p’essere chiammato prufessore
hê ‘a jucà bbuono pure avenno ‘mmano
‘mmunnezza ‘e carte e no... napulitane!
Raffaele Bracale
martedì 26 febbraio 2013
CONFUSIONE, CHIASSO, BARAONDA & dintorni
CONFUSIONE, CHIASSO, BARAONDA & dintorni
L’amico N.C. (i consueti problemi di riservatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome) mi chiede di parlare delle voci dell’italiano in epigrafe e delle corrispondenti voci del napoletano. L’accontento qui di sèguito e comincio con il parlare di
baraonda s.vo f.le voce generica
1 confuso e rumoroso movimento di gente che va e viene; disordinato vociare di persone
2 insieme confuso di oggetti o persone (anche fig.): una baraonda di immagini, quasi di sogno, gli passarono davanti etimologicamente è dallo sp. barahunda 'disordine, confusione', di origine semita barûk-adonai(benedetto il Signore)ricorrente in molte preghiere corali e spesso percepito come un indistinta confusione di suoni;
bòlgia s.vo f.le
1 (ant.) borsa o tasca molto grande; nel Settecento, anche valigia
2 ciascuna delle dieci fosse in cui è diviso l'ottavo cerchio dell'inferno dantesco |
3 (fig.nell’accezione che ci occupa) luogo pieno di rumore e confusione: quella casa è una bolgia.
etimologicamente è voce dal fr. ant. bolge, che è dal lat. tardo bulga(m) 'sacca di cuoio', di origine celtica;semanticamente l’accezione sub 3 è riconducibile a quella iniziale (sub 1) tenendo presente che in una borsa o tasca molto grande o pure in una valigia può regnare se non il rumore, una gran confusione;
caos, s.vo m.le invar. Voce estremamente generica
1 originaria mescolanza degli elementi che, secondo alcune cosmogonie, esisteva prima della creazione o della formazione del mondo
2 (fig.) estremo disordine, grande confusione: vivere nel caos; un caos di carte.
etimologicamente è voce dal lat. chaos, che è dal gr. cháos, deriv. di cháinein 'aprirsi, spalancarsi';
confusione s.vo f.le voce generica
1 mescolanza disordinata di cose o persone; caos, scompiglio: confusione di gente, di idee; mettere, fare confusione ' confusione mentale, (med.) alterazione psichica che causa smarrimento, disturbi nella percezione e incapacità di pensiero
2 (estens.) baccano, chiasso fatto da piú persone: vi prego di far meno confusione
3 scambio di una cosa o di una persona con un'altra; errore: far confusione di nomi, di date
4 situazione, stato di imbarazzo o vergogna; turbamento: non riuscí a nascondere la sua confusione
5 nel linguaggio giuridico, coincidenza della qualità di creditore e debitore nella stessa persona, e conseguente estinzione dell'obbligazione.
È voce dal lat. confusione(m), deriv. di confundere;
chiasso s.vo m.le voce generica
rumore forte e prolungato prodotto da persone o da cose; strepito, baccano: il chiasso dei bambini che giocano; un chiasso indiavolato | far chiasso, (fig.) suscitare clamore, scalpore: un libro che à fatto chiasso | dire, fare per chiasso, (regionale toscano) per celia, per scherzo.
Etimologicamente è dal lat. volg. *classu(m), deriv. di conclassare 'gridare insieme';
frastuono, s.vo m.le voce generica usata per indicare un
rumore intenso e confuso prodotto da piú cose o persone; baccano, fracasso: il frastuono del traffico. Etimologicamente è composto di fra, incrociato con tras-, e tuono (dal lat. volg. *tonu(m), deriv. di tonare 'tonare');
schiamazzo, s.vo m.le
1 insieme di gridi confusi e molesti prodotti da volatili o persone che schiamazzano: schiamazzo di galline spaventate; schiamazzi notturni | fare schiamazzo, (fig.) agitarsi e gridare in modo scomposto; fare fracasso e confusione
2 richiamo usato nella caccia ai tordi consistente nel collocare una civetta presso una gabbia di questi uccelli, il cui grido spaventato attira lo stormo dei tordi in volo. Etimologicamente è voce deverbale di schiamazzare deriv. del lat. exclamare 'gridare' (cfr. esclamare), con suff. pegg azzo suffisso tratto dal lat. -aceus; forma sostantivi o verbi che ànno per lo piú valore spregiativo;
trambusto s.vo m.le
agitazione, confusione rumorosa prodotta da un continuo muoversi di cose e persone: trovarsi in un trambusto indescrivibile.
Etimologicamente è voce dall'ant. fr. e provenz. tabust di analogo significato;
vocío s.vo m.le vociare continuo, parlottio, brusio, chiacchiericcio;
voce etimologicamente deverbale di vociare
E passiamo alle numerose voci dell’idioma partenopeo, voci che con maggiore precisione ed esattezza ripetono quelle dell’italiano esaminate precedentemente e che sono alquanto generiche; in napoletano abbiamo:
ammuina s.vo f.le
chiasso, la confusione, la rumorosa agitazione prodotta dai ragazzi specialmente durante il giuoco, chiasso, confusione ed agitazione rumorosa; etimologicamente è voce deverbale del verbo spagnolo amohinar(infastidire, annoiare, addirittura rattristare); comunque la voce a margine è voce che merita ch’io mi dilunghi nel modo che segue:
Come tanti altri termini (camorra, guaglione, scugnizzo,sfogliatella, vongola etc. e derivati), quello in esame è parola che, partita dall’ idioma napoletano è pervenuta nell’italiano sia come sostantivo ammoina o ammuina o addirittura ammoino/ammuino, che come voce verbale ammuinare/ammoinare.
Comincerò col ribadire che in napoletano la voce in parola e le corrispondenti voci verbali furono – nel lessico popolare – di quasi esclusiva competenza degli adolescenti e dei ragazzi ed indicarano essenzialmente il chiasso, la confusione, la rumorosa agitazione prodotta da costoro specialmente durante il giuoco, chiasso, confusione ed agitazione rumorosa che determinano negli adulti costretti a subirli, noia e fastidio; solo per estensione successivamente le parole riguardarono chiasso, confusione e baccano degli adulti ed addirittura con l’espressione fare ammoina, nel gergo marinaresco, si indicò il darsi da fare disordinatamente e senza frutto, o per ostentare la propria laboriosità e vi fu un capo ameno, ma scarico che, prendendo le mosse da tale gergo marinaresco, peraltro mercantile,e con il palese scopo, seppur non dichiarato, di vilipendere i Borbone Due Sicilie si inventò un inesistente articolo: Facite ammuina attribuito alla marineria borbonica di Francesco II Due Sicilie.
Per amor di completezza ricorderò che il predetto fantasioso articolo recitava: All'ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa e chilli che stann' a poppa vann' a prora: chilli che stann' a destra vann' a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann' a destra: tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann' bascio passann' tutti p'o stesso pertuso: chi nun tiene nient' a ffà, s' aremeni a 'cca e a llà.
Ò trascritto l’articolo cosí come l’ò travato in rete, stampato su di un evidentemente falso proclama reale recante lo stemma borbonico.
Non voglio soffermarmi piú di tanto sull’evidente falsità dell’articolo; mi limiterò ad osservare che essa si ricava già dal modo raffazzonato in cui è scritto; è evidente che il capo scarico che lo à vergato, mancava delle piú elementari cognizioni della parlata napoletana: basti osservare in che modo errato sono scritti tutti i verbi, terminanti tutti con un assurdo segno d’apocope (‘) o di una ancóra piú assurda elisione, in luogo della corretta vocale semimuta. A ciò si deve aggiungere l’incongruo, fantasioso congiuntivo esortativo che conclude l’articolo: s’aremeni, congiuntivo che è chiaramente preso a modello dal toscano, ma non appartiene alla sintassi della parlata napoletana che usa ed avrebbe usato anche per il congiuntivo la voce s’aremena cosí come l’indicativo; infine non è ipotizzabile un monarca che, volendo codificare un regolamento in pretto napoletano, affinché fosse facilmente comprensibile alle proprie truppe incolte, si rivolgesse o fosse rivolto per farlo vergare a persona incapace o ignorante delle regole grammaticali, morfologiche e sintattiche del napoletano; ciò per dire che tutto l’evidentemente falso articolo fu pensato e vergato dal suo fantasioso autore, con ogni probabilità filosavoiardo in lingua italiana e poi, per cosí dire, tradotto seppure in modo sciatto ed approssimativo in napoletano, cosa che si evince oltre che da tutto ciò che fin qui ò annotato dal fatto che nell’articolo (presunto napoletano) si parla di destra e sinistra, laddove è risaputo che i napoletani, anche i colti, usavano dire dritta e mancina.
In realtà tutta la favola del preteso ordine facite ammuina non è altro che uno dei tanti falsi sul Reame, nati negli anni successivi all’unificazione. Falsi denigratorî, poi fatti passare per “verità”, seppure mai verificate.
Ecco in verità (cosí come ebbe a scrivere nell’aprile del 1995 il compianto barone RobertoMaria Selvaggi) come nacque la leggenda di una regola totalmente inventata, di cuiperò si dava addirittura il numero d’articolo (il 27° del Regolamento della Marina borbonica):
“Un pessimo ufficiale di Marina napoletano,tale Federico Cafiero (1807-1889), elemento da accenti macchiettistici, passato con l’esercito piemontese súbito dopo lo sbarco di Garibaldi, era a bordo della sua nave con l’equipaggio e dormiva. Arrivò un’improvvisa ispezione, che trovò il comandante immerso nel sonno e la nave abbandonata a se stessa. Naturalmente Cafiero fu punito e, quando tornò sulla sua nave, sentí il bisogno, per evitare ulteriori dispiaceri, di dettare all’equipaggio alcune regole di comportamento. Tra queste anche quella di fare rumore e chiasso in ogni modo possibile per avvertirlo subito in caso di improvviso arrivo di ispezioni o di ufficiali superiori. Era il “facite ammuina”, diventato poi, per denigrazione, “regola della Marina borbonica”.”
Sistemata cosí la faccenda del Facite ammuina , torniamo alla parola a margine e soffermiamoci sulla sua etimologia;
a prima vista si potrebbe ipotizzare, ma erroneamente che la parola ammoina sia stata forgiata sul toscano moina con tipico raddoppiamento consonantico iniziale ed agglutinazione dell’articolo la (‘a); ma a ciò osta il fatto che mentre il termine ammoina/ammuina sta, come detto, per chiasso, confusione, vociante baccano, la parola moina (dal basso latino movina(m)) sta ad indicare gesto, atto affettuoso, vezzo infantile; comportamento lezioso, sdolcinato, tutte cose evidentemente lontane dal chiasso e/o confusione che son propri dell’ ammoina/ammuina e lontane dal fastidio che da quel chiasso ne deriva all’adulto che, al contrario, è appagato e gratificato dalle moine infantili o talvolta da quelle femminili; sgombrato cosí il campo dirò che per approdare ad una accettabile etimologia di ammoina/ammuina occorre risalire proprio al fastidio, all’annoiare che il chiasso, la confusione, il vociante baccano procurano; tutte cose puntualmente rappresentate dal verbo spagnalo amohinar(infastidire, annoiare, addirittura rattristare) e convincersi che l’ ammoina/ammuina altro non sono che deverbali del verbo spagnolo.
Bbabbilonia s.vo f.le
estrema confusione, indescrivibile frastuono, baccano reiterato, trambusto smisurato, pandemonio continuo, schiamazzo durevole, rumore intenso e confuso prodotto da piú cose e/o persone; etimologicamente si tratta d’una voce degradazione semantica del nome della città di Babilonia o Babele, dove, durante la costruzione di una torre altissima (torre di Babele), avvenne, secondo il racconto biblico, la confusione delle lingue;
birbía s. f.
luogo di grande confusione; per estens., la confusione stessa, il disordine,gridío indistinto,incrociarsi confuso di parole incomprensibili. Etimologicamente è voce marcata metateticamente sull’ iberico briba→birba→birbía con epentesi espressiva della í tonica;
cagnara s. f.
1 (in primis) l'abbaiare confuso di molti cani
2 (fig.come nel caso che ci occupa) confusione rumorosa di gente che si diverte oppure sta litigandodâ porta se senteva ‘na cagnara pe ‘mmiez’ ê scale (dalla porta si sentiva una gran confusione rumorosa per le scale.);
; Voce deriv. di cagna dal lat. volg. *cania(m), deriv. di canis 'cane', voce che adattata per cambio di suffisso ara→aia è diventata cagnaia è pervenuta anche nella lingua ufficiale;
cananèa s.vo f.le
vociare continuato e crescente indistinto ma fastioso ad imitazione quasi del latrare d’una muta randagia di cani ; rumore che fanno piú persone parlando ad alta voce o gridando: se senteva’a luntano ‘na cananèa pe tutto ‘o vico(si sentiva in lontananza un vociare per tutto il vicolo); dâ chiazza arrivava ‘na cananèa ‘e guagliune ca jucavano a ppallone(dalla piazza veniva un vocío sempre crescente di ragazzi che giocavano a pallone); etimologicamente è voce denominale di cane (lat. cane(m)) da questa voce per sincope la lingua ufficiale per sincope cananèa→ca(na)nèa à appunto ricavato canèa di significato analogo;
casino s.vo m.le
1 casa signorile di campagna adibita a luogo di raduno per battute di caccia o di pesca: casino ‘e caccia
2 luogo di ritrovo, circolo: casino ‘e lettura
3 (pop.) casa di prostituzione
4 (fig. pop.come nel caso che ci occupa ) confusione, chiasso; semanticamente da collegarsi al significato sub 3 atteso che le case di prostituzione quali luoghi di piacere furono intesi luoghi allegri e l’allegria comporta spesso chiasso, baccano, rumore e simili.
fracasso s.vo m.le
1 rumore di cose fracassate;
per estens., rumore violento ed assordante: ‘nu fracasso ‘e piatte scassate(un frastuono di piatti rotti; ‘e piccerille facevano ‘nu fracasso ‘ndiavulato(i bambini facevano un fracasso indiavolato); | far fracasso, (fig.) suscitare molti commenti: ‘na nutizzia ca à fatto assaje fracasso p’ ‘o quartiere(una notizia che à fatto molto rumore nel rione)
2 (fig. fam.) gran quantità:’o pate ll’à lassato ‘nu fracasso ‘e denare(il padre gli à lasciato (in eredità)tanto danaro).
quarantotto s.vo m.le in primis vale:
1fracasso, baraonda, schiamazzo, trambusto, improvvisa confusione e scompiglio e poi
2per estensione e/o traslato lite, rissa, litigio, alterco, diverbio, battibecco, dissidio, disputa zuffa, baruffa(in cui non mancano schiamazzi o trambusti); etimologicamente è voce marcata sulla falsariga ed in ricordo dell’anno 1848 che fu quello di numerose rivoluzioni sia a Napoli che in Europa.
Al proposito rammento che la prima agitazione europea del 1848 fu rappresentata dalla rivoluzione indipendentista siciliana del 1848 che però(soprattutto a causa della sua posizione periferica rispetto al Continente) non potette rappresentare l’autentica miccia dell'esplosione europea (anche se qualche influenza riuscí ad averla sia pure all'interno della penisola italiana). L'insurrezione siciliana portò infatti l'isola all'indipendenza,spinse Ferdinando II di Borbone (Palermo 1810 - †Caserta 1859) a concedere il 29 gennaio una Costituzione , scritta da Francesco Paolo Bozzelli (Manfredonia, 22 maggio 1786 –† Napoli, 2 febbraio 1864) famoso giurista, filosofo e politico conservatore italiano e promulgata l' 11 febbraio;tuttavia questa costituzione che era molto progressista per quei tempi in termini liberal-democratici, sopravvisse solo 16 mesi prima d’essere abrogata; l'esempio borbonico fu a breve seguito da Carlo Alberto di Savoia(Torino 1798 - †Oporto 1849) e da Leopoldo II di Toscana (Firenze, 3 ottobre 1797 - †Roma, 28 gennaio 1870), i quali concessero infatti una Costituzione prima che scoppiasse l'insurrezione a Parigi. La vera miccia fu rappresentata dalla "campagna dei banchetti" che portò ad una rivoluzione a Parigi, il 22-24 febbraio e che, successivamente, coinvolse tutta l'Europa. Solo l'Inghilterra vittoriana, in un periodo di stabilità politica ed economica (ma soprattutto grazie alle riforme del 1832 che pacificarono la classe borghese e scatenarono il cartismo), e all'opposto la Russia, in cui era praticamente assente una classe borghese (e di conseguenza una opposta classe proletaria) capace di ribellarsi, furono esentate dalla portata distruttrice (ma allo stesso tempo, soprattutto per quanto riguarda la Russia, dalla portata di innovazione) delle rivoluzioni del 1848. Da tutto ciò si evince la portata della voce in esame sia nei suoi significati primarii di fracasso, baraonda, schiamazzo, trambusto, improvvisa confusione e scompiglio, che in quelli traslati di dissidio, disputa zuffa, baruffa;
revuoto s.vo m.le voce analoga alla precedente ma di maggior vastità ed ampiezza per quanto riguarda i significati traslati ed estensivi di grave lite, rissa prolungata, litigio preoccupante,alterco inquietante, battibecco serio, pericoloso diverbio, disordine, subbuglio;
è voce deverbale (forma sostantivata del part. pass.) di revotà/revutà che è dal lat. re-vo(l)tare→revotà/revutà (frequentativo di revòlvere).
schiasso s.vo m.le
ridondante fracasso, clamorosa baranda, eccessivo frastuono, clamoroso baccano, assordante schiamazzo segnatamente quelli dei mercatini rionali; la voce a margine non à il medesimo etimo dell’italiano chiasso (cfr. antea), ma è un deverbale di schiassià che (con protesi della s intensiva napoletana) è da collegarsi quale denominale ad un tardo latino *classum che è da class(ic)um (cornu(m) collaterale di cornu) = segnale d’adunata;questa è la mia originaria idea etimologica che peroro in quanto a mio avviso semanticamente un eccessivo frastuono, un clamoroso baccano son responsabili di rumori che ben si posson collegare ad un segnale d’adunata; e ciò affermo piuttosto che seguire l’idea poco convincente del defunto F.sco D’Ascoli che optò per una derivazione dal lat. exquassare = scuotere, squassare e rompere che già aveva dato il napoletano scassà ; il verbo schiassià (di cui fu usatissimo il part. pass. m.le o f.le schiassïato/a = sovrabbondante di fronzoli o infiorettature, eccessivo/a con riferimento soprattutto ad abiti maschili, ma piú spesso femminili eccessivamente e cafonescamente tronfi, pomposi ridondanti di orpelli etc.) significò appunto eccedere,esagerare, sovrabbondare e va da sé che un abito sovrabbondante di fronzoli o infiorettature faccia metaforicamente quasi rumore alla stregua d’un corno da richiamo;
sciabbàcco s.vo m.le
in primis vale: fracasso, baraonda, schiamazzo, trambusto e poi per estensione e/o traslato lamento, lamentela, reclamo, protesta, querela, piagnisteo (che non possono mancare in una baraonda);etimologicamente è voce dall’arabo šábak= trambusto.
stunamiento s.vo m.le
1eccessiva baraonda, e poi anche caos inopportuno e fuor d’ogni regola o norma
2 (fig.) turbamento, sconcertatura; etimologicamente è voce deverbale del lat. volg. *extonare
torre ‘e bbabbele s.vo f.le lo stesso che bbabbilonia cui per i significati e l’etimo rimando.
-straverio/streverio s. m. antica voce attestata passim in ambedue le morfologie (in primis) 1cosa eccedente la realtà, sproposito (per estensione) 2 grosso errore, marchiana fanfaluca, madornale ciancia, spropositata frottola, grossolana sciocchezza, assurdità colossale;(per traslato, come nel caso che ci occupa) 3 sconquasso, rovina, evento pauroso ed impressionante; quanto a l’etimo, checché ne abbia détto il fu D’Ascoli che fantasiosamente ipotizzò un deverbale di stravedé/straveré (ma siamo poi certi che fu lui ad ipotizzare la faccenda? In effetti non penso che fosse farina del suo sacco,bensí il parto di uno dei tanti negri che lo aiutavano a stendere i suoi numerosi libri ai quali – complice la senescenza – egli non potette dare tutta la cura e l’attenzione di cui abbisognavano... lasciando correre molte inesattezze e/o fantasie!) l’etimo – dicevo – a mio avviso, sulla scia del Mormile commentatore delle opere di Barolomeo Capasso (Grumo Nevano (Napoli) 1815 -† Napoli 1900), è dal lat. extra-verum→straveru(m)→straverio;
Ed a questo punto penso d’avere esaurito l’argomento, d’aver contentato l’amico N.C.e qualche altro dei miei ventiquattro lettori e poter ben dire Satis est.
Raffaele Bracale
ERRORE, CANTONATA, ABBAGLIO,ETC.
ERRORE, CANTONATA, ABBAGLIO, FESSERÍA GRANCHIO; LAPSUS & DINTORNI
L’amico F.P. (al solito, mi limito ad indicare le iniziali non avendo ricevuto autorizzazione a fare per esteso nome e cognome...) si è detto molto soddisfatto di ciò che – su sua richiesta – scrissi sul termine diavolo & dintorni ed allora mi lancia una nuova sfida chiedendomi di dilungarmi sulla voce errore ed affini nonché sulle corrispondenti voci del napoletano.
Fino a che me ne sentirò capace non mi sottrarrò ad una sfida! Cominciamo; in italiano la voce piú comune usata per indicare l'allontanarsi dalla verità, dal giusto o dalla norma convenuta,o per indicare lo sbaglio, lo sproposito, nonché, in senso morale, un fallo, una colpa, un peccato, la voce piú comune – dicevo – è errore che può avere un nutrito ventaglio di riferimenti; ricorderò ad es.: errore di giudizio, di valutazione; errore di calcolo, di misura; errore di lingua, di grammatica, di stampa; fare, commettere un errore; essere, cadere, incorrere, indurre in errore; correggere gli errori | salvo errore che sta per: a meno che non vi sia qualche sbaglio involontario | per errore, per sbaglio, spec. di distrazione; in senso morale: scontare i propri errori; errori di gioventú ; nelle scienze sperimentali poi, l’errore è la differenza fra il valore vero e quello osservato: errore sistematico, quello che ricorre in tutti i casi osservati in quanto dovuto allo strumento usato, al metodo o ad imperizia; errore accidentale, casuale che è quello che dipende dal caso.
Nel diritto l’errore è la mancata o imprecisa conoscenza di un fatto o di una disposizione di legge: errore di fatto, di diritto | errore giudiziario: in un processo penale, erronea ricostruzione o interpretazione dei fatti che porta alla condanna di un innocente.
L’etimo di errore è dal lat. errore(m), deriv. di errare 'vagare, smarrirsi, sbagliarsi'.
Per la voce errore non esistono moltissimi sinonimi usati con eccezione di quelli indicati in epigrafe;ce ne sono però abbastanza usati in quanto tropi della voce errore: esamino qui di sèguito sia gli autentici sinonimi sia i tropi che però indicherò con un asterisco iniziale :
- abbaglio s. m. letteralmente (quale deverbale di abbagliare connesso con bagliore) indica
l’abbagliamento (offesa della vista per luce troppo viva) e per traslato figurato l’errore, la svista: prendere un abbaglio; cadere in un abbaglio.
- *baggianata s.f. che letteralmente sta per sciocchezza, stupidaggine, comportamento da baggiano,sciocco, credulone; va da sé che tutto ciò induca o possa indurre nello sbaglio ed ecco che la voce a margine, per tropo (qualsiasi uso linguistico che trasferisca una parola dal significato suo proprio a un altro figurato; traslato), viene usata come sinonimo di errore, sbaglio.
Etimologicamente la voce baggianata è ricavata come il termine baggiano sul s.vo baggiana= fandonia che è dal lat. baiana(m) '(fava) di Baia', città della Campania
- *balordaggine s.f. che letteralmente sta per détto o atto da balordo; sciocchezza, insensatezza che in quanto tali inducono o possono indurre nello sbaglio; anche in questo caso ci troviamo ad avere a che fare con un sinonimo ottenuto per traslazione metonimica; quanto all’etimo la voce balordaggine è ricavata marcandola sulla voce balordo= 1 persona sciocca o molto sbadata. 2 (gerg.) delinquente, malavitoso (dal tardo lat. bis→ba + lurdu(s)= zoppicante);
- cantonata s. f. . è un denominale di canto( che è dal lat. tardo canthu(m), derivato dal gr. kanthós 'angolo dell'occhio') indica l’angolo formato all'esterno, da due muri che s'incontrano e dunque indica appunto l’angolo formato dai muri esterni di una casa fra una strada e un'altra (per l’incotro interno di due muri s’usa la voce canto oppure angolo; mettiti in quel canto e sta’ fermo! | nell’espressione prendere una cantonata,quest’ultima figuratamente vale grosso errore, e tutta l’espressione sta per prendere un abbaglio, incorrere in un colpevole sbaglio quale quello (donde trasse l’espressione) di chi facesse urtare una ruota del proprio carro contro l'angolo della via, nel prendere una curva troppo stretta.
*cretinata s.f. che letteralmente sta per 1 frase o azione da cretino; 2 cosa da nulla, di poco valore, facilissima. L’accezione sub 1 come le precedenti baggianata,balordaggine à dato luogo al tropo che ci occupa per cui cretinata à finito per indicare un errore, uno sbaglio tanto piú grave in quanto originato da una cosa da nulla, di poco valore, facilissima; quanto all’etimo cretinata è ricavata marcandola sulla voce cretino= 1 persona sciocca o stupida (dal franco-provenz. crétin, propr. 'cristiano', che, usato dapprima nel significato di 'povero cristiano, poveraccio', à poi assunto valore spregiativo);
*corbellería s.f. che letteralmente sta per stupidaggine, sproposito, poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole; quanto all’etimo corbellería è ricavata marcandola sulla voce corbello che (quale diminutivo del lat. corba(m)) indica in primis un cesto rotondo di vimini o di strisce di legno intrecciate; anche, quanto in esso è contenuto: un corbello di fichi, ma poi per traslato gergale e/o furbesco usato al plurale (i corbelli) indica i testicoli ed è questa accezione che à dato luogo al tropo che ci occupa.
- fessería s.f. sciocchezza, quisquilia, errore da poco,scusabile stupidaggine voce marcata (vedi oltre) sia pure con un insulso aggiustamento sul napoletano fessaría.
- granchio s. m. derivato da una lettura metatetica del lat. cancer –cri con sostituzione di comodo della occlusiva velare sonora g al posto della piú aspra e dura occlusiva velare sorda c; è voce che à varie accezioni:
- 1) (zool.) Nome delle circa 4500 specie di crostacei decapodi brachiuri, diffusi in tutto il mondo, per lo piú marini ma anche dulcacquicoli e terrestri, di dimensioni variabili da pochi cm a oltre 3,50 m, con addome corto e ripiegato sotto il carapace e chele robuste: g. comune (Carcinus maenas), diffuso sulle coste italiane; g. di fiume (Potamon fluviatile), delle acque dolci dell'Italia e dei Balcani.
- 2) ( per estens., tecn.)
a) il cuneo bipenne opposto a quello battente del martello da falegname, cuneo bipenne usato per estrarre chiodi. b) Ferro conficcato sul banco del falegname, contro il quale si tiene fermo il legno da piallare.
- 3) ed è l’accezione che ci occupa (fig., fam.) Errore, sbaglio causato da un equivoco: prendere un granchio.
- 4) (ant.) La costellazione del Cancro.
- 5) usato impropriamente (pop.) quale sinonimo di crampo.
*idiozia s.f. che letteralmente sta per sta per stupidità, imbecillità; azione, frase da idiota, stupidaggine, sproposito, comportamento da idiota e poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole; quanto all’etimo idiozia è ricavata marcandola sulla voce idiota = stupido, deficiente, rozzo, incolto, voce che è dal lat. idiota(m) 'ignorante', che è dal gr. idiótís, deriv. di ídios, nel sign. di '(uomo) privato', che come tale è considerato 'incompetente, inesperto' rispetto a chi riveste incarichi pubblici
- lapsus s. m. invar. errore involontario verbale o di scrittura propr. "inceppamento, caduta", derivato dal lat. labi "scivolare", part. pass. lapsus – Si tratta cioè di un piccolo sbaglio non volontario, verbale o di scrittura, consistente nel sostituire un suono o una parola intera o scrivere una lettera invece di un'altra, nella fusione di due o piú parole in una sola, ecc., al quale, per S. Freud e la psicanalisi, bisogna attribuire un significato inconscio: scusa, è stato un lapsus! Espressioni usate: lapsus calami (lett. errore di penna= errore di scrittura), lapsus linguae letteralmente "errore di lingua= del parlato) che designano appunto il lapsus nello scrivere e nel parlare; infine lapsus freudiano: quello dovuto a motivi inconsci.
*scemenza s.f. che letteralmente sta per sta per stupidità, imbecillità; azione, frase da scemo, banalità, stupidaggine, sproposito, comportamento da scemo e poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole in quanto generato da una banalità; quanto all’etimo scemenza è ricavata marcandola ovviamente sulla voce scemo = che à o denota poco senno; sciocco, insulso, che è privo di senso, stupido, voce che è deverbale del lat. volg. *exsemare, comp. di ex- 'via da' e un deriv. di símis 'metà'; anche per le successive tre voci ci troviamo difronte a tre s.vi f.le che letteralmente stanno per stupidità, imbecillità; azioni rispettivamente da sciocco, da stupido o da stolto , banalità, stupidaggini, spropositi, comportamenti sciocchi, ottusi, cretini etc. tali da poter – per traslato – esser détti errori, sbagli gravi e colpevoli in quanto generati da insulsaggini, insipidezze, scipitezze comportamentali; rispettivamente quanto a gli etimi
*sciocchezza è marcato sul s.vo sciocco = poco intelligente (dal lat. exsuccu(m) 'privo di sugo', comp. di ex-, con valore privativo, e succus 'sugo, sapore'),*stupidaggine è marcato sul s.vo stupido =tardo nel comprendere, ottuso di mente, deficiente, idiota, imbecille (dal lat. stupidu(m), deriv. di stupíre 'stupire') ed infine*stoltezza è marcato sul s.vo stolto = persona, che dimostra poca intelligenza; sciocco, stupido (dal lat. stultu(m)).
Esaurite ad un dipresso le voci dell’italiano, passiamo alle piú numerose voci del napoletano dove abbiamo:
-fessaría s. f. che letteralmente vale errore di poco conto, ed estensivamente sciocchezza, stupidaggine, azione insulsa tipica dello sciocco; la voce a margine deriva forse da fesso con il suff. arius→aro + il suff. astratto tonico ía; epperò non gli dovrebbe essere comunque estranea, come reputo e morfologicamente piú vicina la voce fessa (l’organo sessuale femminile esterno) ( part. pass. del verbo latino findere) dalla fessaría (da fessa+ aría da arius) sciocchezza, stupidata, deriva la toscana fessería di significato analogo).In chiusura faccio notare la solita incomprensibile, stupida mutazione che opera il toscano trasformando una A etimologica (da fessa→ fessaría) per adottare una piú chiusa E (fessaría vien cioè trasformata in fessería) forse nella sciocca convinzione che la vocale chiusa E sia piú consona dell’aperta A alla elegante (?!) lingua di Alighieri Dante…
In ogni caso con la voce fesso (dell’italiano e del napoletano) derivato attraverso il sign. del femm. fessa dell'Italia merid., pop. si indica l’imbecille, lo sciocco quello cioè capace di errori di poco o molto conto, ed ancóra estensivamente sciocchezze, stupidaggini, azioni insulse etc. Rammento talune espressioni popolari in uso sia nella lingua nazionale che nel napoletano: fare fesso, m’hê fatto fesso : riferito a persona, ingannarla: mi vuoi proprio fare fesso? fam., fare il fesso/ fà ‘o fesso, fare lo spiritoso, o anche il temerario. Dim. fessacchiotto, scherz si indica lo sciocco,il balordo , voce in ogni caso da far risalire al lat. fissu(m), part. pass. di findere 'fendere').
-marrone s. m. . che letteralmente vale grosso errore, sbaglio di gran conto, ed estensivamente addirittura sproposito; la voce a margine è presente pure nell’italiano con un ampio ventaglio di significati che sono:
1)Bestia che guida il branco,
2) (equit.) Cavallo anziano che deve servire di esempio al puledro da ammansire,
3) (ant.) Guida alpina.,
4)(bot.) Nome di una varietà pregiata del frutto di castagno (Castanea sativa), generalm. piú grande della castagna comune,
5) volgarmente testicolo,
6) Il colore tipico, bruno rossiccio, del guscio delle castagne 7) come per il napoletano (e forse da esso mutuato), ma d’uso rarissimo e solo letterario errore grave, sproposito.
Non di facilissima comprensione le strade semantiche seguíte nell’italiano per approdare a tanti significati diversi, né semplicissimo indicare un eventuale etimo della voce italiana (esercizio forse inutile atteso che a mio avviso il marrone dell’italiano è mutuato (vedi oltre) sul napoletano); ad ogni buon conto dirò che per il marrone dell’italiano qualcuno propose il tardo greco *màraon, altri vi vedono una voce indigena usata pure come nome proprio Virgilio Marone altri ancóra vi leggono una radice celtica mar= grande, grosso che forse ben si può attagliare al cavallo piú vecchio e/o grande che guida il branco o a quello piú capace usato a mo’ d’esempio nell’addestramento dei puledri, alla castagna piú grande .
Quanto al marrone napoletano, atteso che la reputo una voce affatto originaria e non mutuata dall’italiano,anzi voce che al contrario, l’italiano à preso in prestito dal napoletano (rammenterò al proposito che l’italiano à l’espressione cogliere in castagna per indicare cogliere in errore espressione dalla quale si evince l’esistenza del duplice significato di marrone che vale in italiano e nel napoletano grossa castagna ed errore marchiano); ripeto che quanto al marrone napoletano penso che etimologicamente sia da collegarsi all’ant. francese marrir= confondersi, smarrirsi o piú ancóra allo spagnolo marrar= errare, attraverso il sost. marro= errore addizionato del suff. accrescitivo one.
-nguacchio/nquacchio s.m. La parola a margine ,(si tratta infatti di un solo termine, reso con due diverse grafie: una volta con l'occlusiva velare sonora(g) ed una volta con l’occlusiva velare sorda (q)), nel suo significato primo di bruttura, lordura, sudiciume e poi in quello estensivo di piccolo involontario errore risulta essere – quanto al suo etimo – un deverbale di nguacchià/nquacchià voci tutte di origini onomatopeiche; i verbi ànno il loro significato primo di: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare;proprio in tali accezioni la parola in epigrafe fu usata per indicare quegli inopinati sgorbi e/o macchie d’inchiostro che – complici la distrazione, l’inchiostro ed il pennino della penna comune – lordarono quaderni e libri al tempo (1950) delle scuole elementari; quando poi (1955) con l’avvento della penna biro che mandò in soffitta inchiostro, calamaio, pennini e penne comuni, divenne desueta anche la parola nguacchio/nquacchio ed essa venne sostituita da spirinquacchio usata per indicare non lo sgorbio o la macchia casuale, quindi l’involontario errore, quanto quel ghirigoro voluto e cercato prodotto per saggiare se l’inchiostro contenuto nella cannuccia di plastica della penna biro fosse ancora sufficiente o sufficientemente fluido per permettere di scrivere; poiché per saggiare la scorrevolezza e fluidità del detto inchiestro, si muoveva in maniera piú o meno circolare la penna tenuta rigidamente perpendicolare al piano di scrittura, la traccia che se ne ricavava era di forma spirale, di talché il disegno ottenuto era pur sempre ‘nu nguacchio, ma in quanto di forma spiraleggiante, finí per esser definito spirinquacchio/spiringuacchio; la parola napoletana nguacchio o nquacchio oltre ai cennati significati, à poi un suo significato estensivo che è quello di: situazione intrigata, pasticcio di difficile soluzione ed ancóra infine deflorazione con conseguente fecondazione di una giovane che consenzientemente, da nubile, si sia fatta possedere da un innamorato; nelle cennate due accezioni di pasticcio di difficile soluzione, situazione intrigata la parola è trasmigrata pure se in non tutti, in molti dei piú corredati vocabolarî della lingua italiana dove è diventata: inguacchio; ugualmente un significato estensivo ànno i verbi nguacchià/nquacchià che nella parlata napoletana vengono usati per indicare oltre che i cennati: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare, anche l’ungere o il condire esageratamente in ispecie con sugo di pomodoro, fatti che sostanziano in ogni caso un errore (ovunque e sempre occorrono misura e moderazione, secondo il détto: l’esagerazione è difetto!); molta meraviglia à destato in me il fatto che mentre abbia incontrato in molti dizionari della lingua italiana il termine inguacchio, in nessuno vi ò ritrovato il verbo da cui dovrebbe essere scaturito: inguacchiare… Misteri della lingua italiana e di taluni soloni linguisti che la fanno, i quali considerano (cfr. Treccani – Garzanti etc.) il verbo inguacchiare napoletano, ma fanno italiana la voce inguacchio che è derivata di inguacchiare!
Proseguiamo e troviamo
-pistacchiata s.f. letteralmente la pistacchiata è una sorta di untuosa cremina ad uso di pasticceria ricavata dalla pestatura di pistacchi sgusciati e tostati, ma - prendendo a prestito l’immagine di questa crema - si indicarono i contenuti errori presenti sui quaderni dei bambini della scuola primaria, errori spesso accompagnati da una qualche macchia d’inchiostro (cfr. la voce precedente); per traslato ed ampliamento semantico la voce a margine vale sbaglio, strafalcione ed anche sproposito, svarione; quanto all’etimo la voce pistacchiata è da collegarsi alla voce pistacchio dal lat. pistaciu(m), che è dal gr. pistákion. A margine di questa voce rammenterò che essa voce nel parlar becero, quando non addirittura triviale, di talune zone della città bassa, sulla bocca del popolino, sia pure nei medesimi significati, veniva e talora ancóra viene corrotta in picchiaccata o pucchiaccata voci derivate dritto per dritto da pucchiacca/ purchiacca che (con etimo dal greco pýr+k(o)leacca←*cljacca) sta per fodero di fuoco ed è uno dei modi piú volgari, ma icastici usati per indicare l’organo sessuale esterno della riproduzione femminile.E non faccia meraviglia l’accostamento divertente tra le voci pucchiacca/ purchiacca→picchiaccata o pucchiaccata ed un tipo di errore; in fondo è il medesimo accostamento che corre tra un piccolo errore e la parola fessaria che è da fessa.
-rancefellone s m. eccoci ad un’altra voce che solo per traslato è usata per indicare un grande sbaglio, un colpevole strafalcione ed anche un’ azione o parola inopportuna, fatta o detta a sproposito, uno svarione volontario ; letteralmente infatti con la voce a margine si indica un tipo di granchio, détto granciporro e semanticamente la connessione tra il colpevole sbaglio e questo granchio grosso, è da cercarsi nel fatto che questo granchio-traditore (vedi oltre) se toccato,può diventare pericoloso e procurare lesioni dolorose alla medesima stregua d’un colpevole sbaglio che può lasciare il segno! Quanto all’etimo rancefellone risulta essere l’agglutinazione della voce rance (da una lettura metatetica del lat. cànceru(m)→*(c)rance(um) + la voce fellone= traditore con qualche probabilità da un antico franco félon ma forse piú probabilmente dall’antico sassone félen donde un lat. med. fello/fellonis→fellone(m) (Du Cange).
-rapata s.f. voce che vale corbelleria, insulsaggine, banalità sciocchezza e come tale usata per indicare gli i piccoli, perdonabili errori comportamentamentali degli adolescenti e dei ragazzi; la voce a margine è un derivato di
rapa,s.vo f.le, e solo f.lerapa voce che è dal lat. rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi inteso f.le sg. e che indica, nel linguaggio figurato una persona non ancóra matura, di scarsa intelligenza,e talora anche mancator di parola,vigliacca tale da mettere in essere corbellerie, insulsaggini, banalità e sciocchezze ed addirittura tradimenti e/o azioni vigliacche;
-sbalanzone s.m. un’altra voce che solo per traslato è usata per indicare un eccezionale sbaglio, un colpevole grande strafalcione un grave sproposito, un importate svarione volontario tutti errori capaci di procurar danno ; letteralmente con la voce a margine si indica uno spintone un urtone operato in danno di persona anziana che da detta spinta e/o urto può subire conseguenze dannose.
Son proprie queste conseguenze dannose il trait d’union logico e semantico tra lo sbalanzone-urto e lo sbalanzone-sproposito. Etimologicamente la voce a margine è un derivato dalla voce valanza (dal lat. bislanx=dal doppio piatto) addizionata della tipica s qui distrattiva e del suff. accrescitivo one; ò parlato di s distrattiva che qui vale quasi ex in quanto in origine con la voce sbalanzone si indicò quel tipico colpo assestato ad uno dei piatti della bilancia per scuoter via un po’ delle granaglie eccedenti il peso voluto.
-sbarione s. m. cretinata, errore stupido dovuto a vaneggiamento, innocente grulleria da attribuirsi ad improvviso delirare, incolpevole idiozia dovuta forse ad uno stato febbrile; la voce a margine risulta un deverbale di sbarià verbo intran.vo che vale: vaneggiare, farneticare, delirare (cfr. sbarià cu ‘a capa!= applicarsi ad altro, eludere pensieri serî etc.) sbarià con la consueta alternanza b/v è dal lat. *s +variare, deriv. di varius 'vario'.
-scemaría s.f. che letteralmente sta per per sta per stupidità, imbecillità; azione, frase da scemo, banalità, stupidaggine, sproposito, comportamento da scemo e poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole in quanto generato da una banalità; quanto all’etimo scemaría è ricavata marcandola ovviamente sulla voce scemo = che à o denota poco senno; sciocco, insulso, che è privo di senso, stupido, voce che è deverbale del lat. volg. *exsemare, comp. di ex- 'via da' e un deriv. di símis 'metà'; anche per le successive tre voci ci troviamo difronte a tre s.vi f.le che letteralmente stanno per stupidità, imbecillità; azioni rispettivamente da sciocco, da stupido o da stolto , banalità, stupidaggini, spropositi, comportamenti sciocchi, ottusi, cretini etc. tali da poter – per traslato – esser détti errori, sbagli gravi e colpevoli in quanto generati da insulsaggini, insipidezze, scipitezze comportamentali; rammento al proposito che fino alla fine degli anni ’50 del 1900 nel parlato popolare della città bassa la voce scemaría indicò oltre che un errore, uno sproposito, una sciocchezza anche una casa di cura (Scemaría ‘e Miano?) dove venivano ricoverati gli adolescenti con gravi problemi di apprendimento e/o comportamentali;
-scunnietto s. m. che indica una grossa idiozia,un involontario sbaglio, una minchioneria volgarmente détta anche cazzata dovuti però ad improvvisi e transeunti stati di non raziocinio,di dissociazione mentale e pertanto scusabili, se non perdonabili; la voce a margine è etimologicamente un deverbale di scunnettïà esatto opposto di cunnettïà = unire, associare, legare, correlare con la protesi di una s, qui distrattiva, che ne inverte il significato e pertanto scunnettïà vale disunire, dissociare, slegare, non cogliere le correlazioni tra cose e/o tra cause ed effetti. A margine rammenterò che per traslato e/o ampliamento semantico la voce a margine in talune occasioni sta per oscenità, parola oscena. Ad un dipresso ciò che accade per la voce seguente che in primis valse parolaccia, bestemmia e poi per traslato ebbe altri significati.
-scuntrufo/scuntrufolo s.m. in doppia morfologia leggermente variata: nella seconda è leggibile il suffisso diminutivo olus→olo ma sostanzialmente la parola è la medesima ed in primis (cosí come attestato nel D’Ambra e nell’Andreoli valse parolaccia, bestemmia e poi per traslato errore irrispettoso, caso, combinazione erronei, scontro forse con riferimento all’etimologia che è da cercare in un deverbale di scuntrà= urtare, mettersi all’opposto di, cozzare violentemente contro qualcosa, verbo che è derivato da ‘ncuntrà con cambio di prefisso; al verbo scuntrà per ottenere le voci a marigine sono stati aggiunti rispettivamente i suffissi ufo o il suff. dim. ufolo suffissi sui quali – prima o poi cercherò d’essere piú preciso; per ora mi sono arreso non avendone trovato riscontro nel Rohlfs (libro sacro dei suffissi!),
-smuccaría/ smucchezza s.f. che letteralmente sta per
-stracchimpacchio s.m. grossa melensaggine,errore marchiano, enorme goffaggine dovuti a comportamenti abborracciati, precipitosi e/o raffazzonati e non accompagnati da attenzione, raziocinio e/o misura; quanto al suo etimo (atteso che nessuno dei calepini etimologici della parlata napoletana ne prende conto) non posso che formulare la mia ipotesi per la quale la voce a margine m’appare ragionevolmente costruita quale deverbale (mpacchio = errore, svarione, ma anche imbroglio, sudiciume,inganno) derivato di nguacchià/nquacchià adattati in mpacchià con protesi di un (e)xtra→stra + una sillaba cchi sillaba d’allungamento espressivo, voci tutte di origini onomatopeiche costruite su di un suono: nguacc/nquacc (faccio notare che la enne d’avvio del suono suddetto à valore eufonico e non è il residuo di un in illativo, per cui non necessita di un segno diacritico d’avvio e correttamente si dovrà scrivere nguacchio/nquacchio o nguacchià/nquacchià e poi mpacchià e non ‘nguacchio/’nquacchio/’mpacchio o ‘nguacchià/’nquacchià e poi ‘mpacchià) ; i verbi nguacchià/nquacchià ànno il loro significato primo di: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare;proprio in tali accezioni la parola nguacchio/nquacchio fu usata per indicare quegli inopinati sgorbi e macchie d’inchiostro che – complici la distrazione, l’inchiostro ed il pennino della penna comune – lordarono quaderni e libri al tempo (1950) delle scuole elementari; quando poi (1955) con l’avvento della penna biro che mandò in soffitta inchiostro, calamaio, pennini e penne comuni,divenne desueta anche la parola nguacchio/nquacchio essa venne sostituita da spirinquacchio usata per indicare non lo sgorbio o la macchia casuale, quando quel ghirigoro voluto e cercato prodotto per saggiare se l’inchiostro contenuto nella cannuccia di plastica della penna biro fosse ancora sufficiente o sufficientemente fluido per permettere di scrivere; poiché per saggiare la scorrevolezza e fluidità del detto inchiestro, si muoveva in maniera piú o meno circolare la penna tenuta rigidamente perpendicolare al piano di scrittura, la traccia che se ne ricavava era di forma spirale, di talché il disegno ottenuto era pur sempre ‘nu nguacchio, ma in quanto di forma spiraleggiante, finí per esser definito spirinquacchio/spiringuacchio; la voce mpacchio s’ebbe in primis il significato di imbroglio, sudiciume,inganno e successivamente valse errore, svarione che divennero grandi attraverso la prostesi di stra→stracchimpacchio) rammento altresí che tali sgorbi un tempo s’ebbero il nome alternativo di cerefuoglio voce dal lat. caere(folium) che indica oltre che la pianta delle ombrellifere anche gli sgorbi fatti a caso con penne e/o matite sui fogli di carta e ancóra i vezzi, le moine le sdolcinature, tutte cose che semanticamente posson ricondursi altresí alle bizzarríe,alle stranezze bizzose che, sia detto per incidens, vengono ricordate con la voce cerenfrúscolo s.m. voce ormai desueta, ma registrata da tutti calepini d’antan nel significato primo di bagattella, minuzia, sciocchezza ed in quello (per estensione ed ampliamento semantico) di bizzarria, stranezza bizzosa, stravaganza. Quanto all’etimo si sospetta un incrocio tra i lat. caere(folium) e frustulum = bruscolo di cerfoglio;torniamo ad occuparci della parola napoletana nguacchio o nquacchio che oltre ai cennati significati, à poi un suo significato estensivo che è quello di: situazione intrigata, pasticcio di difficile soluzione ed ancóra infine la deflorazione con conseguente fecondazione di una giovane che consenzientemente, da nubile, si sia fatta possedere da un innamorato; nelle cennate due accezioni pasticcio di difficile soluzione, situazione intrigata la parola è trasmigrata pure se in non tutti, in molti dei piú cospicui vocabolarî della lingua italiana dove è diventata: inguacchio incorrendo però nell’errore di ricostruire in modo abborracciato una voce leggendo nella enne d’attacco del napoletano nguacchio il residuo di un inesistente in (illativo); ugualmente un significato estensivo ànno i verbi nguacchià/nquacchià che nella parlata napoletana vengono usati per indicare oltre che i cennati: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare, anche l’ungere o il condire esageratamente in ispecie con sugo di pomodoro; molta meraviglia à destato in me il fatto che mentre abbia incontrato in molti dizionari della lingua italiana il termine inguacchio, in nessuno vi ò ritrovato il verbo da cui dovrebbe essere scaturito: inguacchiare… Misteri della lingua italiana!
-straverio/streverio s. m. antica voce attestata passim in ambedue le morfologie (in primis) 1cosa eccedente la realtà, sproposito (per estensione) 2 grosso errore, marchiana fanfaluca, madornale ciancia, spropositata frottola, grossolana sciocchezza, assurdità colossale;(per traslato) 3 sconquasso, rovina, evento pauroso ed impressionante; quanto a l’etimo, checché ne abbia détto il fu D’Ascoli che fantasiosamente ipotizzò un deverbale di stravedé/straveré (ma siamo poi certi che fu lui ad ipotizzare la faccenda? In effetti non penso che fosse farina del suo sacco,bensí il parto di uno dei tanti negri che lo aiutavano a stendere i suoi numerosi libri ai quali – complice la senescenza – egli non potette dare tutta la cura e l’attenzione di cui abbisognavano... lasciando correre molte inesattezze e/o fantasie!) l’etimo – dicevo – a mio avviso, sulla scia del Mormile commentatore delle opere di Barolomeo Capasso (Grumo Nevano (Napoli) 1815 -† Napoli 1900), è dal lat. extra-verum→straveru(m)→straverio;
-stroppola s.f. che letteralmente sta per filastrocca ed estensivamente baggianata, sciocchezza, errore dovuto a stupidità, idiozia, imbecillità, cretineria, stoltezza, scempiaggine; l’etimo è un diminutivo (cfr. il suff. ola) del llat. tardo stropha(m), che è dal gr. strophé, propr. 'voltata, evoluzione (del coro intorno alla timele)', deriv. di stréphein 'volgersi’ ma anche cavillo, pretesto, imbroglio;
-stupetezza s.f. che letteralmente sta per
-trummunata s.f. che letteralmente sta per trombonata, spacconata, smargiassata. e per traslato ed ampliamento semantico vale sesquipedale sproposito, immane sciocchezza, enorme cretinata, fesseria spropositata stupidaggine madornale il tutto in linea con la parole da cui deriva che non è il trombone strumento a fiato di ottone, simile alla tromba ma di maggiori dimensioni e tonalità piú bassa, normalmente dotato di pistoni o di coulisse, strumento che quantunque piú grosso della tromba, non raggiunge misure tali da esser presa a modello per tutti i significati surriportati; la voce da cui deriva trummunata è trummone che in napoletano indica sí il trombone strumento a fiato, ma indica altresí una grossa botticella lignea cilindrica, bordata di metallo,dotata di zipolo, incerneriata su i due lati opposti della circonferenza centrale, per poter comodamente ondeggiare basculando; in tale contenitore di grande capacità veniva conservata la caretteristica acqua zuffregna/zurfegna= acqua sulfurea e la capicità del trummone era ben maggiore di quella delle cosiddette mmummare in cui pure si conservava l’acqua per la vendita al minuto; il trummone era agganciato sul ripiano laterale delle cosiddette banche ‘e ll’acqua= banchetti di mescita di acqua ed altre bevande) La voce mmúmmara s.vo f.le = grande vaso di creta per acqua o vino viene dal neutro pl. greco bombýlia poi fem.le sg. con cambio di suffisso e dissimilazione *bommara→mmómmera→mmúmmera/ mmúmmara mentre la voce zuffregna/zurfegna trae da un acc.vo lat. aqua(m)sulphurínea(m)→suphrínja→surphínja→ surfegna→zurfegna con raddoppiamento espressivo della fricativa labiodentale sorda e metatesi della liquida zuffregna;
per trummone da cui trummunata, occorre pensare forse ad un lemma onomatopeico con riferimento ad un’iniziale tromma + un suff. accrescitivo, benché la voce a margine non abbia nulla a che spartire – come ò detto - con gli strumenti musicali a fiato tromba e trombone quantunque (per la sua forma panciutamente cilindrica) ‘o trummone ‘e ll’acqua è simile al grosso bombardino strumento a fiato di ottone, usato nelle bande; flicorno baritono, impropriamente détto trombone→trommone→trummone.
-zzarro svarione, errore non segnatamente volontario dovuto ad un improvviso, quanto imprevisto impedimento (cfr. l’espressione piglià 'nu -zzarro che vale errare, prendere un abbaglio,incorrere in un impedimento, inciampare in un qualcosa come ad es. un sasso sporgente; per l’etimo la voce zzarro deriva dall'arabo zahr (dado- sasso sporgente).
E qui penso di poter far punto avendo – a mio avviso – esaurito l’argomento, nella speranza d’avere accontentato, o - quanto meno - interessato l’amico F.P., qualcuno dei miei consueti ventiquattro lettori e chi altro dovesse leggermi. Satis est.
Raffaele Bracale
STUPIDO E DINTORNI
STUPIDO E DINTORNI
Tempo fa due giovani miei nipoti avevano in corso una loro disputa (per non ricordo bene quale questioncella), durante la quale il piú grande dei due gratificò l’altro d’una serie di contumelie dandogli in rapida successione dello scemo, stupido, cretino, imbecille, deficiente; sentendosi vilipeso il ragazzo mi chiese di intervenire per redarguire l’offensore, ma io non seppi dir di piú che:”Porta pazienza e consolati pensando che ti à offeso in lingua italiana; lo avesse fatto in napoletano, avrebbe potuto sotterrarti sotto una ben piú vasta e pesante coltre di contumelie!”
E per tener dietro con degli esempi presi ad illustrare le voci partenopee che traducono le cennate voci italiane;lo faccio anche adesso qui di sèguito.
Al solito diamo prima un rapidissimo sguardo alle parole italiane, per passare poi a quelle ben piú numerose della parlata napoletana;
scemo: chi à o denota poco senno,; sciocco ed insulso etimologicamente deverbale dal latino ex-semare= privar della metà di qualcosa; comp. di ex via, da ed un deriv. di símis metà;
stupido: chi denota stupidità, scarsa intelligenza e piú propriamente chi è proclive, anche senza motivo, a stupirsi; etimologicamentedal lat. stupidu(m), deriv. di stupíre 'stupire';
cretino: etimologicamente dal franco-provenz. crétin, propr. cristiano, che, usato dapprima nel significato di povero cristiano, poveraccio, à poi assunto valore spregiativo nel senso di stupido etc.;
imbecille: che, chi à scarsa intelligenza: etimologicamente dal latino imbecille(m): debole fisicamente o mentalmente;
deficiente: che, chi è intellettualmente e psichicamente inferiore alla media; etimologicamente dal latino deficiente(m) part. presente di deficere= mancare.
E veniamo al napoletano ed alle sue numerose voci che rendono queste qui or ora elencate:
alleccuto o alluccuto o anche locco: persona stupida, di aspetto poco intelligente; etimologicamente dal latino alucus per ulucus/ulluccus donde anche l’italiano allocco;
abbunato agg.vo e s.vo maschile e solo maschile che connota propriamente lo sciocco, il babbeo aduso, propenso di sua natura al bene anche nelle occasioni meno propizie; etimologicamente è voce dal lat *ad+bonu(m) addizionato d’un suffisso verbale da part. pass.: ato per cui da ad+bonu(m)+ ato si perviene ad abbunato
anchiòne: propriamente lo sciocco, il babbeo aduso a non discutere, ad accettar per buona ogni cosa, ad ubbidire, il tutto in linea con la sua etimologia che è dal latino anculus→anclu(m)→anchione(da cui il diminutivo femm. ancilla) = servo ;
babbano: che è lo sciocco, il gonzo e – per dirla con Cicerone - l’uomo di nessun numero o conto; questo napoletano babbano à in babbaleo il corrispettivo toscano e, come questo, etimologicamente una radice greca in bambaliòn dal verbo bambalein=avere l’aria attonita ed incantata;
babbio ed il suo accrescitivo, dispregiativo babbione: uomo sciocco e di poco cervello; etimologicamente dal latino bàblus sincopato di bàbulus=stolto;
babbuasso: indica il credulone, lo scioccone, lo stupidone inveterato, quasi dispregiativo e peggiorativo del menzionato babbano; etimologicamente da collegarsi (tenendo presente appunto che il suffisso asso, corrispondente al toscano accio, à in napoletano valore dispregiativo) ad un latino volgare babbius← babejus che diede anche il toscano: babbeo;
basciòscio donde anche i corrotti pachiochio/pachiochiero indicano tutti lo sciocco, rammollito, rimbambito e per estensione vuoto,smorto, privo di nerbo ; non di facile lettura l’etimologia: a bascioscio, ma piú ancora a pachiochio/pachiochiero non dovrebbe essere estraneo lo spagnolo chocho nell’accezione di molle,vuoto, ma non è peregrina l’idea che riporta il nostro bascioscio alla voce baciocco/occolo sorta di strumento sonoro di legno fatto a mo’ di scodella, dato ai fanciulli per giocarci, quale tamburello; in fondo il napoletano bascioscio connota lo sciocco vuoto di zucca;
battilocchio s.vo ed ag.vo m.le e solo m.le denota
1la persona alta, dinoccolata, ma dall’aria svogliata, pigra, fiacca, inetta, inattiva, lenta;
2lo stupido che inceda quasi, con tutte le inevitabili, dure conseguenze negative, ad occhi chiusi, anzi bendati; originariamente il battilocchio etimologicamente dal francese: battant l’oeil fu una cuffia da donna, ampia cuffia le cui falde ricadevano sugli occhi; in seguito con la parola battilocchio si finí per indicare in una sorta di sineddoche, (piú che la cuffia) chi la indossasse, anche se lasciandosi trasportar dalla desinenza maschile si appioppiò all’uomo e non alla donna (che pure indossava la cennata cuffia) il termine battilocchio; rammento poi che con il termine a margine si indica anche
3 una frittella dolce di fior di farina e lievito allungata ed intrecciata cedevole e ripiegata su se stessa quasi come il bordo della cuffia suddetta.
cacchio/cacchione: è lo sciocco, lo stupido che non à speranze di migliorare; costui viene appaiato al membro maschile inteso non come organo veicolo della riproduzione (in tal caso non sarebbe figura né dello sciocco, né dello stupido), ma come semplice e perciò sciocco veicolo dei liquidi scarti renali; etimologicamente come la parola cazzo, di cui sia cacchio che l’accrescitivo cacchione sono addolcimenti eufemistici, vengono – come altrove ricordai - da una voce gergale marinaresca greca akatiòn= albero della nave;
caccialappàscere espressione verbale divenuta agg.vo e s.vo m.le; letteralmente sta per pastorello, bifolco, villano ed indica estensivamente l’inetto, lo sciocco, lo stupido che non à speranze di migliorare; in effetti la voce in origine si riferiva essenzialmente ai pastorelli come si evince esaminandola nella sua morfologia: 1)cacciala= caccial’a = menali a, conducili a 2) pàscere (dall’omonimo lat. pascere)= pascolare; “cacciali a pascere”= menali al pascolo era l’ordine impartito al suo garzone dal padrone del gregge, ordine che divenuto aggettivo e sostantivo finí per indicare tout court il pastorello,il bifolco, il villano ed estensivamente l’inetto, lo sciocco, lo stupido capace appena appena di menare un gregge.
cannapierto: è lo stupido dall’aria melensa, che si guarda intorno con lo sguardo perso e la bocca aperta; il napoletano cannapierto stranamente, ma icasticamente piú che alla bocca fa riferimento all’organo ad essa collegato il canale della gola espressivamente reso con il termine canna, etimologicamente dal greco kànna originariamente kàna voce semita dall’ebraico qaneh;
catàmmaro: è il sempliciotto, il babbeo che necessita quasi di esser accompagnato, portato mano nella mano; infatti etimologicamente la parola è una commistione greco/latino katà + manus = mano nella mano, come alibi: pedecatapede = passo dopo passo (da pedes+ katà+ pedes );
chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola, il bonaccione, il soggetto banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo piú che rienerlo (come fa lo Zazzera) un derivato di una non spiegata voce onomatopeica chia chia , si può supporre una base lat. cloac(u)la→clacla→chiachia + il suff.masch. iello(collaterale di ello, suffisso alterativo di sostantivi e aggettivi, con valore diminutivo o vezzeggiativo o spregiativo) oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca;
chiafeo: antichissima voce maschile e solo maschile , quasi desueta che indica lo sciocco, il grullo, il melenso e per estensione il vuoto, molle, inespressivo; etimologicamente da collegarsi al greco kophòs = babbeo, attreverso l’aggettivo kophàîos;
chionzo: voce di ampia diffussione tanto da ritrovarla nel comune lessico nazionale, sebbene in quest’ultimo con attinenza al solo aspetto fisico di una persona che sia bassa, grassa e tarchiata e dunque goffa; con la medesima accezione la voce la si ritrova nel dialetto lucchese dove è: chionso/pionso ed in quello calabrese dove è : chionzu; in napoletano la voce attiene piú che all’aspetto fisico, a quello intellettivo, connotando il rozzo babbeo, dall’aria attonita e distratta; etimologicamente la voce si fa risalire unanimemente ad un longobardo klunz= goffo, rozzo;
chiòchiaro/ chiòchiero:s.vo ed agg.vo m.le antica voce ma ancóra viva nell’icastico linguaggio popolare, voce usata per indicare il melenso, sciocco babbeo di zucca vuota, accompagnandola per solito con un tipico gesto offensivo consistente nel far muovere, velocemente ed alternativamente l’avambraccio ruotandolo a dritta e mancina, tenendo la mano destra drizzata verso l’alto con le dita unite in modo che il polpastrello del pollice tocchi contemporaneamente tutti gli altri; etimologicamente piú che allo spagnolo chocho =molle, vuoto, pare che debba riferirsi al latino cochlea = conchiglia, considerata nel momento che sia vuotata del suo frutto;non è però da scartar l’ipotesi che la parola, giacché è usata anche per designare lo zotico villano, possa collegarsi alla voce chiochia che è variante di ciocia (= calzare rustico di antichissima origine, un tempo di uso comune tra i contadini e i pastori dell’Italia centro-meridionale; questo termine à per i piú un etimo sconosciuto,ma il DEI e precisamente il dottissimo prof. Giovanni Alessio, che curò la lettera C, vi lesse un lat. med. zocca (=zoccolo del cavallo),e penso si possa aderire all’ipotesi ); unendo il tipico suffisso di competenza aro/ero alla voce chiochia si arriva ai nostri chiòchiaro/chiòchiero;
ciuccio letteralmente asino, ma per traslato cocciuto, ignorante e come nel caso che ci occupa stupido, sciocco, credulone s. m. quadrupede domestico da tiro, da sella e da soma, con testa grande, orecchie lunghe e diritte, mantello grigio e un fiocco di peli all'estremità della coda, ritenuto paziente e cocciuto nonché (ma non se ne intende il perché) ignorante;ancóra piú strano e non comprensibile il collegamento semantico che se fa a stupido, sciocco e credulone; varie sono le proposte circa l’origine della parola :chi dal lat. cicur= mansuefatto domestico; chi dal lat. *cillus da collegare al greco kíllos= asino; chi dallo spagnolo chico= piccolo atteso che l’asino morfologicamente è piú piccolo del cavallo; son però tutte ipotesi che non mi convincono molto; e segnatamente non mi convince quella che si richiama all’iberico chico= piccolo, a malgrado che sia ipotesi che appaia semanticamente perseguibile. Non mi convincono altresí, in quanto m’appaiono forzate, l’idee che il napoletano ciuccio sia da collegare o all’italiano ciuco o all’italiano ciocco. Vediamo: il ciuco della lingua italiana è sí l’asino ma nessuno spiega la eventuale strada morfologica seguita per giungere a ciuccio partendo da ciuco; d’altro canto non amo qui come altrove quelle etimologie spiegate sbrigativamente con il dire: voce onomatopeica oppure origine espressiva; ed in effetti la voce italiana ciuco etimologicamente non viene spiegata se non con un inconferente origine espressiva; allo stato delle cose mi pare piú perseguibile l’idea che sia l’italiano ciuco a derivare dal napoletano ciuc(ci)o anziché il contrario. Men che meno poi mi solletica l’idea che ciuccio possa derivare dall’italiano ciocco= grosso pezzo di legno e figuratamente uomo stupido, insensibile ed estensivamente ignorante e dunque asino. No, no la strada semantica seguita è bizantina ed arzigogolata: la escludo!
In conclusione mi pare piú perseguibile l’ipotesi che la voce ciuccio vada collegata etimologicamente alla radice sciach dell’arabo sciacharà= ragliare che è il verso proprio dell’asino, secondo il seguente percorso morfologico: (s)ciach→ciuch→ciuccio; rammento che in siciliano l’asino è detto sceccu con evidente derivazione dalla medesima radice sciach dell’arabo sciacharà= ragliare.
ferlocco ed il suo metatetico frellocco: voce in voga negli anni d’antan ed oggi quasi desueta, voce divertente che si usò per indicare lo sciocco citrullo che, a maggior disdoro fosse anche vanesio e privo di sostanza in linea con l’etimologia della parola che risulta dall’unione di un latino ferla = verga vuota con il precedente locco;
fesso: esattamente lo sciocco balordo, senza una sua consistenza fisica e/o morale, in tutto in linea con il suo etimo dal latino fissus part. pass. del verbo findere =spaccare, dividere;
fogliamolla: non ci si lasci ingannare dalla desinenza femminile: la parola è un aggettivo sostantivato invariabile e lo si riferisce, senza alcuna variazione desinenziale, sia all’uomo che alla donna: ‘nu fogliamolla o ‘na fogliamolla nel significato di persona sciocca e neghittosa nonché molle tal quale la tenera foglia da cui deriva ed a cui è rassomigliata ; etimologicamente è voce del tardo latino: folia + molle(m); voce che semanticamente si attaglia, a chi di costituzione manchi di saldezza fisica, ma è usato altresí in riferimento a chi abbia poca forza, energia morale, non riuscendo mai a sostenere i propri convincimenti o le proprie idee, lasciandosi continuamente travolgere dagli antagonisti.
gliògliaro: antica voce ormai desueta che un tempo fu usata quale corruzione (ma nel medesimo significato, e medesime modalità) del precedente chiòchiaro.
lasagna e l’accrescitivo lasagnone nonché il composto pappalasagne (mangialasagne): antiche voci (non dimentichiamo che con il soprannome di lasagna il re Ferdinando II Borbone soleva appellare suo figlio Francesco II e non perché costui – come inesattamente riportato da certa frettolosa aneddotica postunitaria,pseudo-storica – fosse goloso dell’omonima pietanza, quanto perché il re riteneva suo figlio – sia pure ingiustamente – inetto e d’intelligenza poco pronta) con le quali si designavano anche con valenza bonaria, il bietolone, gracile e non molto sveglio, dal carattere cedevole ed accondiscendente, la cedevolezza che si ritrova nell’impasto di uova e farina da cui si ricava la sfoglia per trarne lasagne etimologicamente dal greco lagaròs = floscio, molle;
mammalucco: ad un dipresso lo sciocco impenitente, dall’aria frastornata, tal quale il precedente cannapierto; etimologicamente questo mammalucco è dall’arabo mamluk = schiavo, soldato prigioniero;
mamozio: illustrai già abbondantemente alibi la voce a margine, intesa come designante persona (adulto e/o ragazzo) inceppata nei movimenti o nell’espressione a mo’ di fantoccio o di pupazzo o anche di figurina mal scolpita o incisa e piú estensivamente individuo torpidamente imbambolato tale da apparire di duro comprendonio, e parlai della sua etimologia che risulta essere, checché ne dicano i proff. Cortelazzo e Marcato nel loro Dizionario dei dialetti italiani, la corruzione del nome Mavorzio da riferirsi ad una enorme, quantunque acefala, statua del IV sec. d. C. raffigurante il nobile puteolano FLAVIO EGNAZIO LOLLIANO QUINTO MESIO MAVORZIO, pretore urbano, proconsole della provincia dell’ Aquila e candidato questore, statua che fu appunto ritrovata a Pozzuoli nel corso (1704) degli scavi per l’erigenda chiesa di san Giuseppe; l’inesperto scultore chiamato al restauro della statua acefala la corredò di una testa tanto piccola da risultare sproporzionata e per giunta dall’aria melensa; i puteolani impiegarono un nonnulla per trasformare il nome MAVORZIO in mamozio accreditandolo della stupidità suggerita dal volto della piccola (segno di scarso contenuto di cervello) testa indegnamente restaurata;
- mammuoccelo: che è propriamente l’uomo dall’aria melensa ed attonita denotante mancanza di intelletto, stupidità; etimologicamente da collegarsi come corruzione diminutiva al toscano bamboccio e dunque a bambo che in origine indicò l’infante ed in seguito lo sciocco e lo stupido;
- messere: altra voce antica ed ormai desueta, di sapore ironico, voce che nel significato ironico di stupido, sciocco e credulone non si ritrova che in qualche poeta d’antan ( ad es.: E. Murolo che in una sua gustosa canzone di cui ora mi sfugge il titolo, lo usa ironicamente appunto in luogo di becco, affermando che una donna supera, se intende tradirlo, tutte le pastoie approntatele dal proprio uomo, giungendo, metaforicamente, a fumarselo e a farlo messere id est becco in quanto l’uomo è sciocco, stupido e credulone); la voce, ò detto è ironica, pur se etimologicamente starebbe per mio signore, mio sire risultando esser composta dal provenz.: mes=mio +sere/sire=signore;
- moscammocca: l’ignavo, lo scioccone, l’allocco tanto irresoluto ed immoto da starsene perennemente a bocca aperta tanto da permettere addirittura che le mosche vi passeggino dentro entrando ed uscendo ad libitum; va da sé l’etimologia che fotografa l’atteggiamento di questo ignavo aduso a portarsi la mosca in bocca che è l’esatta traduzione di moscammocca (mmocca infatti è: in+bocca );
mucchione: è propriamente non il bambino, ma l’adolescente o anche l’adulto fatto cosí sciocco, melenso, inetto tanto da non esser capace o non avvertire la necessità di ripulirsi del moccio che gli coli dal naso; etimologicamente da qualcuno si vorrebbe correlare la voce ad un generico latino murcus>murcius =stolto, ma – rammentato quanto appena detto - penso che non è o sarebbe scorretto pensare ad un deverbale del latino muccare che è da muccus= moccio, catarro; tuttavia non è da scartare neppure l’ipotesi che mucchione sia l’accrescitivo, dispregiativo di mucchio(che è da un latino cumulus >muculus>muc’lus>mucchio) nel senso di uomo grosso e grasso e dunque stolto e sciocco tenendo presente il luogo comune partenopeo per il quale: ommo gruosso bubbelis es = l’uomo grosso è sciocco , dove il maccheronico bubbelis è corruzione di bàblus sincopato di bàbulus=stolto;
-
- ntòntaro/ntonto : propriamente lo stupido, il melenso ed il perennemente frastornato; voce in doppia lezione [di cui la seconda è semplificazione della prima] di tutta l’area mediterranea: la si ritrova anche in Sicilia: ‘ntòntaro, in Sardegna: dòndaro oltre che in Portogallo e Spagna dove è solo tonto tal quale l’italiano tonto; per tutte le voci l’etimologia è latina: tonitus = stordito come chi è colpito dal tuono; cfr.il toscano attonito;
- ‘ntruglione : propriamente il bietolone dal viso inespressivo, incapace di discernere; non bisogna dimenticare infatti che la parola ‘ntruglione non è che l’accrescitivo di ‘ntruglio che non è il toscano intruglio= mescolanza di sostanze diverse, ma è, gastronomicamente, l’intestino d’agnello abbondantemente speziato e avvolto strettamente su sé stesso al segno di non poterlo piú dipanare, cotto su braci ardenti;
- ‘nzallanuto ed il derivato zallo (caro al commediografo Raffaele Viviani, vocabolo che per quanto mi sia affannato a ricercare, non ò trovato che solo nell’Alfabeto napoletano dell’amico Renato De Falco) che significano l’uno il confuso, lo stordito, l’altro lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú;etimologicamente ambedue le voci sono da collegarsi piú che al latino in-sanire, al greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente; a meno che il vocabolo zallo, non sia corruzione di tallo (che è dal lat. tàllus, forgiato sul greco tallòs; di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto e ben potrebbe per traslato indicare con la sua tenera consistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo;
- papurchio: è lo stolto inveterato che, a maggior disdoro, sia anche poco prestante fisicamente; etimologicamente deriva dal latino baburculu-m, diminutivo di un baburcu-m= stolto e melenso;questo l’iter morfologico: baburculu-m→ baburc(u)lu-m→baburclum→baburchio→papurchio.
- purpetta: evidente traslato dispregiativo e non perché la polpetta da cui purpetta non sia cibo gustoso e saporito,in ispecie se fritta e non cotta al forno, ma, in quanto preparato con carne trita, si presta al concorso di piú residui di tagli di carne anche non pregiati presenti sul banco del macellaio, che intrugliandoli può conferire una preparazione anche di scarto, come di scarto viene a dimostrarsi il soggetto gratificato della voce a margine;
- rapesta: altro paragone dispregiativo di cui vien gratificato l’uomo inetto e dappoco, come dappoco è la rapa (latino: rapistrum)selvatica che lo rappresenta;
- scapucchione: epiteto per solito riferito a ragazzo dalla testa grossa, ma ovviamente vuota, ed estensivamente all’adulto che si ostini a restare ragazzo, non venendo a capo mai di nulla, né quanto a comprensione, né quanto ad azioni; voce violentemente ironica ed offensiva forgiata com’è quale accrescitivo intensivo (vedi la solita prostesi della iniziale esse,intensiva ed il suffisso one) della parola capocchia (che è dal latino capuclum←capiclum per capitulum diminutivo di caput) che nel napoletano indica però il glande, testa notoriamente poco atta al raziocinio;
- scatozza: precisamente: ignorante, babbeo, scioccone; si tratta di una antica voce, ormai però abbondantemente desueta, nata in ambito teatrale dove fu il nome proprio di un ridicolo personaggio goffo, sciocco, stupido ed ignorante; uscito dall’ambito teatrale il termine trasmigrò come aggettivo in quello letterario dei poeti partenopei secenteschi, e da esso entrò nel linguaggio comune;
- sciabbecco: precisamente il bietolone, lo sciocco, lo stupidone aduso a piegarsi ad ogni vento, come che mentalmente vuoto e privo d’ogni opinione e/o cognizione; in origine lo sciabecco (dal turco sumbeki, attraverso un arabo šumbûk) indicò un lungo e stretto naviglio, veloce, ma – per la sua esile consistenza – facilmente preda dei venti e dei marosi;
- sciacqualattuca inetto, incapace, sciocco colui che al massimo può essere utilizzato in compiti di nessuna importanza, apparentemente semplicissimi come quello di lavare la verdura; in effetti la voce risulta formata agglutinando la voce verbale sciacqua ( qui 3° p. sg. ind. pres. dell’infinito sciacqare/sciacquà=lavare sommariamente con acqua; lavare con acqua una cosa già lavata per toglierne i residui di detersivo o di sapone;dal Lat. tardo exaquare, deriv. di aqua 'acqua') con la voce lattuca = lattuga s. f.
1 pianta erbacea coltivata negli orti, le cui foglie larghe e tenere si mangiano in insalata (fam. Composite) | lattuga di mare, alga marina dal tallo increspato, di color verde chiaro (fam. Ulvacee).
2 gala di merletto o di tela inamidata e increspata, che gli uomini portavano per ornamento sul davanti delle camicie; gorgiera; l’etimo della voce napoletana, come quella italiana è dal lat. lactuca(m), deriv. di la°c la°ctis 'latte', per il liquido lattiginoso che secerne; il sign. 2, per sovrapposizione di lattuga allo sp. lechuga
- sciaddeo/sciardeo : esattamente lo sciocco,l’inetto l’incapace buono a nulla e per estensione talora smorto, pallido,vuoto; rammenterò qui che sciaddeo/sciardeo son la medesima parola: nella seconda si è verificato il fenomeno del parlato popolare di rotacizzare la prima d, ma la parola è la stessa; per quanto riguarda l’ etimologia di sciaddeo escludo a priori che la si debba riferire al nome dell’apostolo Giuda Taddeo che con sciaddeo à solo una tenua assonanza, non risultando da nessuna sacra scrittura (vangeli – atti degli apostoli – lettere etc.) che il suddetto Giuda Taddeo fosse uno sprovveduto o un incapace, e propendo per il verbo greco skedao= comportarsi da sbandato e/o sprovveduto; ancora ricorderò che dal femm. di sciardeo,cioè da sciardea si trasse il diminutivo sciardella nel significato di donna inetta, di casalinga incapace di fare i donneschi lavori di casa con attenzione e secondo i crismi dovuti; a Napoli è 'na sciardella la casalinga che lavi le stoviglie, facendosele scappare di mano e rompendole, che lavi i pavimenti con poca acqua, che spolveri superficialmente, che riponga gli abiti in modo raffazzonato, cosí che riprendendoli uno li trovi stazzonati e gualciti al punto di non poterli indossare, una donna insomma inetta ed inaffidabile, una sbadata patentata.
Esiste anche un peggiorativo del termine ed è sciuazza, peraltro addolcimento – attraverso l’epentesi di una efelchistica u – di un’originaria sciazza (che è dal latino ex-apta=inadatta)inteso troppo duro o volgare;
- sciamegna/sciamenchia: e cioè lo sciocco, il grullo, l’allocco; la parola, con un arzigogolo mentale, trasferisce una probabile deficienza corporale ad una ben piú grave deficienza mentale: etimologicamente infatti la parola deriva da un (mo)scia + megna o(mo)scia + menchia dove megna/menchia stanno ovviavente per minchia (che è dal latino méncla collaterale di mèntula diminutivo di menta = membro maschile) nella pretesa che un uomo impossibilitato o incapace di avere un’erezione debba esser uno sciocco, uno stupido o un allocco;
- scialabbacchione: di per sé il balbuziente che come incapace di farsi capire, è conseguentemente stupido e sciocco; etimologicamente la parola è un deverbale del latino ex-alapare = balbettare;
- sciosciammocca: come altrove, anche questo sciocco, credulone, facilmente circuibile, nasce come personaggio del teatro popolare partenopeo ed agí in numerose piéces comiche fino a quando il famosissimo commediografo Eduardo Scarpetta (Napoli 1853 -1925, padre naturale dei fratelli De Filippo: Eduardo, Titina e Peppino)non se ne impossessò, facendone una sua creazione, rendendolo protagonista – col nome di Felice o Feliciello Sciosciammocca - di innumerevoli pocàde, molte delle quali tratte da originali francesi; dal teatro poi il nome sciosciammocca, diventato aggettivo dilagò nel parlato partenopeo; preciso qui che la parola sciosciammocca sebbene abbia ad un dipresso il medesimo significato della precedente moscammocca, non va confusa con essa in quanto la precedente fa riferimento a qualcuno che per ignavia lascia addirittura che le mosche gli passeggino in bocca, questo sciosciammocca a margine identifica colui che per ignavia ed inettitudine avrebbe bisogno di chi gli soffiasse in bocca per raffredare i bocconi troppo caldi che avesse ingurgitato;
smocco ed il suo accrescitivo smuccone connotano il medesimo individuo sciocco, melenso, inetto di cui al precedente mucchione al quale vanno riferiti come intensivi, intensività rappresentata dalla solita prostesi della esse;
stòteco/stuóteco/a : agg.vo e s. m.le o f.le letteralmente ( con derivazione etimologica da un incrocio delle voci latine stu(ltum) + (idio)ticu(m)) è
1lo/a stolto/a,il/la rimbambito/a, lo/la stordito/a
2 per ampliamento semantico incostante, incerto/a,insicuro/a, lunatico/a indeciso/a, irresoluto/a, dubbioso/a, esitante, titubante, tentennante.
stucchione/strucchione: propriamente il perticone, lo spilungone inteso come vuoto di mente o – per l’eccessiva altezza – perennemente con la testa nelle nuvole e quindi svagato e stupido; etimologicamente stucchione/strucchione provengono al napoletano, attraverso uno spagnolo estuche da un antico provenzale estug = canna secca e perciò vuota;
- tòtaro che sta per tòtano: originariamente un mollusco della specie dei calamari; il fatto che sia un mollusco à fatto pensare ad una sorta di mollezza caratteriale dell’uomo gratificato del termine tòtaro (etimologicamente da un greco teythís attraverso un latino tòtilus con normale cambio delle liquide l→r), quantunque di per sé il tòtano non sia sempre vuoto (come invece lo stupido cui si appaia) ed anzi venga quasi sempre preparato abbonbantemente imbottito (‘o totaro ‘mbuttunato) rammenterò a margine che con la parola tòtaro, nel comune parlato napoletano, con altra valenza, si indica pure il membro maschile eretto, al segno che nella smorfia napoletana al numero 67 è codificato: ‘o tòtaro dint’ â chitarra a significare il coito in atto;
- turzo: per significare lo sciocco, lo stupido completamente inutile, anzi da scartare tal quale il torsolo (per solito poco edibile) di ortaggi o torsolo di altro; in napoletano infatti ‘o turzo non è solo il torsolo di cavolfiore o broccolo, ma si ànno anche: ‘o turzo ‘e bbotta: il residuo di un fuoco d’artificio combusto, e ancòra ‘o turzo ‘e penniello: ciò che resta di un pennello da barba lungamente usato, perciò logoro ed inutile; tutti questi turzi sono inutilizzabili, da buttar via e – per traslato – stupidi, sciocchi etc. etimologicamente turzo è dal latino tursus = stelo, gambo;
- zimeo: siamo giunti alla fine della nostra elencazione e ci imbattiamo in una parola che serve ad indicare il finto tonto colui che in perfetta malafede, fa ‘o francese o se veste ‘a fesso facendo le viste di non capire o di non comprendere per esimersi dal compiere qualcosa cui invece (o per dovere o graziosità) sarebbe tenuto; per cui piú che con uno sciocco si à a che fare con un ignobile furbastro; etimologicamente zimeo risulta essere una popolaresca contrazione d’un zio (zi’) (Bartolo)meo personaggio non meglio identificato, ma ricordato nel comune popolare come un avaro aduso a non addivenire mai a conferimento di danaro, trincerandosi dietro la scusa di non aver capito.
Raffaele Bracale
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GENNARINO NUN DICE BUSCIE;ETC.
GENNARINO NUN DICE BUSCIE; DICE ‘NU CUOFANO ‘E FESSARIE.
Ad litteram: Gennarino non dice bugie; dice un cumulo di sciocchezze.
Cosí, con la locuzione indicata si suole prender giuoco di ogni persona notoriamente bugiarda , poco credibile, millantatrice; l’espressione nacque allorché esistette in Napoli un tal Gennarino, venditore ambulante di panzarotti fritti (gustosissime frittelle di patate, di origine meridionale che, come alibi scrissi, sarebbe piú giusto, anche in italiano, continuare a chiamare panzarotti e che invece impropriamente vengon dette crocchette) che era solito magnificare la propria merce in modo esagerato sottolineando le sue parole con l’aggiunta di una sorta di giuramento: Gennarino nun dice buscie (Gennarino non mente!). Atteso che la merce, invece, non era cosí buona come magnificato dal venditore, gli scugnizzi napoletani presero a canzonarlo aggiungendo al suo giuramento una caustica chiosa: dice ‘nu cuofano ‘e fessarie. (dice un cumulo di sciocchezze) volendo significare che il sullodato Gennarino, in qualsiasi caso (si trattasse di bugie o di sciocchezze) mentiva e la sua merce era scadente!
buscía (di cui buscíe è il plurale) = bugia, menzogna ed altrove piattello ansato per ragger le candele; nel significato di bugia è parola derivante dal provenzale bauzía che è dal francone bausi = menzogna, malignità; nel senso di piattello ansato per regger candele deriva dal nome della città algerina Bugiaya dove si producevano tali piattelli e da dove, pare, s’importasse la cera per produrre le candele;
cuofano = cesto, corbello e per traslato gran quantità, abbondanza; dal latino cophinu(m)= cesta, normale il passaggio della i atona ad a atona, in parole sdrucciole;
fessaria= cosa da nulla, sciocchezza, inezia e per traslato bugia macroscopica; etimologicamente da fesso (rotto, spaccato e poi sciocco) p.pass. del verbo findere (rompere, spaccare) + il suff. di pertinenza arius/aro + la desinenza tonica ía; rammenterò che la stessa parola con i medesimi significati si ritrova pure nella lingua ufficiale sebbene in quest’ultima l’originaria ed etimologica a ovviamente aperta, la si sia sostituita con una pretestuosa e chiusa (ritenuta forse, ma scioccamente, piú consona dell’aperta a alla elegante (sic?) dialetto di Alighieri Dante, ottenendo cosí in luogo di fessaria una non migliore fesseria. Raffaele Bracale
UDINESE – NAPOLI (25.02.13) 0 A 0‘A VEDETTE ACCUSSÍ
UDINESE – NAPOLI (25.02.13) 0 A 0
‘A VEDETTE ACCUSSÍ
È ‘na jastemma menata, guagliú E ce à cuóvete!N’ata delusione guagliú ajeressera a Udine... Me penzavo ca ‘e guagliune cuane fossero jute a vvencere facennoce scurdà quacche amarezza ‘e campiunato e d’ E/L .... e ‘mmece chi t’ ‘o ddà, chi t’ ‘o ddà! Ajeressera a Udine pure si ‘o Napule facette isso tutt’ ‘a partita e ll’Udinese se difennette sulamente pure a mmuorze, a ccauce, e a ppizzeche, nun riuscettemo a vvencere e ‘o fullé fenette cu ‘nu desulato (squallido) zero a zzero ‘nu poco pecché ll’Udinese facette trancara (muraglia) ‘nnante ô purtiere suĵo,’nu poco pecché a mMazzarri lle mancajeno ll’amice ‘e Maria De Filippo ‘e jucà cchiú spriggiudicato, ‘nu poco pecché Cavani e Marekiaro sbagliajeno ddoje bboni accasione e ‘nu poco pecché chella fetenzia ‘e ll’arbitro Damato nun ce dètte no uno, ma dduje ricure. Cunchiusione? ‘Ncunchiusiuone ‘o Napule perdette n’ata accasione ‘e tenè ‘o passo d’ ‘a juventús(sa) e mmo viernarí ca vene ll’à dda ‘ncuntrà stanno a sseje punte ‘nsotto! È ‘na jastemma menata, guagliú, mannaggia ê cane ‘e canciello! Passammo ê ppaggelle va’:
DE SANCTIS s.v. Maje ‘mpignato seriamente,nun êtte manco pavà ‘o biglietto.
CAMPAGNARO 6+ S’è ggià upuschizzato (promesso) a ll’Inter, ma cuntinua a ghiucà – e assaje bbuono – p’ ‘o Napule, dimustranno granna prufessionalità.
CANNAVARO 5, 5 Avette vita facile ‘ndifesa, ma quanno se trattaje ‘e custruí ‘o juoco aizaje porvera e s’abbuscaje pure ‘nu cartellino jalizzo.(da ll’85° DZEMAILI s.v.)
BRITOS 6,5 Cumplessivamente ‘nu fullé attiento e priciso cumpresa ‘na granna chiusura ‘nvelocità ‘ncopp’ a Di Natale sfujuto a cCannavaro.
MESTO 5 Ô primmo aione riuscette a menà ‘mmiezo quacche cruzzo, purtroppo inutile, ma a ll’arranqua tiraje ‘e rimme a bbuordo e s’assettaje.(da ll’89° ZUNIGA s.v.)
BEHRAMI 5,5 Bbona ‘a ruttura d’ ‘o juoco avverzario, ma lassaje assaje a ddesiderà ‘nfase ‘e repartita (ripartenza).
INLER 5 Cumplessivamente ‘a chietta (coppia) ‘e centrocampisti sguizzeri lla miezo nun suddisfacette. ‘O “Lione” ’e De Chiacchiaroniis troppo spisso e cu risultati scarze tentaje quacche inutila cunchiusione ‘a luntano ca nun preoccupaje maje a pPadelli.
(dô 61° PANDEV 5,5 – Ll’urdema rredda ll’êva signata a ll’annata e pproprio contro a ll’Udinese.Ajeressera sulo quacche bbuonu pasiglio (passaggio) , comme a cchillo ca purtaje Armero a tu pe ttu cu Padelli, ma cumplessivamente nun lle riuscette ‘e dà ‘a sterzata justa ô Napule!)
ARMERO 6,5 – Atalossa attienta e ttutta ‘agnanemità (generosità). Se ‘mpignaje assaje magnannose ‘a curzia soja cu ccegna e sciato; mettette dinto ddoje granni ppalle ca êsseno pututo fruttà ll’uno a zzero, ma nun fujeno sfruttate nisciuna ‘e tutt’ ‘e ddoje: una pe cCavani ca ‘a uttanta centimetro dâ linia ‘e porta se facette anticipà e chell’ata p’ ‘a capa ‘e Marekiaro ca, muollo, muollo ‘a passaje ô purtiere.N’ato arbitro ll’êsse dato ‘nu ricore a ffavore, p’essere stato tirato ‘nterra p’ ‘a maneca dint’â camma ‘e ricore, ma Damato nun ce ‘o dette, anze ll’amunette ‘ngiustamente pe simulazziona.Cose ‘e pazze!
HAMSIK 4,5 Avesse allimmeno jucato diece minute o miso dinto chillu pallone avuto da Armeno! Ma ajeressera Marekiaro, chi sa’ pecché, nun ce stette proprio e me facette magnà ‘a rezza d’ ‘o core!
INSIGNE 5,5 Quacche nummero sulo ô primmo aione quanno fuje vivace e vulenteroso, ma tenette troppo ‘a palla e ‘a ‘ntesa ci cCavani scarsiggiaje. Poco cuncreto.
CAVANI 4,5 Ancòra ‘na vota a ssicco ‘o giuvinotto, ca cchiú ce penzo e cchiú me cunvinco ca nun è ‘o vero Cavani, ma sulo ‘nu dublo, ‘na controfijura: ‘o vero Cavani chillu pallone d’ Armero ll’êsse menato dinto, nun se fósse fatto anticipà. È overo ca Damato nun le dètte ‘nu ricore sacrusanto p’essere stato cauciato e aizato ‘a terra dint’â camma ‘e ricore, ma oramaje è cchiú ‘e ‘nu mese ca ‘o guaglione nun è isso e à perduto ‘o cuntatto cu ‘a rredda. Sperammo ca me sbaglio e ca ‘o guaglione me scunfessasse ô san Paolo â prossima vota contro â juventús(sa), ma pe mmo nun pozzo metterle ‘e cchiú! E me dispiace!
All.MAZZARRI 4,5 Sbracciarse nun servette a nniente! Chella d’ajeressera fuje ’na partita ca s’avesse avuto ’a vencere assolutamente e a isso lle mancaje ‘o curaggio ‘e accummincià ‘o fullé cu ‘o quatto – tre – ttre. È naturalmente, pure si ‘mparte, respunzabbile d’ ‘o calo d’ ‘a scuatra soja dinto a ‘sta fase pre-primmaverile.Troppo teluse (tardivi) ‘e cagne cu zZuniga e Dzemaili; rutto pe rrutto i’, ‘mmece d’ ‘o sguizzero êsse visto meglio a cCalaiò.
arbitro DAMATO 3 Vecchia carta canusciuta st’avvocato ‘e Barletta(e comme a ppugliese quase certamente tifoso juventino) è ‘nu chiafeo, fúceto e sciacqualattuca(incapace) e ati vvote addirittura vennuto!Turnato a diriggere ‘o Napule doppo paricchiu tiempe dê ‘nguacchie fatte precedentemente ‘ndanno d’ ‘o Napule, tentaje ‘e tutto pe dà fastidio ê cuane mettennose pe ‘mmiez’ê piere d’ ‘e napulitane custrette a scartà primma a isso e ppo ê jucature ‘e Guidolín(no) e nun vedenno ‘o juoco viulento e pruvucatorio d’ ‘e delinquente cu ‘a maglia janca e nnera; ausaje dduje pise e ddoje mesure; largo ‘e maneca cu ‘e nurdiste e stritto ‘e pietto cu ‘e napulitane comme a cCannavaro ca â primma accasione s’abbuscaje ‘o cartellino jalizzo. M’aspettavo però ‘e peggio ‘a ‘stu barlettano, ca ripeto – comme a ttutte ‘e puglise – quase certamente è tifoso juventino...,e cumminfatte nun me sbagliaje; ‘o nnacchennello ce annijaje no uno, ma dduje ricure comme aggio già ditto!
Cunchiudenno che putimmo dicere? Ca p’ ‘o Napule ‘o campiunato fernette ajere? Gnernò: ‘o campiunato è ancòra luongo e, si Mazzarri cagna mentalità,si ‘e jucature se decideno a ccaccià ll’amice ‘e Maria De Filippo, quaccosa ‘e bbuono ‘o putimmo ancòra fà... pure si i’ nce spero poco (sapenno a mMazzarri) e m’accuntentasse ‘e riuscí a difennere ‘o siconno posto; p’’o vencerlo ‘o scutetto aspettammo ‘e cagnà allenatore e ddirettore generale e aspettammo ca De Chiacchiaroniis addeventa quaccuno dint’ ô Palazzo. Ca si no levàmmoce ‘stu penziero ‘a capa e nun ce facimmo zimàire (illusioni) inutile!
Staveti bbe’ e si dDi’ vo’ ce sentimmo sàpato ca vene doppo d’ ‘o fullé cu ‘a juventús(sa)!
R.Bracale Brak
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