mercoledì 20 maggio 2020

ARRICURDARSE D’ ‘O CIPPO A FFURCELLA etc.


ARRICURDARSE D’ ‘O CIPPO A FFURCELLA, D’’A LAVA D’’E VIRGENE, D’‘O CATAFARCO Ô PENNINO, D’‘O MARE Ô CERRIGLIO.    (con codicillo)
Ad litteram: Rammentarsi del pioppo a Forcella, della lava dei Vergini, del catafalco al Pendino e del mare al Cerriglio.
L’espressione viene pronunciata a caustico commento delle parole di qualcuno che continui a rammentare/rsi  cose o luoghi o avvenimenti  ormai remotissimi quali, nella fattispecie, i pioppi esistenti alla fine di via Forcella; per il vero la parola originaria dell’espressione era chiuppo ( id est: pioppo; chiuppo etimologicamente è da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populu(m); tipico il passaggio in napoletano PL→CHI).
La  parola chiuppo fu   poi,sulla bocca del popolo che l’usava, corrotta in cippo e cosí mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa  poi  sono ricordati vari altri accadimenti , quali 1)- ‘a lava d’’e Virgene(la lava nella parlata  napoletana, etimologicamente dal  lat. labe(m)→laba(m)→lava(m) è'caduta, rovina', deriv. di labi 'scivolare' non indica solamente la massa fluida e incandescente costituita di minerali fusi, che fuoriesce dai vulcani in eruzione: colata di lava., ma indica  anche estensivamente  una copiosa, quasi  torrentizia caduta di acqua; ed è a  quest’ultima che qui  si fa riferimento;   (con l’espressione ‘a lava d’’e Virgene  si intende infatti   quel tumultuoso torrente di acqua piovana  che a Napoli  fino agli inizi degli anni ’60 del 1900, quando furono finalmente adeguatamente  sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di Capodimonte sulla sottostante via dei Vergini (cosí chiamata  perché nella zona  esisteva un monastero di Verginisti antica congregazione religiosa di predicatori)  e percorrendo di gran carriera la via Foria  si adagiava, placandosi, in piazza Carlo III, trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura  e tutto ciò che capitasse lungo il suo precipitoso  percorso)
,2) - ‘O CATAFARCO  AL PENDINO (id est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino, altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta, del Corpus Domini; in primis la parola catafarco (di etimo incerto, ma con molta probabilità da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra+  l’arabo falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana (  anche cosí nel napoletano, con derivazione forse da un antico castellame (voce del XIV SEC. con cui si indicava la torretta lignea posta sulla groppa degli elefanti e nella quale si acquattavano i soldati; la voce, derivata probabilmente da castello, subí nel napoletano un adattamento corruttivo del suffisso me  che divenne na  per render chiaramente  femminile la parola originariamente maschile, nella convinzione, che già alibi illustrai, che gli oggetti femminili fossero piú grandi o grossi o imponenti dei relativi maschili; l’adattamento corruttivo di me in  na si rese necessario, atteso che per errore non si  muta la  desinenza nel  volgere al femminile un nome terminante in me  ed invece di  farlo diventare terminante  nell’ovvio ma, si continua a mantenere il suffisso me  ; fu nessario perciò cambiar questo me  in na (desinenza che, quanto al genere non produce confusione)!) dicevo che la voce catafalco  che di per sé indica il tronetto ligneo   su cui veniva un tempo, al centro della chiesa,  sistemata la bara durante i funerali solenni,  qui è usato per  traslato ad indicare un altare molto imponente), infine:
3) - ‘O MARE AL CERRIGLIO (cioè al tempo di  quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto, nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli; nella medesima zona del Cerriglio  esistette (1600 circa) una antica bettola o osteria , peraltro frequentata da ogni tipo di avventori dai nobili (che vi venivano a provare l’ebrezza dell’ incontro con il  popolino), ai plebei (che per pochi soldi vi si sfamavano), agli artisti (in cerca di ispirazione) alle prostitute (in cerca di clienti); abituale frequentatore di questa bettola pare fosse, durante il suo soggiorno partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio   Caravaggio o Milano, 1571  Porto Ercole (Monte Argentario), 18 luglio 1610) . sulla  porta di detta bettola   erano riportati i seguenti popolareschi versi epicurei se non edonistici:
Magnammo, amice mieje, e ppo vevimmo
nfino ca  stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
stace
= ci sta; il ce  dal lat. volg. *hicce, per il class. hic 'qui'in posizione enclitica corrisponde, svolgendone le medesime funzioni, all’italiano  ci  che è pron. pers. di prima pers. pl. [atono; in presenza delle particelle pron. atone lo, la, li, le e della particella ne, viene sostituito da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce ne importa?; in gruppo con altri pron. pers., si prepone a si e se: ci si ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la posposizione: si ci mette); si pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo (piú com.: ci affidiamo a te)]; vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in posizione sia proclitica sia enclitica);
lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per traslato vita  etimologicamente derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di lux lucis 'luce', o piú probabilmente  deverbale di luceo con il suffisso di appartenenza ernus/a;
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m)  che significò bottega ed osteria  ed è in quest’ultimo significato che la voce  fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B/V, nella parlata napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse puteca.
A margine e completamanto dell’espressione in epigrafe rammento che talora per commentare icasticamente  le parole di qualcuno che continui a rammentare/rsi  cose o luoghi o avvenimenti  ormai remotissimi, s’usa dire: “Eh, quanno currette ‘a lava d’ ‘o seje!”  con riferimento però non alla torrentizia caduta d’acqua di cui antea,ma alla rovinosa, perniciosa colata lavica dell’ eruzione del Vesuvio risalente al 21 aprile del lontano 1906, quella cioè che dalle ore 5.30 circa del  4 e sino a tutto   il  21 aprile 1906  interessò il  versante meridionale del Vesuvio risultando  la maggiore eruzione del Vesuvio nel 20° secolo, eruzione che nel quarto  giorno  con caduta di cenere e lapilli, oltre ad interessare sensibilmente i paesi vesuviani ad est del vulcano tra cui Ottaviano e S.Giuseppe Vesuviano  e Napoli, raggiunse anche la PugliA.
Codicillo
A margine di tutto quanto scritto e segnatamente in riferimento all’espressione  arricurdarse ‘o cippo a fFurcella soprattutto per ciò che concerne il termine cippo
derivato, nel significato di pioppo, da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populu(m) con  tipico  passaggio in napoletano di  PL a CHI [cfr.  plus→cchiú, platea→chiazza, plumbeum→chiummo, clavum→chiuovo, plattu-m→chiatto etc.).], mi corre l’obbligo di dare una risposta ad un mio cortese lettore che mi à contestato sia l’origine che il significato del termine cippo  che per l’amico lettore varrebbe “stele funeraria” derivata da una voce dotta lat. cippu-m. L’amico lettore non si è reso conto che il “cippo” [stele funeraria] è un termine della lingua nazionale, risalente [cfr. DEI] al XVI sec. cioè al 1500, ed è ben diverso dal cippo napoletano che à altra origine e significato ed è ben piú datata di quella della lingua nazionale atteso che era già usata sin dal 1300 e ciò senza dimenticare che l’idioma  napoletano  non è tributario dell’italiano, ma una  parlata autonoma, spesso ad ampia diffusione regionale,   figlia del tardo latino e di quello volgare e parlato,   ricca di storia e di   testi  ed usatissimo per secoli in tutto il meridione. E m’auguro che l’amico si convinca! Satis est.
  
                                                            Raffaele Bracale
                                                           

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