giovedì 21 maggio 2020

S’’O PPENZA CCHIÚ ISSO CA ‘O GGRANO D’’A CARASTÍA


S’’O PPENZA CCHIÚ ISSO CA ‘O GGRANO D’’A CARASTÍA
Accontento qui di seguito o m’auguro di farlo l’amico B.Z. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di  riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di mettere a fuoco portata, significato e valenza dell’  antica espressione in epigrafe, molto usata un tempo e che ancóra si può cogliere sulle labbra dei napoletani d’antan.
Comincio col dire che l’espressione ad litteram si rende con: Si loda, si insuperbisce, si vanta [dei suoi meriti e della sua importanza]piú lui che [non]il grano [coltivato e raccolto] in tempo di carestia ed è espressione riferita a dileggio di soggetto tanto superbo, presuntuoso, arrogante, altezzoso, orgoglioso, immodesto, borioso e pieno di sé da gloriarsi dei propri meriti, veri o supposti, piú di quanto si glorierebbe il grano ipoteticamente coltivato e mietuto in tempo di carestia quando notoriamente si verifica  mancanza o grave insufficienza di derrate alimentari, in seguito a cause naturali (maltempo, epidemie), o guerre, crisi economiche, ecc. La voce napoletana carastía [etimologicamente  dal lat. mediev. caristìa,è un derivato  di *carestum, part. pass. di carere «mancare»] vale l’italiano carenza, scarsità, penuria, mancanza, scarsezza, povertà, miseria, indigenza, ristrettezza,.    E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento,  d’aver adeguatamente risposto all’amico B.Z.   e spero d’avere altresí interessato  i miei consueti ventiquattro lettori.
Satis est. R.Bracale Brak

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