venerdì 25 luglio 2008

PROVERBI E LOCUZIONI VARII 12

1 Futtatenne!
Letteralmente:Infischiatene, non dar peso, lascia correre, non porvi attenzione. È il pressante invito a lasciar correre dato a chi si stia adontando o si stia preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Tale icastico invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono principale (accanto a sant’Antonio abate, sant’Agrippino,sant’Attanasio ed altri minori) della città, san Gennaro (Benevento 272 - † Pozzuoli 19/9/305?), venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un declassamento del loro santo e temwendo che il loro patrono se ne potesse adontare, scrissero sui muri cittadini: SAN GENNÀ FUTTATENNE! Volevano lasciare intendere che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma.
2 Fà ‘e uno tabbacco p''a pippa.
Letteralmente: farne di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa.
3 Fà trenta e una trentuno.
Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X(nato Giovanni di Lorenzo de' MedicI (Firenze, 11 dicembre 1475 †Roma, 1 dicembre 1521), fu Papa dal 1513 alla sua morte) che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò un trentunesimo.
4 Essere carta canusciuta.
Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve.
5 Essere cchiú fetente 'e 'na recchia 'e cunfessore.
Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato.
6 'E ppazzie d''e cane fernesceno a ccazze 'nculo.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche.
7 Amicizia stretta, se spezza cu 'na mazza.
Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; non viene meno la vera amicizia per futili motivi.
8Tanno se chiamma grano, quanno sta 'int' a' votta.
Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: i risultati per potersene vantare, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura.
9 Tre ccalle e mmescamméce.
Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che si intromette nelle faccende altrui, che vuol sempre dire la sua. Il tre calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui per contrazione si ebbe il nome di callo che al plurale è calle. La locuzione significa: con poca spesa si interessa delle faccende altrui.
10 Chi se fa masto, cade dint' ô mastrillo.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai boriosi presuntuosi e supponenti che con sfacciata sicumera son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per fare la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare.
mastrillo= trappolina per topi – sost. masch. derivato del b. lat. mustriculu(m).
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