giovedì 24 luglio 2008

PROVERBI E LOCUZIONI VARII 4

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1 Cu chestu lignammo se fanno 'e strommole.
Letteralmente: con questo legno si fanno le trottoline. Id est: Non attendetevi risultati migliori, perché con questo materiale che ci conferite non possiamo che fornirvi cose senza importanza e non altro! In una seconda valenza la locuzione sta a significare: badate che ciò che ci avete richiesto, il manufatto che volete si fa con questo (scadente) materiale, non con altro piú pregiato...
strommole plur. irreg. femminile del masch. sing. strummolo= trottolina di legno dal lat. *strombolu(m)→strommolu(m) che è dal greco strómbos
2 'O pesce vo' tre effe: Frisco Fritto e Futo.
Il pesce vuole tre effe: fresco, fritto e futo cioè vuoto ossia ben eviscerato. Il napoletano il pesce lo ama in frittura non bollito, giacché usa dire che il pesce bollito è buono per i malati; ciò vale naturalmente quando il pesce sia di piccola taglia e si possa friggere a dovere, mentre per il pesce grosso o da taglio a Napoli si preferisce cuocerlo sulla griglia o al forno.
3 Cu 'nu NO te spicce e cu 'nu Sí te 'mpicce!
Letteralmente: con un NO ti liberi e con un SÍ resti impicciato. Id est: il rifiuto o il diniego comportano sempre dei vantaggi, mentre l'accondiscendere reca seco grossi problemi; il rispondere di no ad una richiesta comporta in effetti disagio solo al momento del diniego, ma il risponder di sí comporta innumerovoli e continuati disagi per tutto il tempo necessario a dar corso a quanto promesso.
4 Addó nun ce stanno campane, nun ce stanno puttane.
Letteralmente: dove non ci sono campane, non ci sono prostitute. Va da sé che il proverbio non deve essere inteso in senso strettamente letterale, giacché - per fare un esempio - nelle terre islamiche non vi sono campane, ma ciò non significa che non vi siano prostitute. Le campane della locuzione devono essere intese come segno di un'avvenuta conurbazione di un luogo, volendo affermar che le prostitute è piú facile trovarle là dove vi siano possibili clienti piuttosto che in luoghi disabitati dove piú rari possono essere i fruitori dell'opere delle prostitute.

5 Dicette vavone: Levamme 'a 'ccasiona...
Letteralmente: disse il trisavolo: Lasciamo stare... Id est: Occorre lasciar correre e non accapigliarsi ad ogni pie' sospinto, togliendo - anzi - l'occasione, ossia lasciando cadere i motivi prossimi che ci spingerebbero al contrasto; è l'invito alla pace anche rimettendoci.
6 Chi 'a fa cchiú sporca, è priore.
Letteralmente: chi si comporta peggio, diventa priore. Id est: chi vuole arrivare al comando deve esser peggiore degli altri. Amaro principio che però parte dalla disincantata osservazione della realtà nella quale per assurgere ai posti di preminenza occorre comportarsi male, anzi peggio.
7 Pígliate 'a bbona, quanno te vène, pecché 'a trista nun manca maje.
Letteralmente: Cogli la buona (occasione) quando ti si presenta, perché i momenti cattivi non mancano mai... È ad un dipresso il medesimo concetto del carpe diem oraziano con l'aggiunta di una pessimistica, ma non pleonatica, motivazione.
8 Mare a chi à dda avé e viato a chi à dda dà
Letteralmente: Meschino chi deve avere e beato chi deve dare. A prima vista parrebbe il contrario, ma l'attenta osservazione della realtà fa concludere che è esatto ciò che afferma il proverbio; in effetti il creditore che si trovi in una posizione di attesa è in una situazione peggiore del debitore che, avendo già ottenuto ciò che à determinato la sua posizione debitoria, può - magari - rimandare sine die la soluzione del suo debito risultando cosí privilegiato rispetto al suo creditore che à già conferito un quid
9 Farne cchiú 'e Petro BIALARDO.
Farne piú di PETRO BIALARDO Con l’espressione in epigrafe si vuole bollare il comportamento scorretto di qualcuno che abbia commesso numerose gravi malefatte al punto di esser ritenuto esecutore di scorrette azioni, tali da superare per numero e qualità quelle commesse da un tal Petro Bialardo. Non v’è identità di vedute circa la vera identità del suddetto BIALARDO. Opinione corrente è quella che identifica Petro Bialardo con l’astrologo salernitano Pietro Bailardo, vissuto nel XII secolo ed arso sul rogo nel 1149, accusato di magia. Secondo quando tramandato dal poeta Luca Pazienza,(poeta di cui per altro non si conoscono né vita, né opere) si vuole che al momento del trapasso, il Crocefisso della Chiesa prossima al luogo del rogo, abbia compiuto un grande miracolo, ma trattandosi di storie sorte in ambito medioevale, periodo incline alla nascita di leggende è difficile credere che il suddetto mago si sia veramente macchiato di azioni cosí riprovevoli tali da diventare pietra di paragone per gli altrui misfatti. Altra tesi ravvisa in Petro BIALARDO nient’altro che la corruzione del nome di PIETRO ABELARDO (1079 – 1142) filosofo e teologo, questo sí realmente esistito..., vissuto a Parigi dove insegnò e dove conobbe in casa del teologo FULBERTO (che lo ospitava) la di lui nipote ELOISA e se ne innamorò pazzamente, diventandone l’assiduo amante e sollevando lo sdegno del Fulberto, che – per vendetta -lo fece evirare. Il comportamento libertino e licenzioso di Abelardo fu ritenuto in epoca medioevale esempio di azioni riprovevoli, di talché non è errato ipotizzare che il Bialardo della epigrafe sia proprio il suddetto ABELARDO.
10 Fà 'a spina 'e pesce.
Letteralmente: far la spina di pesce. Id est: non portare a compimento un'operazione qualsivoglia, tentando di rimandarne il compimento e la conclusione sine die, nella speranza agendo in questo modo, di riceverne il maggior beneficio possibile, beneficio che verrebbe meno qualora si portasse a compimento l'operazione principiata. La locuzione che vien riferita a chiunque truffaldinamente cerchi di guadagnare attardandosi nel portare a buon fine ciò che à principiato nacque a ricordo di ciò che avvenne ad un povero pescatore che, lavorando, si ferí ad una mano nella quale s'era conficcata una spina di pesce. Per esser medicato, il pescatore si recò presso la casa di un medico al quale portò in omaggio una spasella (cestello) di pesce fresco. Il medico, operò una sommaria medicazione e congedò il pescatore invitandolo a ritornare dopo un paio di giorni. Il pescatore ritornò dopo alcuni giorni recando altro pesce freschissimo e la scena continuò a ripetersi parecchie volte fino a che un giorno il pescatore non trovò in casa il medico, ma un figliolo di costui che esercitava la medesima professione paterna. Ebbene, il giovane medico resosi conto che la mano non sarebbe guarita fino a che la spina fosse rimasta infissa nella ferita riuscí ad estrarla dalla mano, che medicata fu avviata a guarigione. Tornato a casa il vecchio medico, il giovane figlio, pensando di essere complimentato, gli comunicò che aveva liberato il pescatore della sua maledetta spina. Al che il disonesto genitore lo redarguí violentemente dicendogli all’incirca: Stupido, comportandoti come ti sei comportato ài perduto il beneficio di ricevere ancora gratuitamente del buonissimo pesce fresco!
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