PETI & SCOREGGE / SCORREGGE nella lingua italiana e nella parlata napoletana.
Questa volta- quasi cedendo (diciamo) all’ istigazione dell’amico neretino prof. Armando Polito - mi occuperò delle voci italiane in epigrafe e delle corrispondenti voci napoletane.
A prima vista l’argomento potrebbe apparire disdicevole e non interessante, ma dal punto di vista linguistico esso offre il destro per parecchie considerazioni.
Comincerò col dire che in italiano con la voce peto, che al plur.è peti, e con le voci coreggia/correggia (al plur. coregge/corregge) o anche scoreggia/scorreggia (al plur. scoregge/scorregge) si indica e senza alcuna particolare distinzione un’emissione spesso rumorosa ma talvolta anche silente di gas intestinali attraverso l’ano; l’emissione può esser poi piú o meno maleolente.
La parlata napoletana, piú attenta della lingua nazionale alla precisione, offre per indicare l’emissione di gas intestinali attraverso l’ano a dir poco tre o quattro voci diverse che connotano precise situazioni eruttive: píreto, péreta,lumèra, lume a ggiorno, loffa.
Cominciamo con l’esaminare le voci dell’italiano, per poi metter mano a quelle del napoletano.
peto: s. m. generica emissione di gas dagli intestini; l’etimo è dal lat. pēditu(m), deverbale di pēdere 'fare peti';
coreggia/correggia (al plur. coregge/corregge) o anche scoreggia/scorreggia (al plur. scoregge/scorregge) che à sostituito nell’uso comune le precedenti antiche coreggia/correggia; si tratta di sostantivi femminili e tutte le voci sia quelle con la erre scempia che nella variante con la erre geminata indicano senza troppa precisione una generica emissione di gas dagli intestini;
per quanto riguarda l’etimo la faccenda non è di semplice soluzione atteso che le voci, sia nella forma di coreggia/correggia che in quella di scoreggia/scorreggia, ànno lasciato grande spazio di discussione.Lasciando da parte i soliti pilateschi vocabolaristi che si trincerano dietro affermazioni di comodo del tipo: etimo incerto/etimo sconosciuto affermazioni che come ò detto alibi, mi procurano attacchi di orticaria, dirò che per quanto riguardo coreggia/correggia che nel suo significato primo vale striscia, cinghia di cuoio l’etimo è dal lat. corrigia(m);con molta probabilità il rumore secco provocato dallo schioccare di una cinghia di cuoio à determinato il passaggio semantico della coreggia/correggia = striscia, cinghia di cuoio a coreggia/correggia = peto devo sospettare rumoroso;
diversa l’etimologia di scoreggia/scorreggia = peto forse rumoroso; in questo caso non mi appare perseguibile l’idea, peraltro portata avanti da qualcuno che scoreggia/scorreggia altro non sia che una coreggia/correggia cui sia stata anteposta una esse durativa. Trovo molto piú convincente l’idea che una esse intensiva sia stata anteposta ad una voce marcata sul greco (kor)-korigè= gorgoglío del ventre donde s+korigè→scoreggia→scorreggia.
E veniamo alle voci napoletane; cominciamo con una voce antica, diciamo onnicomprensiva, che indicò in origine un peto rumoroso e successivamente il medesimo suono, non emesso piú dall’ano per liberare i visceri dai gas intestinali, ma (per offesa e/o dileggio) emesso dalla bocca ad imitazione del suono emesso dall’ano; tale voce fu = vernacchio s.n. con etimo dal t. lat. vernaculu(m)= cosa scurrile voce derivata dal sost. verna= schiavo nato in casa; quando poi la parola passò ad indicare non propriamente la scorreggia, ma il suono imitativo d’essa, da vernacchio si passò (con un tipico adattamento fono-morfologico napoletano che spesso muta la v nelle labiali esplosive p e b e viceversa) a pernacchio; e proseguiamo:
= píreto s.n. che indica l’emissione rumorosa,anche in piú toni successivi e continuati, ma mai maleolente, di gas intestinali ; l’etimo come per l’italiano peto dal lat. . pēditu(m), deverbale di pēdere 'fare peti' con tipica rotacizzazione osco-mediterranea d→r e con altrettanto tipica chiusura della vocale tonica lunga ē→i che se fosse stata breve ĕ o intesa tale (non dimentichiamo che nel tardo latino la lunghezza delle medesime toniche furono lette in maniera diversa al nord o al sud dell’Urbe) avrebbe dato non i ma per dittongazione ie;
= péreta s.f. che indica una lunga emissione molto rumorosa,anche in piú toni successivi e continuati, ma mai maleolente, di gas intestinali; quanto all’etimo si tratta della femminilizzazione del precedente píreto: il passaggio dal maschile al femminile si à in napoletano quando si voglia indicare una cosa intesa piú grande (nella fattispecie piú rumorosa e di maggior durata) della corrispondente maschile (cfr. altrove cucchiara= mestola del muratore piú grande di cucchiaro= cucchiaio da minestra, tina piú grande di tino,tavula piú grande di tavulo, tammorra piú grande di tammurro etc.Fanno eccezione tiana piú piccola di tiano e caccavella piú piccola del caccavo).
A margine della voce péreta ricorderò che con essa voce per furbesco traslato, altrove, con linguaggio pungente ed addirittura crudo, si indica un tipo di donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,altresí una donna di malaffare o anche solo che sia una demi vierge o che voglia apparir tale..
e ciò soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine péreta (mi ripeto) è il femminile metafonetico di píreto e come femminile è inteso piú rumorosa e di maggior durata, piú grande del corrispondente maschile. Rammenterò altresí che a Napoli nel libro partenopeo dei sogni da cui si ricavano i numeri per il lotto, specialmente in quello con figure destinato agli analfabeti, libro che è detto smorfia voce che etimologicamente si fa risalire a Morfeo, nome del mitologico dio del sonno, dicevo che nel libro partenopeo dei sogni al numero 43 è addirittura codificata l’espressione 43 – ‘Ònna PÉRETA fora ô barcone = letteralmente donna Péreta fuori (affacciata) al balcone; ci troviamo cioè dinnanzi ad una locuzione usata come divertente, icastica immagine per mettere alla berlina una donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata etc.che si compiace di sbandierare (addirittura al balcone!) le sue pessime qualità; si tratta di una locuzione nella quale si è – per cosí dire – aumentato il valore del nome comune péreta facendolo diventare un nome proprio, probabilmente nell’intento di dare maggiore incisività all’espressione riferendola non ad una generica,ipotetica donna, ma ad una ben significante in quanto provvista d’un nome proprio!
Segnalo ora qui a margine di píreto e péreta alcune divertenti espressioni partenopee che suonano:
= Fà ‘e pírete annante â bbanda
Letteralmente: fare i peti innanzi la banda. Icastica divertente espressione con la quale si suole indicare l’atteggiamento spocchioso, ma inconferente, quando non fastidioso o deleterio di tutti i saccenti e/o supponenti (accreditati appunto ‘e jí facenno ‘e pirete annante â bbanda= di andar facendo i peti innanzi la banda), beceri parolai, appaiati nel loro comportamento vanesio o pericolosamente irritante e sgradevole, a quei tali mazzieri che precedono, agitando (e non sempre a tempo!...) un bastone, dando le terga ai componenti la banda musicale cui, spesso, sono – come i saccenti – piú di fastidio che di aiuto in quanto, profittando della posizione, possono impunemente (coperti come sono dal suono bandistico) aggredire con una salva di peti i malcapitati componenti la banda, impossibilitati, per la obbligata posizione, di vendicarsi rispondendo loro per le rime;
di pírete plurale di píreto= peto ò già detto;
annante/annanze = davanti, innanzi avv. e prep. impr. da un lat. *in + antea;
banda complesso di sonatori di strumenti a fiato e a percussione: banda militare, municipale.voce derivata dal fr. bande o dal provenz. banda, entrambi col significato di 'insegna'in quanto in origine i componenti una banda musicale non avevano, come è oggi, una divisa comune , ma solo un nastro legato al braccio a mo’ di insegna;
mazzieri plurale di mazziere chi, munito di mazza (donde il nome) , precede un corteo o una processione o segna il tempo a una banda musicale.
=À fatto ‘o pireto ‘o cardillo
Ad litteram: il cardellino à fatto il peto Locuzione usata a salace commento degli incoferenti, risibili risultati raggiunti da chi non abbia concrete capacità operative e sia cosí poco efficiente da esser tenuto in non cale o in nessuna considerazione al pari del flebile peto che- emesso da un cardellino - non produce alcuna conseguenza degna di nota o di attenzione.
= Paré 'nu pireto annasprato
Ad litteram:sembrare un peto inzuccherato Fantasiosa ed irreale locuzione con la quale viene indicato chi saccente, supponente e vanesio si dà l'arie di valente superuomo, ma essendo in realtà privo di ogni concreto supporto e fondamento alle sue pretese virtú può solo esser paragonato ad un peto che, sebbene inzuccherato, rimane pur sempre la stomachevole, fastidiosa cosa che è.
= Si comme tiene 'a vocca, tenisse 'o culo, farrìsse ciento pírete e nun te n'addunasse.
Ad litteram: se come ài la bocca, avessi il sedere faresti cento peti e non te n'accorgeresti; il proverbio è usato per
bollare l'eccessiva, spesso vanagloriosa verbosità di taluni, specialmente di chi è logorroico e parla o per autoesaltarsi a sproposito, oppure parla a vanvera, senza alcun costrutto, secondo il costume di chi - come si dice - apre la bocca per farle prendere aria, non per esprimere concetti veritieri e/o sensati.
culo = culo, sedere; etimo:dal lat. culum che è dal greco koilos – kolon
addunasse= accorgeresti voce verbale (cong. Imperfetto 1° 2°e 3° p. sg.(qui ovviamente 2°)) di addunà/arse= accorgersi; etimo: franc. s’addonner (darsi, dedicarsi).
=S'à dda fà 'o pireto pe quanto è ggruosso 'o culo.
Letteralmente: occorre fare il peto secondo la grandezza dell'ano. Id est: bisogna commisurare le proprie azioni alle proprie forze e capacità fisiche e/o morali evitando di eccederle per non incorrere o in brutte figure o in pessimi risultati. Corrisponde ad un dipresso al concetto espresso dall’italiano: occorre fare il passo non piú lungo della gamba! Ma quanto piú icasticamente significativa l’espressione partenopea rispetto a quella dell’italiano!, se solo si tenga conto agli effetti disastrosi che possono tener dietro alla mancata applicazione del suggerimento o dalla norma espresso/a; nel caso dell’espressione dell’italiano il massimo dell’effetto negativo che so otterrebbe nel tentare un passo piú lungo della propria gamba, consisterebbe in un contenuto strappo muscolare o in una scucitura o sdrucitura della gamba d’un eventuale pantalone indossato nell’occasione; ben piú gravi gli effetti negativi di un peto esploso in maniera debordante rispetto al proprio fondo schiena, effetti che si sostanzierebbero nella involontaria perdita di materiali fecali con imbrattamento degli abiti indossati e proditoria emanazione di cattivo odore.
= 'O scarparo e 'o bancariello: nun se sape chi à fatto 'o pireto
Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi à fatto il peto.
Icastica espressione che viene usata con intento chiaramente canzonatorio allorché in una situazione che non presterebbe il fianco a difficili interpretazioni, ci si trovi ad avere come contraddittore qualcuno che, non volendo riconoscere la propria responsabilità, mesta nel torbido nell’ignobile tentativo di scaricarla su altri , addirittura su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come nel caso dell'espressione a margine, sarebbe un deschetto che manca dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe sciocco e pretestuoso addebitarli a lui in luogo del calzolaio, l’unico nella fattispecie, provvisto dell’organo atto a produrre peti, l’unico perciò tenuto ad accollarsi la responsabilità d’aver generato peti;
- scarparo = letteralmente è il fabbricante di scarpe, con etimo da un acc. tardo latino scarpariu(m) derivato di scarpa (che a sua volta è da un antico tedesco skarpa = tasca di pelle) addizionato del suff. di pertinenza arius→aro, ma in napoletano – per consuetudine operativa – con la voce a margine s’indica non il fabbricante di scarpe, ma il calzolaio, il ciabattino = colui che ripara scarpe; però costui piú acconciamente, in napoletano è detto: solachianiéllo (da sòla voce verbale derivata da suolare + chianèlla = pianella e cioè scarpa bassa e piana (composto dal lat. planum; normale il passaggio di pl→chi);
- bancariello = letteralmente è un piccolo banco (con etimo dal longobardo bank); nella fattispecie è quello che viene detto in italiano deschetto che è il tavolino da lavoro del calzolaio; deschetto è il diminutivo di desco che è dal lat. discu(m) 'disco', per la forma circolare abituale della mensa che è il significato primo di desco.
Esaurito in tal modo l’argomento sui partenopei peti rumorosi, passiamo ad illustrare le voci napoletane che indicano i peti silenziosi, ma disgustosamente maleolenti; a seconda della gravità del puzzo emanato avremo in ordine crescente:
= lumèra sost. femm. che indicò dapprima una striscia di polvere pirica usata come miccia libera; successivamente la parola fu usata per indicare il lume a gas; sia la striscia di polvere pirica, sia il lume a gas (usati a partire dal 1840 a Napoli per l’illuminazione domestica ad imitazione della illuminazione a gas delle strade cittadine fatta nel 1839, ma voluta a partire dal 1837 (primo esperimento effettuato con 20 lampioni a gas ubicati difronte ai giardini di palazzo reale) da Ferdinando II Borbone-Napoli; come dicevo sia la striscia di polvere pirica, sia il lume a gas una volta accesi erano modestamente maleolenti e ciò determinò il passaggio semantico per indicare per traslato con la parola lumèra (che è dall’antico francese lumière, che è dal lat. luminaria, neutro pl. di luminare 'lampada, fiaccola' ) sia un peto silenzioso moderatamente maleolente, sia – come ora dirò – una donna becera e volgare moderatamente irascibile; molto piú puzzolente della lumèra fu il
= lume a ggiorno locuzione sostantivale usata per indicare il lume a petrolio sistema d’illuminazione domestica diffusasi a partire dal 1860 perfezionando un’idea del francese F. Amie Argand che, fra il 1783 e il 1785, aveva realizzato una lampada nella quale lo stoppino era tubolare cavo: conseguentemente alla fiamma arrivava molta piú aria, la combustione era migliore e si limitava, anche se non si eliminava del tutto il fumo nero tipico di una cattiva combustione che aggiungeva il suo puzzo a quello combustile usato (petrolio);
= loffa sost. femmile che con etimo dal tedesco luft/loft= aria indica un’emissione di gas intestinale silenziosissima, ma disastrosamente puzzolente, emissione la piú maleolente ipotizzabile.
Per completezza dirò poi che le tre ultime voci (lumèra, lume a ggiorno, loffa) sono per ampliamento semantico riferite, come la pregressa péreta ad una donna becera e volgare,che è detta perciò (a seconda della gravità del comportamento becero, volgare, fastidioso etc.) alternativamente lumèra o lume a ggiorno o addirittura loffa; atteso che una donna becera e volgare à nel suo quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla, tale prender fuoco facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumèra) o di quello a petrolio ( lume a ggiorno) ambedue molto maleolenti; l’accostamento semantico a loffa è spiegato col fatto che come quest’ultima manifesta silentemente i suoi sgradevoli tremendi effetti olfattivi, cosí una donna becera e volgare pur avendo nel suo quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla,usa talvolta l’accortenza di non manifestare eclatantemente la propria ira, ma lo fa in modo quasi silente facendo avvertire non il montar dell’ira, ma solo i suoi effetti devastanti paragonabili appunto a quelli tremendi della silenziosa loffa.
In chiusura ed a margine di tutto quanto détto intorno ai peti e le scorregge segnalo qui di sèguito il verso finale tratto dallo Sgruttendio, La tiorba a taccone, corda II, sonetto XIII, verso che suona “Crepa lo piezzo, e sanetà a la palla !” verso posto dall’autore sulla bocca di una innamorata che con détte parole giustifica l’operato d’un suo innamorato al quale era inverecondamente scappato un vernacchio (scorreggia) in presenza della ragazza, la quale giustificandolo ricorda che tromba di culo, sanità di corpo!
In effetti traducendo quasi ad litteram il verso si à: (quando) crepita il pezzo (cioè il culo), (ne à) salute il corpo (qui nascosto sotto la parola palla... cosa che si può chiarire precisando che in napoletano la parola pezzo accanto a molti altri significati à pure quello di bocca da fuoco e nella fattispecie la bocca da fuoco atta ad esplodere vernacchi(scorregge) è esattamente il culo; d’altro canto la parola palla usata dallo Sgruttendio è chiaramente riferita ad un ventre gonfio (a mo’ di palla) che prima o poi per liberarsi dell’aria indurrà il culo ad esplodere un vernacchio liberatorio, e se ne deduce che da questa azione ne trarrà giovamento la palla (il ventre gonfio) e per sineddoche tutto il corpo.
Quanto al verbo crepa (3° pers. sing. ind. pres. dell’infinito crepare/crepà) usato dallo Sgruttendio preciso che in napoletano esso non è da intendersi nel significato dell’omofono italiano crepare dove vale spaccare, fender(si), scoppiare; nel napoletano specialmente d’antan il verbo crepà giusta il suo etimo dal tardo lat. crepare = crepitare, far risuonare' indicò appunto il crepitare di qualcosa; per spaccare, fender(si), scoppiare il napoletano à spaccar(se), lesiunà,fellar(se), fellià, lesiunà,sengar(se), scuppià etc. e solo i meno esperti della parlata napoletana usano crepà nel senso di scoppiare.
A margine di tutto quanto détto ricorderò che il napoletano accanto alla voce pernacchio ne à una sua femminilizzazione che è
= pernacchia voce femm. che però non indica un tipo di scorreggia, ma è, come dirò, una semplice ingiuria ; la voce pernacchia non deve confondersi con l’omonima voce italiana con la quale si rende il pernacchio napoletano (e non si capisce perché l’italiano si sia inventato una pernacchia e non abbia accolto (come invece è accaduto per tantissime altre voci) il napoletanissimo pernacchio (che – per dirla con don Peppino Marotta – sia che sia lungo o corto, massiccio o sdutto, aquilino o camuso è sempre maschio, costruttivo, solerte ed aggiungerei io persino diligente e zelante, laddove l’italiana pernacchia sempre per dirla con don Peppino Marotta è molle, pigra, tumida, bianca, sdraiata ed aggiungerei io persino indolente, svogliata, negligente sciatta, trasandata ed improduttiva. perché mai, dicevo l’italiano abbia sostituito con pernacchia il napoletano pernacchio voce adattissima ad indicare quel suono volgare (imitativo della scoreggia) emesso con un forte soffio a labbra serrate, in segno di disprezzo o di scherno; ma torniamo alla napoletana pernacchia che è una bruciante offesa che si rivolge ad una donnaccola brutta, ripugnante e dai modi volgari che tuttavia, nel tentativo di farsi notare ed accettare usa agghindarsi in maniera ridondante ed appariscente attirandosi in tal modo spesso il dileggio di coloro che la guardino, e che spesso usano nomarla pernacchia; l’etimo di pernacchia è dal lat. vernacula 'cose servili, scurrili'neutro plur (poi inteso femm.). di vernaculum deriv. di verna 'schiavo nato in casa'
Satis est.
Raffaele Bracale
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