VARIE 73
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1 - Quanno si 'ncunia statte e quanno si martiello vatte
Letteralmente: quando sei incudine sta’ fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ci è favorevole.
quanno avv. di tempo = quando, in quale tempo, in quale momento, nel tempo in cui, nel momento in cui (con valore temporale), ogni volta che, tutte le volte che (con valore iterativo), giacché, dal momento che (con valore causale), mentre (con valore avversativo) se, qualora (con valore condizionale, seguito dal verbo al congiunt.) derivato del latino quando con consueta assimilazione progressiva nd→nn;
‘ncunia sost. femm. = incudine con etimo da un aferizzato lat. volgare parlato *ancunia ed *incunia da collegarsi ad un lat. tardo incudine(m), deriv. di incudere 'battere col martello', comp. di in-(illativo) e cudere 'battere'; talvolta in napoletano, specialmente antico (Basile ed altri) in vece della voce a margine aferizzata ‘ncunia si trova il pretto latino volgare parlato ancunia senza variazioni di sorta;
statte = ad litteram: sta’/stai+ tu voce verbale (2° pers. sing. Imperativo ) dell’infinito stare/stà= fermarsi interrompendo un movimento; restare immobile, ma anche costare (es.: quanto sta?= quanto costa) ed anche accettare, prestar fede (es.: me stongo a cchello ca tu dice= presto fede a ciò che tu dici.) estensivamente: accettare sopportando con etimo dal lat. stare;
martiello sost. masch. = martello con etimo dal lat. martellu(m)=martulu(m) diminutivo di *martus sinonimo del classico marcus;
vatte =batti, picchia, percuoti voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito vàttere= picchiare, percuotere, colpire, percuotere con le mani o con un arnese; urtare con forza con etimo dal lat. tardo bàttere, per il class. battúere con consueta alternanza partenopea b/v.
2 - 'Mbarcarse senza viscuotte.
Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche.
Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche piú giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua anche marina non ancora inquinata.
‘mbarcarse/’mmarcarse = imbarcarsi voce verbale infinito riflessivo dell’infinito ‘mbarcà = imbarcare, salire da passeggeri o merci su di una nave, su di una imbarcazione e, per estens., anche su altri mezzi di trasporto; voce denominale di barca questa volta stranamente, senza la tipica alternanza partenopea b/v che rende barca→varca;
senza= senza, privi di, indica mancanza, esclusione, privazione (si unisce ai nomi direttamente e ai pronomi personali o dimostrativi mediante la prep.’e= di); l’etimo è dal lat. (ab)sentia, che all'ablativo significa 'in mancanza di'
viscuotte sost. masch. plur. di viscuotto= biscotto innanzitutto piccola pasta dolce a base di farina, zucchero, uova e varî altri ingredienti, a seconda delle forme e dei tipi, cotta a lungo in forno perché risulti asciutta e croccante, ma qui, piú acconciamente: pane cotto due volte perché sia conservabile a lungo; etimologicamente dal lat. biscoctu(m) 'cotto (coctum) due volte (bis)
con consueta alternanza di b/v, ed assimilazione progressiva di ct→tt.
3 -'O sparagno nun è maje guaragno...
Il risparmio non è mai un guadagno..Le merci acquistate ad un prezzo palesemente inferiore a quello di mercato, il più delle volte nascondono una magagna (difetto di fabbricazione nel caso di strumentazioni, specialmente elettroniche, prossimità della scadenza in caso di prodotti alimentari) di talché alla fine il preteso o atteso risparmio si tramuterà in una perdita secca quando occorrerà ricomprare la strumentazione difettosa, o buttare il prodotto alimentare per acquistarne di più fresco, dimostrando la veridicità dell’assunto che cioè quasi sempre ciò che appare essere un profitto, è in realtà si è rivelato come una perdita, un passivo, una rimessa.
sparagno= risparmio, economia, profitto etimologicamente deverbale di sparagnà(= risparmiare, consumare con parsimonia ) che è forgiato su un antico italico * sparmiare che con l’anaptissi della a diede *sparamiare e con la variazione di mi→gn come in scigna←simia;
guaragno/guadambio sostantivo masch. = utilità ,frutto, vantaggio;
deverbale di guaragnà/guadagnà derivato dal francone *waidanjan, da waida 'pascolo'; propr. 'pascolare', quindi 'trarre un profitto; per la forma guadambio che è deverbale di guadambià,ci troviamo di fronte ad una voce frutto di un fuorviante ipercorrettismo popolare che attesa erronea la desinenza agno di guadagno/guaragno, pensò di renderla migliore mutandola in un ambio inteso più elegante di agno.
4 - S'à dda fà 'o pireto pe quanto è ggruosso 'o culo.
Becero, ma icastico consiglio che letteralmente è : occorre fare il peto secondo la grandezza dell'ano. In forma meno cruda, a senso può rendersi: occorre fare il passo per quanto è lunga la gamba (evitando strappi muscolari o dei pantaloni!)Id est: bisogna commisurare le proprie azioni alle proprie forze e capacità fisiche e/o morali, evitando di eccedere per non incorrere o in brutte figure o in pessimi risultati. Nell’inteso partenopeo la brutta figura preconizzabile o i pessimi risultati producili, nel caso di ostinarsi a far peti più vasti del proprio deretano, sarebbero rappresentati dall’imbrattamento dei vestiti operato dalle proprie feci emesse in uno con gli ampi peti eccedenti le possibilità fisiche, o – per traslato – qualsiasi altro effetto negativo prodotto dalle azioni eccedenti di chi operasse al di là delle proprie possibilità o facoltà.
s’à dda fà ad litteram è: si à da fare che è il modo napoletano di rendere il si deve fare, occorre fare; si à è la voce verbale impersonale (3° pers. sing. indicativo presente) dell’infinito avere/avé = avere, tenere, possedere ma in unione con la preposizione semplice da id est: avere ‘a = avere da vale dovere, occorrere; avere/avé etimologicamente è dal lat. habére da una radice indo-europea sah= hab= tenere; nel napoletano c’è la tipica alternanza b/v ed aferesi dell’aspirata d’avvio h intesa superflua ed inutile;
fà = fare infinito della voce verbale fare/fà con etimo dalla sincope del latino fa(ce)re; chiarisco qui che molti scrittori napoletani usano scrivere in napoletano l’infinito a margine: fa’ con una forma apocopata che non ritengo esatta: il monosillabo fa’ può anche adombrare la 2° pers. sing. dell’imperativo apocopato di fare e cioè: fai= fa’; preferisco per ciò usare per l’infinito la forma tronca fà forma omologa di quasi tutti gli infiniti dei verbi napoletani che risultano apocopati, ma tonicamente accentati sulla sillaba finale (es.: mangià=mangiare, campà=campare, saglí = salire, sentí = sentire, cadé= cadere;etc. );
pireto sost. masch. = peto, emissione gassosa intestinale, rumorosa, ma raramente fetida al contrario della loffa, emissione gassosa intestinale, silenziosa, ma olfattivamente tremenda; etimologicamente pireto è dal lat. peditum deriv. di pedere ' fare scorregge', mentre loffa è da collegarsi al tedesco luft/loft= aria;
pe quanto locuz. avverbiale con varî valori: concessivo, limitativo (ed è il ns. caso)= per quanto, nella misura in cui, limitatamente a;
quanto etimologicamente è dal lat. quantum;
gruosso aggettivo qualif.= grosso, che à dimensioni notevoli (per volume, capacità, spessore, corporatura, estensione) con etimo dal tardo latino grossu(m) tipica la dittongazione uo←o nella sillaba d’avvio intesa breve;
culo sost. masch. culo, sedere, deretano ed estensimamente fondo di un sacco, fondo di un recipiente di vetro: il culo di un fiasco, di una bottiglia, culi di bicchiere; etimologicamente dal tardo latino culu(m) da un greco koîlon e kolon (intestino).
5 - Chi se mette cu 'e criature, cacato se trova.
Letteralmente: chi intrattiene rapporti con i bambini, si ritrova sporco d'escrementi. Id est: chi entra in competizione con persone molto più giovani di lui o intrattiene rapporti con persone non particolarmente serie, è destinato a fine ingloriosa; per solito chi contratta con i bambini dovrà sopportarne le amare conseguenze, derivanti dalla naturale mancanza di serietà ed immaturità dei bambini, la medesima immaturità che denotano coloro che non ànno serietà di comportamento o di pensiero.
mette = mette,ma pure intrattiene rapporti, contratta; voce verbale (3° pers. sing. ind. presente) dell’infinito mettere= mettere, porre ma pure, come qui intrattenere rapporti, contrattare con etimo dal lat. mittere 'mandare' e 'porre, mettere';
criature esattamente sost. plurale di criaturo/ra= bambino/bambina; il plurale criature che in napoletano vale sia per il maschile che per il femminile con la sola differenza che preceduto dall’art. determ. plurale, il maschile ‘e (i) criature= ibambini si scrive con la c scempia, mentre il femminile ‘e (le) ccriature= le bambine vuole la c geminata; rammenterò che nel caso del proverbio in epigrafe è stato usato il termine maschile ‘e criature, inteso termine generico indicante un determinato lasso di età, onnicomprensivo dei maschi e delle femmine e non dei soli bambini maschi;
cacato di per sé cacato, defecato ma qui vale lordato, sporco d’escrementi e per traslasto perdente, sconfitto; voce verbale (part. passato aggettivato masch.) dell’infinito cacare/cacà che è dal basso latino cacare;
se trova = si trova, ne ricava voce verbale (3° p.sing. indicativo presente) dell’infinito truvar-se= riceverne, ricavarne, ottenerne;
incerto l’etimo del verbo truvà anche se quasi tutti concordemente parlano di un lat. volg. *tropare= esprimersi mediante tropi, dal class. tropus 'tropo' (qualsiasi uso linguistico che trasferisca una parola dal significato suo proprio a un altro figurato; traslato: la metafora, la metonimia ecc.
6 - Mo abbrusciale pure'a bbarba e po' dice ca so' stat' io!
Letteralmente: Adesso àrdigli anche la barba e poi di' che sono stato io... La locuzione viene usata con gran risentimento da chi si voglia difendere da un'accusa, manifestamente falsa.
Si narra che durante un'Agonia (predica del venerdì santo)un agitato predicatore brandendo un crocefisso accusava, quasi ad personam, i fedeli presenti in chiesa dicendo volta a volta che essi, peccatori, avevano forato mani e piedi del Cristo, gli avevano inferto il colpo nel costato, gli avevano calzato in testa la corona di spine lo avevano flaggellato con i loro peccati e così via. Nell'agitazione dell'eloquio finì per avvicinare il crocefisso in maniera maldestra ad un cero acceso correndo il rischio di bruciare la barba del Cristo. Al che, uno dei fedeli lo apostrofò con la frase in epigrafe, entrata a far parte della cultura popolare...
mo avv. di tempo =ora, adesso, in questo momento ed anche talora, come nel caso in esame, nel significato estensivo di anche, in aggiunta; la maggior parte degli addetti ai lavori fa derivare l’avverbio da quello latino modo= ora, adesso e qualche vocabolarista della lingua italiana dove il napoletano mo vi è pervenuto negli identici significati di ora, adesso, in questo momento , è costretto a scriverlo mo’ con il segno dell’apocope indicante la caduta della sillaba do, incorrendo però fatalmente nella confusione tra il mo’ avverbio di tempo ed il mo’ s. m. troncamento del sostantivo modo, usato solo nella loc. a mo' di, a guisa di, in funzione di: a mo' d'esempio; per non incorrere in simili confusioni preferisco ritenere il mo avv. nap. a margine, derivato dall’avv. latino mox con caduta della sola consonante x , caduta che non necessita di alcun segno diacritico come avviene anche per co/cu(con) derivato di cum o pe (per) e ciò a malgrado si ritenga che, secondo le regole della glottologia, la caduta di una consonante doppia x=cs dovrebbe pur lasciare un residuo, fosse anche un segno diacritico, ma le eccezioni esistono proprio perché vi son le regole!;
abbrusciale= brucia+gli voce verbale (2° per. sing. imperativo) (addizionata in posizione enclitica del pronome obliquo le=gli, a lui )
dell’infinito abbruscià=bruciare, ardere che è dal latino volgare *ad brusiare rafforzativo di brusiare;
pure congiunzione =quand'anche; sebbene, tuttavia, nondimeno, eppure (con valore avversativo) al fine di (introduce una prop. finale implicita con il verbo all'inf. oppure avverbio= anche (con valore aggiuntivo), proprio, davvero (con valore asseverativo) derivato dal lat. pure 'puramente, semplicemente' e anche, nel lat. tardo, 'senza riserve, senza condizione;
barba sost. femm.= barba l'insieme dei peli che crescono sulle guance e sul mento dell'uomo; per estens., i peli del muso di alcuni animali dal latino barba(m); talora in napoletano con tipica alternanza b/v si trova pure varva e si tratta dello stesso sostantivo;
po= poi, in seguito, dopo, appresso avv. di tempo dal lat. po(st); la caduta delle consonanti, come ò ricordato, non necessitano in napoletano di segni diacritici d’apocope0, in questo caso poi anche inutile perché in napoletano esiste già un po’ ma è l’apocope, ovviamente sillabica di po(te)= può 3° p. sg. ind. pres. di puté ;
dice= dici, di’ voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito dí/ dícere dal latino di(ce)re;
ca cong. ed altrove anche pronome relativo= che con etimo dal latino q(ui)a; come pronome deriva dal lat. quid;
so’ stato/songo stato = sono stato voce verbale (1° pers. sing. pass. pross.) dell’infinito essere dritto per dritto dal lat. volg. *essere, per il class. esse.
7 - Puozz'avé mez'ora 'e petrïata dinto a 'nu viculo astritto e ca nun sponta, farmacíe nchiuse e mierece guallaruse!
Imprecazione divertente, ma malevola, se non cattiva, rivolta contro un inveterato nemico cui, con spirito esacerbato, si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subìta in un vicolo stretto e cieco, (che non offra cioè possibilità di fuga) e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte e di imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti a prestar soccorso.
puozz’ avé = possa avere id est: possa subire; puozze= possa voce verbale (2° pers. sing. cong. pres.) dell’infinito puté =potere, avere la forza, la facoltà, la capacità, la possibilità, la libertà di fare qualcosa, mancando ostacoli di ordine materiale o non materiale che lo impediscano; nell’espressione a margine puozze vale ti auguro; l’etimo di puté/potere è dal lat. volg. *potìre (accanto al lat. class. posse), formato su potens -entis; avé= avere e molti altri significati positivi come: conseguire, ottenere; ricevere; entrare in possesso o negativi come: subire; per l’etimo vedi sopra;
petrïata/petrata sost. femm; letteralmente la petrata è la pietrata,il tiro e il colpo di una singola pietra, mentre con la voce petrïata si intende una prolungata gragnuola di colpi di pietra, quasi una lapidazione; anticamente a far tempo dalla fine del ‘500, a Napoli soprattutto in talune zone della città quali Arenaccia, Arena alla Sanità, San Carlo Arena, ricche di detriti sassosi, residuali di piogge che trasportavano a valle terriccio e sassi provenienti dalle alture di Capodimonte, Fontanelle etc. o, nelle stagioni secche, residui di fiumiciattoli (es. Sebéto) in secca si svolgevano, tra opposte bande di scugnizzi e/o bassa plebaglia, delle autentiche battaglie(petrïate) a colpi di pietre e sassi con feriti spesso gravi; ai primi del ‘600 tali battaglie divennero cosí cruente che i viceré dell’epoca furono costretti ad emanar prammatiche, nel (peraltro) vano tentativo di limitare il fenomeno… Si ricorda una divertente espressione in uso tra i contendenti di tali petrïate: Menàte ‘e grosse, pecché ‘e piccerelle vanno dint’ a ll’uocchie! (Tirate le (pietre) grandi, giacché quelle piccole vanno negli occhi!).
Etimologicamente sia petrata che petrïata sono un derivato metatetico di preta metatesi del lat. . petra(m), che è dal gr. pétra; nella voce petrïata generata dopo petrata si è avuta l’anaptissi (inserzione di una vocale in un gruppo consonantico o tra una consonante ed una vocale; epentesi vocalica) di una i durativa allo scopo di espander nel tempo il senso della parola d’origine;l’anaptissi di questa i à determinato altresí la ritrazione dell’accento tonico e si è avuto petrïata in luogo di petriàta;
dinto (a) = dentro (ad) avverbio e prep. impropria dal basso lat. de intus; da notare che in napoletano, come prep. impropria, dinto debba sempre essere accompagnata dalla prep. semplice a o dalle sue articolate â = a + ‘a (alla ) ô= a + lo ( al/allo) ê= a + i/a + le (ai/alle) per modo che si abbia ad es. dint’ ô treno (dentro al treno ) di contro il corrispondente italiano dentro il treno. La medesima cosa càpita come alibi dissi per ‘ncoppa (sopra) ,sotto (sotto), ‘mmiezo (in mezzo) fora (fuori) ed ogni altro avverbio e/o preposizione impropria;
viculo = vicolo, vico via molto stretta e di secondaria importanza, in un centro urbano ; l’etimo è dal lat. viculu(m), dim. di vicus;
astritto o astrinto agg. qual. masch. stretto, poco sviluppato nel senso della larghezza; non largo, non ampio; angusto; l’etimo è dal lat. *a(d)strictus part. pass. di un *a(d)stringere, rafforzativo di stringere;
ca nun sponta letteralmente: che non sfocia in altra strada cioè: vicolo (stretto e) cieco; sponta =sfocia voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito spuntà= sbottonare, spuntare, comparire all’improvviso,sfociare; in primis spuntare con etimo dal latino *ex-punctare vale toglier la punta, metter fuori la punta ed il senso di spuntare, comparire all’improvviso,sfociare deriva dal fatto che chi spunta (appare), compare all’improvviso o sfocia in qualche luogo proveniente da un altro, non lo fa di colpo, ma paulatim et gradatim quasi mettendo fuori innanzi tutto la propria punta e poi il resto del corpo; ugualmente il senso di sbottonare è dato dal fatto che il bottone vien fuori dall’asola prima per la parte limitrofa(punta.) poi tutt’intero;
farmacíe sost. femm. plurale di farmacía che in napoletano, piú restrettivamente del corrispondente italiano,( dove con derivazione dal greco pharmakéia 'medicina, rimedio', da phármakon 'farmaco'si intende l'insieme degli studi e delle pratiche che ànno per oggetto le proprietà, l'uso terapeutico e la preparazione dei medicinali) si intende, derivato dal francese pharmacie esclusivamente il locale destinato alla vendita e, soprattutto nel passato, anche alla preparazione dei medicinali;
nchiuse agg. plur. femm. = chiuse, serrate, strette etimologicamente trattasi del part. pass. aggettivato femm. del verbo nchiurere= chiudere, ostruire, sbarrare, impedire un accesso; bloccare un passaggio con etimo dal basso latino cludere, per il class. claudere; faccio notare come nel verbo napoletano nchiurere si è avuta la consueta trasformazione di cl→chi come altrove ad es.: chiesia←(ec)clesia, chiuovo←clavus etc, la tipica rotacizzazione mediterranea d→r e la protesi di una n eufonica che non va marcata con alcun segno diacritico (‘n) in quanto essa n non è l’aferesi di in, ma solo una consonante eufonica come nel caso di nc’è= c’è, ragion per cui erra chi dovesse scrivere la voce a margine ‘nchiuse da un inesatto ‘nchiurere atteso che , come ò detto, nchiurere deriva da n(eufonica)+ cludere non da in(illativo)→’n+cludere;
mierece sost. masch. plurale di miedeco/miereco= medico, chi professa la medicina avendo conseguito il titolo accademico e l'abilitazione all'esercizio della professione; l’etimo è dal lat.medicu(m), deriv. di medìri 'curare, soccorrere'con dittongazione nella sillaba d’avvio intesa breve ie←e, e rotacizzazione mediterranea d/r;
guallaruse agg. masch. plur. di guallaruso= affetto da ernia probabilmente inguinale tale da limitare il movimento deambulatorio; la voce a margine (che è maschile, come dal suff. use plurale di uso, il femminile avrebbe avuto il metafonetico suff. ose pl. di osa) è un derivato del sostantivo guallera(= ernia) che è dall’arabo wadara.
8 -Jí ascianno ova ‘e lupo e piettene ‘e quinnece.
Ad litteram: andar cercando di uova di lupo e pettini da quindici (denti) id est: impegnarsi in ricerche assurde , faticose ma vane come sarebbe l’andare in cerca di uova di lupo che – mammifero - è un animale viviparo e non deposita uova,oppure cercare pettini di quindici denti, laddove tradizionalmente i pettini da cardatura non ne contavano mai più di tredici.Cominciamo a rammentare ai più giovani, che un tempo – quando non esistevano materassi ortopedici e/o in lattice, quelli in uso erano dei sacconi di cotone riempiti di lana ovina, lana che periodicamente occorreva smuovere, lavare e pettinare (cardare) in profondità per ridarle volume e morbidezza; tale operazione consistente, come detto parallelizzare le fibre tessili in fiocco, naturali (p. e. lana, cotone, canapa) o artificiali (p. e. raion), era fatta da tipici operai, detti lanaioli o cardatori che all’uopo si servivano di uno strumento dentato detto scardasso o in origine della pianta di cardo (dal lat. tardo cardu(m), per il class. carduus) le cui infiorescenze uncinate si usavano appunto per cardare la lana; la pianta cardo cedette il nome all’azione cardare; dismesso l’uso del cardo, i lanaioli napoletani presero a servirsi prima che dello scardasso (attrezzo a forma di cavalletto in cui due serie di punte d'acciaio, una delle quali montata su una parte mobile azionata a mano, provvedono alla sfioccatura delle fibre tessili; voce derivata di cardo con protesi di una s intensiva ed un suffisso dispregiativo (l’attrezzo fu brutto da vedersi e – se non usato con cautela – spesso produceva danni ai fiocchi cardati, strappandoli anzi che pareggiarli) asso per accio), di particolari pettini fabbricati all’uopo, pettini che in Campania ( e segnatamente a Napoli) non contavano mai piú di tredici denti.
jí ascianno letteralmente andar cercando locuzione verbale formata dall’infinito jí= andare (dal lat. ire) e dal gerundio ascianno = cercando dell’infinito asciare/ascià=cercare con insistenza ed applicazione; l’etimo di ascià potrebbe essere da un lat. volg. *anxiare(ansimare, anelare) denom. di *anxia; ma preferisco l’ipotesi che ascià derivi dal tardo lat. *adflare (annusare) verbo nel quale è riconoscibile il digramma fl che in napoletano è sempre sci (es.: sciore←flos,sciummo←flumen, scioccele ←flacces etc. ) da a(d)flare→aflare→asciare;
ova sost. neutro plur. di uovo da un lat. volg. òvu(m) per il class. óvu(m); in napoletano il plur. ova giustamente perde la u del dittongo mobile uovo laddove in italiano ( l’uovo – le uova) essa u viene conservata, ma non se ne comprende il motivo.
lupo sost. masch.= lupo, mammifero carnivoro selvatico simile al cane, che vive prevalentemente in branchi ed è caratterizzato da muso aguzzo, orecchie grandi ed erette, pelame folto; la femmina, che da mammifera non depone uova, genera vivipari; l’etimo di lupo è dal lat. lupu(m) per *vlupu(m),*vlucu(m) che come il greco lýkos, * vlýkos il gotico vulfas, l’ant. ted. wolf ed altre lingue son tutti riconducibili alla radice vark o valk/vlak= strappare, lacerare;
piéttene sost. masch. plur. di pèttene= pettine, arnese di materiale vario, costituito di una serie di denti più o meno fitti innestati su una costola che serve da impugnatura; è usato per mettere in ordine capelli o pelame similare; quello usato dai cardatori non contava mai piú di tredici denti.
la voce pettene sing. di piettene (in cui è da notare la tipica dittongazione ie di un’iniziale e intesa breve, con successiva chiusura della é in sillaba tonica del maschile plurale dell’aperta tonica è del singolare; es.: ‘o scèmo – ‘e sciéme, ma se femm.: ‘a scèma – ‘e scème; ) etimologicamente è dall’acc. lat. pectine(m) deverbale di pectere 'pettinare' con tipica assimilazione regressiva ct→tt ;
quinnece agg. numerale cardinale = quindici dal lat. quindece(m), comp. di quinque 'cinque' e decem 'dieci'nella voce napoletana si è avuta la tipica assimilazione progressiva nd→nn.
Raffaele Bracale
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