giovedì 22 gennaio 2009

SCERUPPO, SCERUPPÀ & DINTORNI

SCERUPPO, SCERUPPÀ & DINTORNI
Cominciamo col dire súbito che in lingua napoletana la voce sceruppo (con derivazione dal latino medievale sirupu(m) che fu dall’arabo sharûb= bevanda dolce) normalmente indica le voci italiane sciroppo, sciloppo o siroppo per significare una soluzione molto concentrata di zucchero in acqua o in succhi di frutta che viene impiegata nella fabbricazione di bibite o in farmaceutica, per preparazioni medicinali, allo scopo di rendere piú gradevole il sapore del principio attivo:es.: sciroppo per la tosse etc.
Donde si evince che la voce sceruppo di suo indica una cosa gradevole al palato, un giulebbe: qualcosa di molto zuccheroso ed aromatico, insaporito con succo di frutta o infuso di fiori, ed estensivamente un cibo o piú spesso una bevanda molto dolce; allo stesso modo il verbo denominale sceruppà come significato primario indica l’azione di conservare frutta ed altro in un liquido molto zuccheroso ed aromatico, variamente profumato ed insaporito.
Le cose cambiano, e di molto, quando dal significato primario si passa a quello ironico se non addirittura antifrastico, allorché cioè la voce sceruppo lungi dal significare bevanda zuccherosa ed aromatica vale: cosa o persona fastidiosa, nociva o anche situazione dannosa o pericolosa soprattutto nelle espressioni esclamative partenopee del tipo “vi’ che sceruppo!” oppure “siente, sié che sceruppo!” o anche “siente, sié’ che sceruppo ‘e ceveze! che letteralmente valgono guarda che sciroppo! oppure senti che sciroppo! o anche senti che sciroppo di gelse!
È ovvio che i verbi guardare e sentire non vanno intesi nel loro senso reale, ma in quelli estensivi di porre attenzione, considerare etc. volendo dire di una persona o situazione fastidiosa quando non nociva o dannosa: osserva, oppure considera quanto ciò o costui/costei è fastidioso/a, nocivo/a, dannoso/a; e per significare tutto ciò, in napoletano basta usare l’esclamazione: siente che sceruppo! esclamazione che poi si colora di maggior grevezza e/o fastidio se si aggiunge uno specificativo: siente che sceruppo ‘e ceveze!, atteso che lo sciroppo di gelse, benché odorosissimo è grandemente appiccicoso, risultando molestamente importuno, di cui sarebbe difficile liberarsi e/o nettarsi se qualcuno se ne imbrattasse mani o abiti…; si usa però l’esclamazione siente che sceruppo! nel senso ironico suddetto non necessariamente in presenza di grave danno o pericolo, ma anche soltanto per bollare il fastidioso comportamento di talune persone,uomini o donne, ma piú spesso donne che usano berciare, blaterare, litigare alzando i toni etc.
Ciò premesso rammenterò, come ò già accennato, che il verbo denominale di sceruppo, e cioè sceruppare/sceruppà à come primo significato quello di conservare frutta o altro nello sciroppo o pure indulcare o migliorare con zucchero e/o aromi varie preparazioni, mentre nel significato figurato ed estensivo (soprattutto nella forma riflessiva scerupparse) vale sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno , sorbirseli pazientemente: scerupparse a uno (sopportare la vicinanza o la presenza di uno(non gradito); scerupparse ‘nu trascurzo (sorbirsi con pazienza un discorso (noioso) ). Rammenterò che tale accezione figurata ed estesa del napoletano scerupparse è pervenuta anche nella lingua nazionale dove il verbo sciroppare corrispondente del napoletano sceruppà è usato anche figuratamente nel medesimo senso di sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno del napoletano riflessivo scerupparse.
Ed ora, quasi al termine mi piace illustrare un’ icastica frase in uso a Napoli forgiata col verbo sceruppà; essa recita sceruppà ‘nu strunzo e vale ad litteram: sciroppare uno stronzo, ma va da sé che non la si può intendere in senso letterare atteso che, per quanto sodo possa essere lo stronzo in esame, nessuno mai potrebbe o riuscirebbe a vestirlo di congrua glassa zuccherina, e che perciò l’espressione sceruppà ‘nu strunzo debba esser letta nel senso figurato di:elevare ad immeritati onori un uomo dappoco e ciò sia che lo si faccia di propria sponte, sia che avvenga su sollecitazione del diretto interessato e la cosa vale soprattutto nei confronti di chi supponente e saccente, ciuccio e presuntuoso, pretende arrogantemente di porsi o d’esser posto una spanna al di sopra degli altri facendo le viste d’essere in possesso di scienza e conoscenza conclamate ed invece in realtà è persona che poggia sul niente la sua pretesa e spesso sbandierata falsa valentía in virtú della quale s’aspetta ed addirittura esige d’essere elavato ad alti onori in campo socio-economico cosa che gli consentirebbe di muoversi con boria e presunzione, guardando l’umanità dall’alto in basso…; tale soggetto con icastica espressività, coniugando al part. passato l’infinito sceruppà, è detto strunzo sceruppato= stronzo sciroppato, quell’escremento cioè che quand’anche (se fosse possibile, e non lo è) fosse ricoperto di uno congruo strato di giulebbe, sotto la glassa zuccherina, sarebbe pur sempre quel pezzo di fetida merda che è.
Altrove tale soggetto è detto (restando pur sempre in àmbito scatologico): pireto annasprato=peto coperto di glassa zuccherina. Ed anche in tal caso, come per il precedente stronzo sciroppato, ci troviamo difronte ad un iperbolico modo di dire con il quale si vuol significare che il soggetto di cui si parla, è veramente un’infima cosa e quand’anche si riuscisse a coprirlo di glassa zuccherina (cosa che risulta tuttavia impossibile da farsi) mostrerebbe sempre, sotto la copertura zuccherina, la sua intima natura di evanescente, ma rumoroso gas intestinale!
Rammento ancóra un’altra icastica divertente affermazione napoletana, che pure esulando dagli sciroppi fin qui esaminati, prende tuttavia in esame una situazione in cui si trova a protagonista uno stronzo irrorato non di sciroppo, ma di rum; essa suona: Aje voglia ‘e mettere rumma: ‘nu strunzo nun addiventa maje bbabbà
Puoi irrorarlo con quanto rhum tu voglia, uno stronzo non diverrà mai un babà.
Id est: Per quanto tu tenti di edulcorarlo, uno stronzo non potrà mai diventare un dolce saporito come un babà; alla stessa stregua: per quanto lo si cerchi di migliorare uno sciocco non potrà mai cambiare in meglio la propria natura.

In chiusura riepiloghiamo l’etimo di varie voci incontrate:
sceruppo =sciroppo dal lat. medievale sirupu(m) che fu dall’arabo sharûb= bevanda dolce;
sceruppà = sciroppare denominale del precedente;
ceveze =plurale di ceveza/ceuza = gelsa, il frutto del gelso: albero con piccoli frutti commestibili, dolci, di colore nero o bianco (more) e foglie cuoriformi, di cui si nutrono i bachi da seta (fam. Moracee); l’etimo delle napoletane cèveza/cèuza è dall’ acc.vo latino (arborem) celsa(m)=albero alto; da cèlsa>*celza con successivo passaggio di lz ad uz per cui si ottenne cèuza e successiva epentesi eufonica del suono v tra la è tonica e la u evanescentefino ad ottenere cèvuza o cèveza. Ricorderò che ad oggi a Napoli città la voce usata da tutti (borghesi e/o popolani) è cèveza, mentre nel contado provinciale è piú facile trovare ancòra l’antica voce cèuza ;
vi’ = vedi; forma apocopata di vide voce verbale che indica o la 2° pers. sing. dell’indic. pres. dall’infinito vedé=vedere o può indicare, come nel caso che ci occupa, la 2° pers. sing. dell’imperativo dall’infinito vedé=vedere con etimo dal basso lat. *videre per il classico vidíre;
siente /sie’=senti;sie’ non è che la forma apocopata di siente=senti voce verbale che indica o la 2° pers. sing. dell’indic. pres. dall’infinito sentí=sentire, udire o può indicare, come nel caso che ci occupa, la 2° pers. sing. dell’imperativo dall’infinito sentí=sentire, udire e qui porre attenzione con etimo dal basso latino sentire;
ciuccio = asino, ciuco soprattutto nel significato di ignorante; non di facile lettura l’etimologia di ciuccio; c’è chi opta per il lat. cicur= mansuefatto domestico, chi per il lat. cillus da collegare al greco kíllos asino chi per lo spagnolo chico= piccolo atteso che l’asino morfologicamente è piú piccolo del cavallo; son però tutte ipotesi e segnatamente quella che si richiama all’iberico chico= piccolo, ipotesi che per l’asperità del cammino morfologico, se non semantico non mi convincono molto;non mi convince altresí, in quanto m’appare forzata, l’idea che il napoletano ciuccio sia da collegare all’italiano ciocco= grosso pezzo di legno e figuratamente uomo stupido, insensibile ed estensivamente ignorante ed in conclusione mi pare piú perseguibile l’ipotesi che ciuccio vada collegata etimologicamente alla radice dell’arabo sciacharà= ragliare che è il verso proprio dell’asino;
strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica
e figuratamente: persona stupida, odiosa, saccente, supponente
l’etimo della voce napoletana è dritto per dritto dal tedesco strunz= sterco;
píreto =peto, emissione rumorosa di gas intestinale con etimo dal lat. peditu(m), deriv. di pedere 'fare peti'; da notare nella voce napoletana la consueta chiusura della sillaba tonica d’avvio donde pe passa a pi oltre la tipica alternanza osco mediterranea di d/r mentre la vocale postonica i s’apre diventando e ma di timbro evanescvente;
aje voglia ‘e locuzione verbale, in uso anche nella lingua italiana nella valenza di insistere inutilmente in un tentativo: ài voglia a (o di) strillare, tanto non ti sente nessuno, per quanto tu possa strillare, non ti sentirà nessuno; anche ellittico: ài voglia!; è inutile;
mettere = mettere, porre, aggiungere, disporre collocare dal Lat. mittere 'mandare' e poi 'porre, mettere';
rumma = rum acquavite ottenuta per lo piú dalla distillazione della melassa di canna da zucchero fermentata.la voce inglese rum è derivata da rum- bustious 'chiassoso, violento', con allusione al comportamento degli ubriachi bevitori della suddetta acquavita; la voce napoletana rumma è coniata su quella inglese con una tipica paragoge di una a finale e raddoppiamemento espressivo della m etimologica fino a formare la seconda sillaba ma della voce rumma, come altrove tramme←tram,barre←bar etc.
addiventa =diventa voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito addiventà = divenire, venire a essere, trasformarsi in derivato dal lat. volg. ad+ *deventare, forma rafforzata (vedi prep. ad) di quella intens. del lat. devenire = divenire; da notare la particolarità che la voce verbale a margine (indicativo presente) è resa in italiano con il futuro, tempo che – quantunque esistente nelle coniugazioni dei verbi napoletani – è pochissimo usato, preferendogli un presente in funzione futura o altrove costruzioni del tipo aggi’ ‘a = devo da;
maje = mai, in nessun tempo, in nessun caso derivato dal latino ma(g)is= piú con caduta della g intervocalica sostituita da una j e con paragoge della semimuta finale ;
babbà = baba/ babà tipico dolce partenopeo (pare importato a Napoli, sotto il regno di Ferdinando I di Borbone da pasticcieri francesi (chiamati a Napoli da Maria Carolina e richiesti a sua sorella Maria Antonietta)che l’avevano mutuato da dolcieri polacchi) di pasta soffice e lievitata, intrisa di uno sciroppo al rum. La voce è dal fr. baba, che è dal polacco baba '(donna vecchia').Al solito i francesi pronunciavano baba, babà ed i napoletani ne raddoppiarono espressivamente la seconda b ottenendo babbà anzi ‘o bbabbà.
annasprato=coperto di naspro voce verbale part. pass. masch. sing. aggettivato dell’infinito *annasprà=coprire di naspro;
la voce naspro ed il conseguente denominale *annasprà (a quel che ò potuto indagare) sono espressioni in origine del linguaggio regionale della Lucania, poi trasferitosi in altre regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia) ed è difficile trovarne un esatto corrispettivo nella lingua nazionale; si può tentare di tradurre naspro con il termine glassa atteso che nel linguaggio dei dolcieri meridionali la voce naspro indicò ed ancóra indica una spessa glassa zuccherina variamente aromatizzata e talora colorata usata per ricoprire in origine dei biscotti dall’impasto abbastanza semplice o povero; in sèguito si usò il naspro colorato per ricoprire delle torte dolci e segnatamente quelle nuziali con un naspro rigorosamente bianco; a Napoli non vi fu festa nuziale che non si concludesse con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa glassa zuccherina bianca: la voce gattò mariaggio nel significato di torta del matrimonio fu dal francese gâteau (du) mariage.
Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non trattandosi di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove risulta sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a riferire l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensano ad un greco àspros=bianco, ipotesi che poco mi convince in quanto morfologicamente non chiarisce l’origine della n d’avvio che certamente non à origini eufoniche né d’altro canto non è attestato da nessuna parte che – fatta eccezione per la glassa della torta nunziale rigorosamente bianca(o almeno un tempo fu cosí: oggi assistiamo a tutto…)- dicevo non è attestato da alcuna parte che il naspro debba essere bianco; penso di poter a proporre una mia ipotesi peraltro non supportata da nessun riscontro; l’ipotesi che formulo è che trattandosi di una preparazione molto dolce per naspro si potrebbe pensare ad un latino (no)nasperum→nasperum→naspro, piuttosto che ad un (n?)àspros. Spero di non essermi macchiato di lesa maestà! Del resto in tale non convincimento, sono in ottima compagnia: anche l'amico prof. Carlo Iandolo non è soddisfatto dell'ipotesi Cortelazzo/Marcato e trova (ma spero non lo faccia per mera amicizia...) piú perseguibile la mia idea.

Raffaele Bracale

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