mercoledì 14 marzo 2012

VARIE 1648

1-MENARSE SOTT' Â BANNERA
Ad litteram:buttarsi sotto la bandiera Detto di chi, per vile opportunismo è solito schierarsi con il piú forte, mettendosi sotto la di lui bandiera, e ciò quando ancora ferve una mischia; peggiore il caso ricordato alibi dove lo schierarsi avviene a mischia conclusa, a risultato acquisito e si balzi allora sul carro del vincitore. La seconda evenienza è fotografata con l’espressione abbaccà cu chi vence = colludere con il vincitore - Schierarsi dalla parte del vincitore. Comportamento nel quale gli Italiani sono maestri: si racconta, ad esempio, che al tempo dell'ultima guerra, all'arrivo degli americani non fu possibile trovare un fascista. Tutti quelli che per un ventennio avevano indossato la camicia nera, salirono sul carro dei vincitori e i militari anglo-americani si chiedevano, riferendosi a Mussolini: Ma come à fatto quell'uomo a resistere vent'anni se non aveva nessuno dalla sua parte?
etimologicamente abbaccà (andare con) è dal lat. ad→ab+vadicare→badicare forma frequentativa di vadere.
2 - ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO!
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Al proposito di chetta chiarisco che essa indica la mancia data ai posteggiatori e/o suonatori ambulanti, saltimbanchi ed affini; trattandosi di voce gergale nata nell’àmbito di posteggiatori, suonatori ambulanti, saltimbanchi etc. è pressoché impossibile trovarne l’etimo, ma poi che con la voce a margine si indica per sineddoche oltre che la mancia anche il piattello o il secchiello usati per raccoglierla, non si è lontani dal vero se si sospetta che la voce piú che dal francese quête=ricerca/elemosina(come frettolosamente ipotizzò il D’Ascoli) sia un adattamento al femminile del lat. cadu(m) (greco kàdos) (= brocchetta per il vino) attraverso il seguente percorso morfologico cadu(m)→cada(m)→cheda→cheta→chetta con sostituzione dell’ occlusiva dentale sonora(d) con la corrispondente l'occlusiva dentale sorda (t) e suo raddoppiamento espressivo;
rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione in esame un’altra espressione che l’accompagnava: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che, tracciato con un pezzo di gesso, rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
3 -ZITTO E MMOSCA!
Ad litteram: Zitto e mosca id est:silenzio assoluto! Ordine perentorio rivolto genericamente intorno, affinché tutti tacciano completamente al segno che si possa iperbolicamente udire il volo d'una mosca.
zitto voce di origine onomatopeica; è agg.vo che tace, che non parla: stare, restare zitto, senza parlare, in silenzio, o anche senza protestare, senza reagire | far stare zitto qualcuno, farlo tacere; anche, impedirgli di protestare, di ribellarsi, oppure convincerlo a non divulgare segreti: nessuno mi farà stare zitto; lo ànno pagato per farlo stare zitto | zittu zitto(zitto zitto), senza fiatare; alla chetichella: starsene zitto zitto in un angolo;
inter.come nel caso che ci occupa si usa per intimare il silenzio o per minacciare: stai zitto!; zitto, o guai a te!
improprio imperativo usato in luogo di statte(stai) zitto→zitto!= taci, fa’ silenzio.

4 –“ZOMPA CHI PO’!” DICETTE 'O RANAVUOTTOLO
Ad litteram: Salti chi può, disse il ranocchio; gli altri si contentino del proprio stato ed accettino la loro condizione che, a causa dell'età o per sfavorevoli congiunturali condizioni, non permette loro di raggiunger traguardi allettanti o beate evasioni; questo è il senso della locuzione in epigrafe con la dispettosa espressione posta sulla bocca di un altrettanto dispettoso ranocchio che avendo ricevuto in sorte la possibilità di saltare, si prende giuoco di chi non può farlo.
5-ZUCÀ A DDOJE ZIZZE
Ad litteram:succhiare da due mammelle Detto figuratamente di chi (ingordo, avido, insaziabile quando non prevaricante) pretende di ottenere, non si sa come, doppi insperati vantaggi o anche di ricavare danaro, magari estorcendolo da piú fonti.
zizze s.vo f.le pl. di zizza = tetta, mammella( vera o figurata); la voce zizza è dal t. lat. titta(m) attraverso una forma aggettivale tittja(m)→titta(m) con tj→zz che à influenzato anche la prima t→z.
6 -ZÚCATE 'O FRANFELLICCO
Ad litteram: súcchiati il bastoncino di zucchero; detto a mo' di soddisfatto commento della gradevole situazione in cui si trovi qualcuno che per essergli occorsi tutti favorevoli accedimenti, non gli resti che beatamente goderli gustandosi golosamente il franfellicco: gustoso bastoncino di zucchero filato variamente insaporito, da leccare passeggiando.
Talvolta però la locuzione è usata in senso completamente opposto, quando si voglia malignamente significare a qualcuno: ti è andata male... ora non ti resta che succhiare il franfellicco, usato - in questa valenza - eufemisticamente in luogo di una intuibilissima parte anatomica maschile; in tale seconda valenza piú spesso si adopera l'espressione: zúcate 'o limone (súcchiati il limone ) con evidente riferimento al gusto acre dell'agrume che richiama la spiacevolezza della situazione andata male.
franfellicco s.vo. m.le = duro bastoncino di zucchero filato a forma di J che è l’iniziale del nome Jesus e nella tradizione popolare napoletana il franfellicco dolce, in origine natalizio, destinato ai bambini fu ritenuto figurazione del Bambino Gesú, roccia su cui fonda la salvezza dell’uomo.
La voce franfellicco etimologicamente è un adattamento locale del fr. franfeluche

7-.ZUMPÀ ASTECHE E LAVATORE
Ad litteram: saltare tra lastrici solai e lavatoi ; id est: andar su e giú perdendo tempo. Detto di chi, eterno perdigiorno, dedichi il suo tempo non ad impegni lavorativi o di studio, ma lo trascorra bighellonando senza una precisa meta, ascendendo i lastrici solai, posizionati in vetta alle abitazioni, o frequentando i lavatoi posti in basso, nei pressi dei cortili delle suddette abitazioni. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in altoed in basso ;
asteche=lastrici solai,terrazzi (dal greco astrakon=coccio ) che un tempo erano lastricati con lapillo e/o cocchi di anfore infrante.
lavatore (lavatoi) (dal lat. tardo lavatoriu(m), deriv. di lavare 'lavare' erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare.
8 -ZUMPÀ 'A LL'ASTECO Â FENESTA
Ad litteram: saltare dal lastrico solaio alla finestra. Detto di chi manchi di ogni lineare coerenza e o tenga un comportamento continuamente oscitante ed indeciso o, piú spesso, tenga un modo di discorrere, non facilmente comprensibile atteso che non segua un filo logico e coerente, ma si avventuri in circonvoluzioni ardite ed indecifrabili.
9 -ZUMPÀ COMME A N'ARILLO
Ad litteram:saltare come un grillo; detto con, non sempre velata, invidia di chi pur essendo già avanti con gli anni goda di tanta buona salute che gli consente una ipercinecità tale da poterla paragonare a quella di un grillo insetto noto per il suo continuo saltellare.
10 -ZUMPÀ 'O FUOSSO
Ad litteram:saltare il fosso id est: superare brillantemente una situazione sgradevole o pericolosa; detto soprattutto di chi riesca a venir fuori da una grave malattia; nell'immaginario napoletano il fosso della locuzione non è quello che spesso delimita un rigagnolo; è invece quello per antonomasia: l'ultimo che però normalmente è reso con il femminile fossa, quello destinato ad accogliere la bara (cfr. Stà cu 'o culo â fossa
Ad litteram:stare con il culo prossimo alla fossa; id est: essere vicino a decedere; locuzione, per solito, usata a mo' di sfottò e divertito commento delle risibili supponenti azioni di chi o molto malato, o molto vecchio, continui ad ostentare inaccettabili, pruriginose voglie o continui a fare assurdi programmi per un futuro che invece - molto probabilmente- non potrà vedere, né vedrà. Chiarisco che in napoletano con il termine fossa non si intende qualsiasi buco esistente o determinato sul terreno, ma si indica segnatamente quello scavo profondo un paio di metri, fatto in terra benedetta dove viene calata la bara per la sepoltura di un morto. Ogni altro tipo di buco, piccolo o grosso che sia è reso, in napoletano, con il maschile fuosso); per cui saltarlo significa sfuggire alla morte.
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