venerdì 3 marzo 2017

VARIE 17/273

1.TENÉ 'E PECUNE Ad litteram: tenere i piconi. Espressione che con valenza positiva viene riferita a coloro che sebbene giovani di età, si mostrino moralmente cresciuti, intelligenti e capaci di operare al di là del presagibile, quasi che non siano gli imberbi adolescenti che l'anagrafe dice, ma a mo' degli uccelli prossimi a metter le piume, mostrino di avere, figuratamente, sparsi per il corpo quei pichi propedeutici negli uccelli allo spuntar delle piume. 2.TENÉ 'E PPALLE QUADRATE Ad litteram: tenere i testicoli quadrati. Icastico ed iperbolico modo di dire usato ad encomio di chi appaia nel proprio agire solerte, pronto ed attento, dotato di efficaci capacità operative attribuite all'inusuale quadratura dei suoi testicoli che risultano sia pure figuratamente non banalmente sferici. 3.TENÉ 'E PPEZZE – STÀ CU ‘E PPEZZE Espressioni che parrebbero simili, ma che in realtà sono diverse ed addirittura a gli antipodi; la prima TENÉ 'E PPEZZE vale Avere le pezze e significa essere ricco, disporre di molto danaro, atteso che qui il termine pezza non sta a significare: straccio, ma (come ò già détto alibi) appunto una moneta; rammenterò a completamento di quanto goà détto, che al tempo dei Borbone, nel Reame di Napoli la pezza era il ducato, ben identificata, grossa moneta d'argento detta anche piastra del valore di ben 15 carlini; essere in possesso di tante piastre o pezze significava essere ricco assai. Ben diversa l’espressione STÀ CU ‘E PPEZZE che vale Star (ridotto) con le pezze e significa esser povero, pezzente miserabile al segno di vestire da straccione con abiti coperti di toppe (pezze). 4.TENÉ 'E PPIGNE 'NCAPO Ad litteram: avere le pigne in testa. Locuzione di identica valenza della precedente, usata però quando si voglia intendere che la mancanza di raziocinio è ritenuta esser dovuta ad una ipotetica violenza subíta, come potrebbe esser quella di sentirsi cadere in testa i duri stròbili del pino. 5.TENÉ 'E RRECCHIE 'E PULICANO Ad litteram: tenere le orecchie di pubblicano e ciò quantunque erroneamente ( come chiarirò di qui a poco) in un fraintendimento popolare, qualcuno pretenderebbe di tradurre: tenere le orecchie di pellicano. Chiarisco súbito che quest’ultima traduzione, checché ne dica il dr. Sergio Zazzera, non è né corretta né attendibile e ciò per due chiari motivi: a) il pellicano (dal lat. tardo pelecanu(m), che è dal gr. pelekán –ânos) è un uccello nuotatore e pescatore dal becco enorme e fornito, nella parte inferiore, di un sacco per il deposito del cibo;à piume bianche, ali rosse e piedi palmati (ord. Pelecaniformi); nella tradizione iconografica e letteraria del medioevo, è simbolo di Cristo, perché si credeva nutrisse i propri piccoli con il suo stesso sangue, lacerandosi il petto con il becco; tale uccello è però comunque tanto sconosciuto alle latitudini partenopee che mai il popolo (quello che conia le espressioni idiomatiche…) avrebbe potuto prenderlo a riferimento in una espressione popolare; b) non risulta in nessuna letteratura scientifica che il suddetto pellicano sia accreditato di avere udito finissimo da prendersi a modello. c) è uccello che di solito, mi ripeto e preciso, non è presente alle nostre latitudini, ma vive negli Stati Uniti, Caraibi, Sudamerica, Isole Galapagos, Australia e basterebbe questo per escLLUderlo come riferimento di un’espressione popolare napoletana. Torniamo alla espressione in epigrafe; essa locuzione dalla duplice valenza è usata vuoi per indicare chi sia dotato di udito finissimo , vuoi (piú spesso) per indicare coloro che stiano sempre, con l'orecchio teso attenti ad ascoltare ciò che accade a loro intorno, o per informarsi, oppure per non lasciarsi cogliere impreparati, comportandosi alla medesima stregua appunto degli antichi esattori pubblici: i pubblicani (dal lat. publicanu(m), deriv. di publicum 'tesoro pubblico') di cui pulicano è – a mio avviso - un derivato per sincope: (pu(b)licanu(m)→pulicanu(m)→pulicano; gli antichi pubblicani erano quelli che nell'antica Roma, prendevano in appalto la riscossione delle imposte pubbliche (estens. non com.) gabelliere, doganiere | (spreg.) persona interessata, avida di guadagno; come esattori di tasse i pubblicani dovevano tener le orecchie tese, pronti ad ascoltar qualunque cosa venisse detta in giro sul conto di chiunque, per non lasciarsi sfuggire un eventuale contribuente, atteso che i pubblicani nel prendere in appalto la riscossione delle tasse versavano all’erario in anticipo tutto l’ammontare delle medesime tasse e poi dovevano affaccendarsi per recuperarle, maggiorandole del proprio utile, non lasciandosi sfuggire notizie su chi fosse tenuto a pagarle.A maggior supporto di ciò che vengo dicendo ricordo che come è del tutto improbabile che i napoletani conoscessero o abbiano conosciuto l’uccello pellicano estraneo alle latitudini partenopee, cosí è invece molto probabile che i napoletani (anche quegliantichissimi)abbiano conosciuto i pubblicani pubblici esattori romani, atteso che a far tempo dal 90 ed 89 a.C. Napoli fu municipio romano ed a Roma pagò i tributi. Successivante 1443 e ss. con l’entrata in Napoli di Alfonso d’Aragona (Napoli 1396 - † ivi 1458) ed inizio della dominazione aragonese, il posto dei pubblici esattori (pubblicani ) fu preso dagli arrendatori titolari dell’ arrendamento: nel Regno di Napoli, gabella o imposta la cui esazione era appaltata a privati; sia la voce arrendatore che ovviamente arrendamento son voci deverbali dello spagnolo arrendar 'appaltare'. Rebus sic stantibus è molto piú esatto [contrariamente a quanto gli sprovveduti (Zazzera compreso e non me ne voglia…) intendono] che l’espressione in epigrafe non vada intesa come tenere le orecchie del pellicano, ma come tenere le orecchie del pubblicano. BRAK

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