18 ICONICHE LOCUZIONI
1.'O purpo s'à dda cocere cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo si deve cuocere con
l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza
interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono
da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni
opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si
autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta
d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto.
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2. Dà 'ncopp' ê recchie.
Letteralmente: dare sulle orecchie. La
locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei
supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa
elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare
una sana metaforica violenza colpendoli sulle orecchie per fargliele
abbassare.
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3. N' aggio scaurato strunze, ma tu me jesce cu 'e piede 'a
fora...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma
tu (sei un cosí grosso stronzo )che
non entri per intero nella pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca
locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente
pezzo di merda da eccedere i limiti della ipotetica pentola destinata all’uso.
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4.Tante galle a cantà nun schiara maje juorno.
Letteralmente: tanti galli a cantare non
spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere
intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si
addiviene a nulla di concreto... Dunque
non è da farsi meraviglia se il
parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori
non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente: parlano in tanti...
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5.Sí, sí quanno curre e 'mpizze...
Letteralmente: sí quando corri ed infili!
La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto
difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico,
volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non avverrà. La locuzione fa
riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi
meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta
pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di
dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare
nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi.
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6. Madonna mia, mantiene ll'acqua!
Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua.
Id est: fa che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene
usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si
prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei
contendenti.
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7. Ommo 'e ciappa.
Letteralmente: uomo di bottone e, per
traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione ha origini antichissime
addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria
particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe
dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento
cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di détta
consorteria.
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8. 'A nave cammina e 'a fava se coce.
Letteralmente: la nave cammina, e la fava
si cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (usato per
indicare un tipico mezzo di
sopravvivenza,derivante da una continuata abbondanza di cibo) con il
cammino della nave ossia con il progredire delle attività economiche, per cui
è piú opportuno tradurre se la nave va, la fava cuoce, cioè a dire: se gli affari
vanno bene, il sostantamento (rappresentato dalla cottura della fava) sarà
assicurato.
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9. Essere 'nu casatiello cu
ll'uva passa.
Letteralmente: essere una caratteristica torta dolce pasquale
ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona greve, fastidiosa,
indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve di suo per avere
tra i suoi ingredienti numerose
uova e pinoli, tutte cose che ad
alcuni risultano grevi ed indigeste, resa meno digeribile dalla presenza
dell'uva passita...
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10. Nce vonno 'e cquatte laste e 'o lamparulo.
Letteralmente: occorono i quattro vetri
laterali ed il reggimoccolo. Id est: il lavoro compiuto è del tutto
inutilizzabile in quanto palesamente incompleto e non fatto a regola d'arte;
quello della locuzione è una lanterna ultimata in modo raffazzonato al punto
che mancano elementi essenziali alla sua funzionalità: i quattro vetri
protettivi laterali ed il reggimoccolo centrale. La locuzione viene perciò
usata nei confronti di chi, ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un
eccellente lavoro, laddove ad un attento controllo esso risulta vistosamente
carente.
11. Essere 'nu/ ‘na secaturnese.
Letteralmente: essere un/una sega tornesi.Id est: essere un avaraccio/a,
super avaro/a al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di
monete, che al tempo che circolavano monete d'oro o d'argento, usavano
limarle per poi rivender la limatura e far cosí piccoli guadagni: venne poi
la carta-moneta e finí il divertimento.
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12. Essere 'na meza pugnetta.
Esser piccolo di statura, ma soprattutto
valer poco o niente, non avere alcuna conclamata attitudine operativa,
stante la ridottissima capacità fisica, intellettiva e morale essendo il
prodotto di un gesto onanistico non compiuto neppure per intero.
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13. Essere 'na galletta 'e Castiellammare.
Letteralmente: essere un biscotto di
Castellammare. Id est: essere poco incline ad atti di generosità, anzi
tener sempre saldamente chiusi i cordoni della borsa essendo molto restio
ad affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie quelle destinate ad
opere di carità, essere insomma cosí duro nei propri parsimoniosi
intendimenti da essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti in
Castellammare, biscotti a lunga conservazione usati abitualmente come scorta
dalla gente di mare che li preferiva al pane perché non ammuffivano, ma che
erano cosí tenacemente duri che - si diceva - neppure l'acqua di mare
riuscisse ad ammorbidire.
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14. 'E curalle ll'à dda fà 'o turrese.
Letteralmente: i coralli li deve lavorare
il torrese. Id est: ognuno deve fare il proprio mestiere, che però deve
esser fatto secondo i crismi previsti; non ci si può improvvissare
competenti; nella fattispecie la lavorazione del corallo è appannaggio
esclusivo dell'abitante di Torre del Greco, centro campano famoso nel mondo
appunto per la produzione di oggetti lavorati in corallo.
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15. Mo t''o ppiglio 'a faccia 'o cuorno d''a carnacotta
Letteralmente: Adesso lo prendo per te
dal corno per la carne cotta. Icastica ed eufemistica espressione con la
quale suole rispondere chi, richiesto di qualche cosa, non ne sia in
possesso né abbia dove reperirla o gli manchi la volontà di reperirla. Per
comprendere appieno la locuzione bisogna sapere che la carnacotta è il
complesso delle trippe o frattaglie bovine o suine che a Napoli vengono
vendute già sbiancate e lessate, atte
ad essere consumate o dai macellai nelle loro botteghe o da appositi
venditori girovaghi che le servono ridotte in piccoli pezzi su minuscoli
fogli di carta oleata; i piccoli pezzi di trippa vengono prima irrorati col
succo di limone e poi cosparsi con del sale che viene prelevato da un corno
bovino scavato ad hoc proprio per contenere il sale e bucato sulla punta
per permetterne la distribuzione. Detto corno viene portato dal venditore
di trippa, appeso in vita e lasciato pendente sul davanti del corpo.
Proprio la vicinanza con intuibili parti anatomiche del corpo, permettono
alla locuzione di avere un suo significato furbesco con cui si vuol
comunicare che ci si trova nell'impossibilità di aderire alle richieste.
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16. Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso.
Letteralmente: anche i corbellati vanno
in paradiso. Massima consolatoria con cui si tenta di rabbonire i
dileggiati cui si vuol fare intendere che sí è vero che ora son presi in giro,
ma poi spetterà loro il premio del paradiso. Il termine cuffiato cioè
corbellato è il participio passato del verbo cuffià che deriva dal
sostantivo coffa = peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello.
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17. Dicette 'o scarrafone: Po’ chiovere 'gnostia comme vo’
isso, maje cchiú niro pozzo addeventà...
Disse lo scarafaggio: (il cielo) può far
cadere tutto l'inchiostro che vuole, io non potrò mai diventare piú nero di
quel che sono. La locuzione è usata da chi vuole far capire che à già
ricevuto e sopportato tutto il danno possibile dall'esterno, per cui altri
sopravvenienti fastidi non gli potranno procurar maggior danno.
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18. Abbacca addó vence.
Letteralmente: collude con chi vince. Di
per sé il verbo abbaccare(=colludere, accordarsi segretamente dal lat.
ad-vadicare, frequentativo di vadere) presupporrebbe una segretezza
d'azione che però ormai nella realtà non si riscontra, in quanto
l'opportunista - soggetto sottinteso della locuzione in epigrafe non si fa
scrupolo di accordarsi apertis verbis con il suo stesso pregresso nemico,
se costui, vincitore, gli può offrire vantaggi concreti e repentini. Lo
sport di salire sul carro del vincitore e di correre in suo aiuto è stato
da sempre praticato dagli italiani.
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Brak
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