23 ICONICHE LOCUZIONI
1.A CCUOPPO CUPO POCO PEPE CAPE.
In un cartoccio stretto entra poco pepe. Al di là del significato reale
metaforicamente la locuzione indica quanto sia inutile tentare di fornire
spiegazioni agli stupidi.
2.CARUSO, MELLUSO, MIETTE 'A CAPA
‘INT'Ô PERTUSO, E PPO VÈNE 'O SCARRAFONE E TTE ROSECA 'O MELLONE...
Filastrocca intraducibile ad litteram con la quale a Napoli un tempo si soleva
prendere in giro i ragazzi che - per igiene - portavano la testa completamente
rapata; li si insolentiva preconizzando per loro che avrebbero avuto, ma non si
capiva il perché, la testa rosicchiata da uno scarafaggio.
3.MAZZA E PPANELLA FANNO 'E FIGLIE
BBELLE; PANELLA SENZA MAZZA FANNO 'E FIGLIE PAZZE.
Bastone e pagnotta rendono i figli belli; pagnotta senza bastone rende i figli
pazzi. Il concetto è abbastanza chiaro, anche perchè credo che esistano
versioni di questo proverbio anche in altre regioni italiane.
4.QUANNO 'O PARENTE CORRE, 'O
VICINO È GGIÀ CURRUTO.
Ad litterram: quando il parente accorre, il vicino lo ha già fatto. Id est:
bisogna aspettarsi maggior aiuto da un vicino che da un parente, che viene a
prestarti aiuto meno sollecitamente di un vicino: questo - almeno - accade in
Campania dove esiste ancora la cultura del buon vicinato; per la restante parte
d'Italia non è dato sapere...
5.'O FIGLIO MUTO 'A MAMMA 'O
'NTENNE.
Il figlio muto è compreso dalla madre. Il senso è che nessuno sa capire i
propri figli come una madre.
6.'O PUORCO FÈTE 'A VIVO, MA ADDORA
QUANNO È MMUORTO, LL'OMMO ADDORA 'A VIVO E FÈTE 'A MUORTO, 'A FEMMENA FÈTE VIVA
O MORTA.
Ad litteram: il maiale puzza da vivo, ma odora da morto(quando è ben cucinato),
l'uomo odora da vivo e puzza da morto, la donna - invece puzza sia da viva che
da morta; id est: la donna è comunque un'essere da evitare, essendo l'unico
essere inaffidabile e, figurativamente, maleodorante sia da vivo che da morto.
7.IRE PIRO E NUNN MENAVE, MO SÎ SSANTO
E VUÓ FÀ MIRACULE?
Eri pero e non producevi pere e adesso sei diventato santo e vuoi compiere
miracoli?
8.SI 'E CCORNE FOSSENO PURTUALLE,
'A CAPA TOJA FOSSE PALERMO.
Ad litteram: Se le corna fossero arance, la tua testa(che ne è molto fornita)
sarebbe la città di Palermo.Icastica e colorita offesa con la quale a Napoli si
suole rammentare a taluno i continui tradimenti operati dalla di lui consorte,
al segno che qualora le corna fossero arance, la testa del malcapitato cui è
diretta l'offesa, sarebbe la città di Palermo, zona in cui si producono
estesamente saporitissime e grosse arance.
9.'O PUORCO
PULITO NUN SE 'NGRASSA MAJE
Ad litteram: un porco pulito non si ingrassa mai. Id est:Chi si
comporta in maniera pulita e scevra di colpe, non otterrà mai grandi risultati
nella propria vita, dove -invece- per poter primeggiare - occorre spesso
commetter nefandezze, come accade per il maiale che solo se vive rotolandosi
nella melma del porcile, prospera e s'ingrassa.
10.'OCUONCIO ACCONCIA.
Ad litteram: il condimento aggiusta. Id est: basta un buon
condimento per migliorare le pietanze meno appetitose. Per traslato: ogni cosa
diviene bene accetta se è presentata bene o agghindata con grazia.
11.CHI TENE 'E MMANE 'MPASTA, NUN
METTE 'E DDETE 'NCULO Â GALLINA.
Ad litteram: chi sta impastando, non mette le dita nel culo della
gallina. Il proverbio non adombra una norma igienico - sanitaria, ma vuol
significare che chi sta nel mondo degli affari deve tener sempre nascoste le
proprie mosse per non appalesare ai concorrenti quali sono le sue intenzioni
prossime; non deve comportarsi cioè come la contadina che - tastando il culo alle galline per accertarsi della presenza
dell'uovo - dà ingenuamente a vedere a tutti ciò che le sta per accadere.
12.'O CAVALLO ZUOPPO I 'O CIUCCIO
VIECCHIO, MORONO Â CASA D''O FESSO.
Ad litteram: il cavallo zoppo e l'asino vecchio muoiono in casa dello sciocco.
Id est: dello sciocco ognuno si approfitta; nella fattispecie allo sciocco
vengono venduti il cavallo azzoppato e l'asino vecchio ormai inadatti al
lavoro.
13.LL'AMICO È COMME Ô'MBRELLO:
QUANNE CHIOVE NUN 'O TRUOVE MAJE.
Ad litteram: l'amico è come l'ombrello; quando piove non lo trovi
mai; id est:l'amico - che nei momenti di bisogno dovrebbe essere il primo a
soccorrerti-, accade che, proprio allora sparisce e non si fa trovare...
14.'A TONACA NUN FA 'O MONACO, 'A
CHIERECA NUN FA 'O PREVETO, NÈ 'A VARVA FA 'O FILOSEFO.
Ad litteram: la tonaca non fa un monaco, la tonsura non fa un prete né la barba
fa il filosofo; id est: l'apparenza può ingannare: infatti non sono sufficienti
piccoli segni esteriori per decretare la vera essenza o personalità di un uomo.
15.ME PARENO 'E CCAPE D''A VECARIA.
Ad litteram: mi sembrano le teste della Vicaria. Lo si suole dire di chi è
smagrito per lunga fame, al segno di averne il volto affilato e scavato quasi
come le teste dei giustiziati, teste che nel 1600 venivano esposte per
ammonimento infilzate su lunghe lance e tenute per giorni e giorni all'esterno
dei portoni del tribunale della Vicaria, massima corte del Reame di Napoli.
16.ARIA NETTA NUN AVE PAURA 'E
TRONNELE.
Ad litteram: aria pulita non teme i tuoni; infatti quando l'aria è tersa e
priva di nuvole, i tuoni che si dovessero udire non sono annunzio di temporale.
Per traslato: l'uomo che ha la coscienza pulita non teme che possa ricevere
danno dalle sue azioni, che - improntate al bene - non potranno portare
conseguenze negative .
17.ASCÌ DÂ VOCCA D’ 'E CANE E
FFERNÌ 'MMOCCA Ê LUPE
Ad litteram: scampare dalla bocca dei cani e finire in quella dei lupi. Maniera
un po' piú drammatica di rendere
l'italiano: cader dalla padella nella brace: essere azzannati da un cane è cosa
bruttissima, ma finire nella bocca ben piú vorace di un lupo, è cosa ben peggiore.
18.RROBBA 'E MANGIATORIO, NUN SE
PORTA A CCUNFESSORIO.
Ad litteram: faccende inerenti il cibarsi, non vanno riferite in confessione.
Id est: il peccato di gola... non è da ritenersi un peccato, a malgrado che la
gola sia uno dei vizi capitali, il popolo napoletano, atavicamente perseguitato
dalla fame, non si riesce a comprendere come sia possibile ritenere peccato lo
sfamarsi anche lautamente... ed in maniera eccessiva.
19.CU LL'EVERA MOLLA, OGNUNO
S'ANNETTA 'O CULO.
Ad litteram: con l'erba tenera, ognuno si pulisce il sedere; per traslato: chi
è privo di forza morale o di carattere non è tenuto in nessuna considerazione ,
anzi di lui ci si approfitta, delegandogli persino i compiti piú ingrati
20.T'AMMERETAVE 'A CROCE GGIÀ 'A
PARICCHIO..
Ad litteram: avresti meritato lo croce già da parecchio tempo. A Napoli, la
locuzione in epigrafe è usata per prendersi gioco di coloro che, ottenuta la
croce di cavaliere o di commendatore, montano in superbia e si gloriano
eccessivamente per il traguardo raggiunto; ebbene a costoro, con la locuzione
in epigrafe, si vuol rammentare che ben altra croce e già da gran tempo,
avrebbero meritato intendendendo che li si ritiene malfattori, delinquenti,
masnadieri tali da meritare il supplizio della crocefissione quella cui,
temporibus illis, erano condannati tutti i ladroni...
21.LL'AVVOCATO À DDA ESSERE
'MBRUGLIONE.
Ad litteram: l'avvocato deve essere imbroglione. A Napoli - terra per altro di
eccellentissimi principi del foro, si è convinti che un buono avvocato debba
esser necessariamente un imbroglione, capace cioè di trovare argomentazioni e
cavilli giuridici tali da fare assolvere anche un reo confesso o - in sede
civilistica - far vincere una causa anche a chi avesse palesemente torto
22.LL'AVVOCATO FESSO È CCHILLO CA
VA A LEGGERE DINT'Ô CODICE.
Ad litteram: l'avvocato sciocco è quello che compulsa il codice; id est: non è
affidabile colui che davanti ad una questione invece di adoprarsi a comporla
pacificamente consiglia di adire rapidamente le vie legali; ad ulteriore
conferma dell'enunciato in epigrafe, altrove - nella filosofia partenopea - si
suole affermare che è preferibile un cattivo accordo che una causa vinta, che -
certamente - sarà stata piú dispendiosa
e lungamente portata avanti rispetto all'accordo.
23. GATTA CA ALLICCA 'O SPITO, NUN
CE LASSÀ CARNE P'ARROSTERE.
Ad litteram: alla gatta che lecca lo spiedo, non lasciar carne da
arrostire. Id est: non aver fiducia di chi ti à dato modo di capire di che
cattiva pasta è fatto, come non sarebbe opportuno lasciare della carne buona
per essere arrostita, a portata di zampe di un gatto che è solito leccare gli
spiedi su cui la carne viene arrostita...
24.'O FRIDDO 'E BBUONE 'E SCUTULÉA,
I 'E MALAMENTE S''E CARRÉA.
Ad litteram: il freddo percuote chi gode buona salute e porta via con sé chi
sta male. Id est: i rigori invernali fanno comunque danno; per solito, in
inverno, chi gode buona salute, finisce per ammalarsi, mentre chi è già malato
corre il grave rischio di morire.
25.RUMMANÉ Â PREVETINA COMME A DON
PAULINO.
Ad litteram: restare alla "prevetina" come don Paolino prete
nolano(celebre, altrove, per la sua indigenza così grande da non potersi permettere
l'acquisto di ceri per le sue funzioni religiose, che celebrava con dei tizzoni
di carboni ardenti). Id est: ridursi in gran miseria al punto di possedere solo
una prevetina, moneta che valeva appena 13 grana, ossia molto poco, e che
prendeva questo nome perché con la "prevetina" moneta del valore
appunto di 13 grana ci si pagava la celebrazione di una santa Messa.
26.È MMEGLIO FÀ 'MMIDIA CA PIETÀ.
Ad litteram: è meglio essere invidiati che essere oggetto di commiserazione; ed
il perché è intuitivo, comportando l'invidia uno status di opulenza,tale da
meritarsi l'invidia del prossimo, mentre il commiserato versa - per solito - in
pessime condizioni.
27.'NU STRUNZO CA CADETTE A MMARE,
VEDENNO 'NU PURTUALLO CA LLA GALLIGGIAVA, DICETTE: SIMMO TUTTE PURTUALLE!
Uno stronzo che cadde in mare, vedendo un'arancia che ivi galleggiava, easclamò:
siamo tutti arance! A Napoli si suole ripetere questo proverbio per canzonare e
commentare le azioni di tutti gli sciocchi, i supponenti e gli stupidi che
pretendono di farsi considerare per ciò che non sono...
28.Ô RICCO LLE MORE Â MUGLIERA, Ô
PEZZENTE LLE MORE Ô CIUCCIO.
Ad litteram: al ricco viene a mancare la moglie, al povero, l'asino... Id
est:Il povero è sempre quello piú bersagliato dalla mala sorte: infatti al
povero viene a mancare l'asino che era la fonte del suo sostentamento, mentre
al ricco viene a mancare la moglie, colei che gli dilapidava il patrimonio;
morta la moglie il ricco non ha da temere rivolgimenti di fortuna, mentre il
povero che ha perso l'asino sarà sempre piú in miseria.
29.PAZZE E CCRIATURE, 'O SIGNORE
LL'AJUTA.
Ad litteram: pazzi e bimbi, Dio li aiuta. Id est: gli irresponsabili godono di
una particolare protezione da parte del Cielo. Con questo proverbio, a Napoli,
si soleva disinteressarsi di matti o altri irresponsabili, affidandoli al
buonvolere di Dio e alla Sua divina provvidenza.
30.SI COMME TIENE 'A VOCCA, TENISSE
'O CULO, FACÌSSE CIENTO PIRETE E NUN TE N'ADDUNASSE.
Ad litteram: se come tieni la bocca, avessi il sedere faresti cento peti e non
te n'accorgeresti; il proverbio è usato per bollare l'eccessiva verbosità di
taluni, specie di chi è logorroico e parla a vanvera, senza alcun costrutto, di
chi - come si dice - apre la bocca per prendere aria, non per esprimere
concetti sensati.
31.SI 'ARENA È RROSSA, NUN CE
METTERE NASSE.
Ad litteram: se la sabbia(il fondale del mare) è rossa, non mettervi le
nasse(perché sarebbe inutile. Id est: Se il fondale marino è rosso - magari per
la presenza di corallo, non provare a pescare, ché non prenderesti nulla. Per
traslato il proverbio significa che se un uomo o una donna hanno inclinazioni
cattive, è inutile tentare di crear con loro un qualsiasi rapporto: non si
otterrebbero buoni risultati.
32.SI 'A TAVERNARA È BBONA, 'O
CUNTO È SEMPE CARO.
Ad litteram: se l'ostessa è procace, il conto risulterà sempre salato. Lo si dice
a mo' d'ammonimento a tutti coloro che si ostinano a frequentare donne lascive
e procaci, che per il sol fatto di mostrar le loro grazie pretendono di esser
remunerate in maniera eccessiva...
33.NUN TE DÀ MALINCUNÌA, NÈ PE MALU
TIEMPO, NÈ PE MALA SIGNURIA.
Ad litteram: non preoccuparti nè per cattivo tempo, nè per pessimi governanti.
Id est: sia il cattivo tempo, che i governanti cattivi prima o poi cambiano o
spariscono per cui non te ne devi preoccupare eccessivamente fino a prenderne
malinconia...
34.'AMMUINA È BBONA P''A GUERRA...
Ad litteram: il caos, la baraonda è utile in caso di guerra; id est: per aver
successo in caso di lotta occorre che ci sia del caos, della baraonda; mestando
in esse cose si può giungere alla vittoria nella lotta intrapresa.
35.ASTIPATE 'O PIEZZO JANCO PE
QUANNO VENONO 'E JUORNE NIRE.
Ad litteram: conserva il pezzo bianco per quando verranno le giornate nere. Id
est: cerca di comportarti come una formica; non dilapidare tutto quel che hai:
cerca di tener da parte sia pure un solo scudo d'argento (pezzo bianco) di cui
potrai servirti quando verranno le giornate di miseria e bisogno.
36.MALE E BBENE A FFINE VÈNE.
Ad litteram: il male o il bene ànno un loro termine. Id est: Non preoccuparti
soverchiamente ma pure non vivere sugli
allori perché sia il male sia il bene che ti incorrono,non sono eterni e come
son cominciati, così finiranno.
37.CHI TÈNE PANE E VVINO, 'E SICURO
È GGIACUBBINO.
Ad litteram: chi tiene pane e vino, di certo è giacobino. Durante il periodo
(23/1-13/6 1799)della Repubblica Partenopea, il popolo napoletano considerava
benestanti, i sostenitori del nuovo regime politico. Attualmente il proverbio è
inteso nel senso che sono ritenuti capaci di procacciarsi pane e vino, id est:
prebende e sovvenzioni coloro che militano o fanno vista di militare sotto le
medesime bandiere politiche degli amministratori comunali, regionali o
provinciali che a questi nuovi giacobini son soliti procacciare piccoli o
grossi favori, non supportati da alcuna seria e conclamata bravura, ma solo da
una vera o pretesa militanza politica.
38.DICETTE 'O PAGLIETTA: A TTUORTO
O A RRAGGIONE, 'A CCA À DDA ASCÌ 'A ZUPPA I 'O PESONE.
Ad litteram: disse l'avvocatucolo: si abbia torto o ragione, di qui devon
scaturire il pasto e la pigione; id est: non importa se la causa sarà vinta o
persa, è giusto assumerne il patrocinio che procurerà il danaro utile al
sostentamento e al pagamento del fitto di casa. Oggi il proverbio è usato
quando ci si imbarchi in un'operazione qualsiasi senza attendersene esiti
positivi, purché sia ben remunerata.
39.'O DIAVULO, QUANNO È VVIECCHIO,
SE FA MONACO CAPPUCCINO.
Ad litteram: il diavolo diventato vecchio si fa monaco cappuccino. Id est:
spesso chi ha vissuto una vita dissoluta e peccaminosa, giunto alla vecchiaia,
cerca di riconciliarsi con Dio nella speranza di salvarsi l'anima in extremis.
40.CHI TÈNE 'O LUPO PE CCUMPARE, È
MMEGLIO CA PURTASSE 'O CANE SOTT'Ô MANTIELLO.
Ad litteram: chi à un lupo per socio, è meglio che porti il cane sotto il
mantello. Id est: chi ha cattive frequentazioni è meglio che si premunisca
fornendosi di adeguato aiuto per le necessità che gli si presenteranno proprio
per le cattive frequentazioni. Da notare come in napoletano il congiuntivo
esortativo non è reso con il presente, ma con l'imperfetto...
41.SI 'O CIUCCIO NUN VO' VEVERE, AJE
VOGLIA D''O SISCÀ...
Ad litteram: se l'asino non vuole bere, potrai fischiare quanto vuoi (non
otterrai nulla)Id est: il testardo si redime ed accetta il nuovo solo con il
proprio autoconvincimento...
42.MO M'HÊ ROTTE CINCHE CORDE
'NFACCI' Â CHITARRA I 'A SESTA POCO TENE.
Ad litteram: ora mi hai rotto cinque corde della chitarra e la sesta è prossima
a spezzarsi. Simpatica locuzione che a Napoli viene pronunciata verso chi ha
così tanto infastidito una persona da condurlo all'estremo limite della
pazienza e dunque prossimo alla reazione conseguente, come chi vedesse
manomessa la propria chitarra nell'integrità delle corde di cui cinque fossero
state rotte e la sesta allentata al punto tale da non poter reggere piú l'accordatura.
43.COPPOLA PE CCAPPIELLO E CCASA A
SANT'ANIELLO.
Ad litteram:Berretto per cappello, ma casa a sant'Aniello (a Caponapoli). Id
est: vestirsi anche miseramente, ma prendere alloggio in una zona salubre ed
ariosa, poiché la salute viene prima dell'eleganza, ed il danaro va speso per
star bene in salute, non per agghindarsi.
44.TENÉ TUTTE 'E VIZZIE D''A
ROSAMARINA.
Ad litteram: avere tutti i vizi del rosmarino. Id est: avere tutti i difetti
possibili, essere cioè così poco affidabile ed utile alla stregua del
rosmarino, l'erba aromatica che serve a molto poco; infatti oltre che per dare
un po' di aroma non serve a nulla: non è buona da ardere, perché brucia a
stento, non fa fuoco, per cui non dà calore, non produce cenere che - olim -
serviva per il bucato, se accesa, fa molto, fastidioso fumo...
45.SI 'O SIGNORE NUN PERDONA A 77,
78 E 79, LLA 'NCOPPA NCE APPENNE 'E PPUMMAROLE.
Ad litteram: Se il Signore non perdona ai diavoli(77), alle prostitute(78) e ai
ladri(79), lassú (id est: in paradiso )
ci appenderà i pomodori. Id est: poiché il mondo è popolato esclusivamente da
ladri, prostitute e cattivi soggetti (diavoli), il Signore Iddio se vorrà accogliere
qualcuno in paradiso, dovrà perdonare a tutti o si ritroverò con uno spazio enormemente
vuoto che per riempirlo dovrebbe coltivarci pomodori.
46.CHILLO SE METTE 'E DDETE 'NCULO
E CACCIA 'ANIELLE.
Ad litteram: Quello si mette le dita nel sedere e tira fuori anelli. Id est: la
fortuna di quell'essere è così grande che è capace di procurarsi beni e
ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili.
47.AVIMMO PERDUTO 'APARATURA E 'E
CENTRELLE.
Ad litteram: abbiamo perduto gli addobbi ed i chiodini. Anticamente, a Napoli
in occasione di festività, specie religiose, si solevano addobbare i portali
delle chiese con gran drappi di stoffe preziose; tali addobbi erano chiamati
aparature; accaddeva però talvolta che - per sopravvenuto mal tempo, il vento e
la pioggia scompigliasse, fino a distruggere gli addobbi ed a svellere drappi e
chiodini usati per sostenerli; la locuzione attualmente viene usata per dolersi
quando, per sopravvenute, inattese cause vengano distrutti o vanificati tuttti
gli sforzi operati per raggiungere un alcunché.
48.'A FEMMENA È CCOMME Â CAMPANA:
SI NUN 'A TUCULIJE, NUN SONA.
Ad litteram: la donna è come una campana: se non l'agiti non suona; id est: la
donna ha bisogno di esser sollecitata per tirar fuori i propri sentimenti, ma
pure i propri istinti.
49.'A FEMMENA BBONA SI - TENTATA -
RESTA ONESTA, NUN È STATA BBUONO TENTATA.
Ad litteram: una donna procace, se - una volta che venga tentata - resta
onesta, significa che non è stata tentata a sufficienza. Lo si dice intendendo
affermare che qualsiasi donna, in ispecie quelle procaci si lasciano cadere in
tentazione; e se non lo fanno è perché... il tentatore non è stato all'altezza
del compito...
50.TRE CCOSE NCE VONNO P''E
PICCERILLE: MAZZE, CARIZZE E ZZIZZE!
Ad litteram: tre son le cose che necessitano ai bimbi: busse, carezze e tette.
Id est: per bene allevare i bimbi occorrono tre cose il sano nutrimento(le
tette), busse quando occorra punirli per gli errori compiuti, premi
(carezze)per gratificarli quando si comportano bene.
51.'E PEGGE JUORNE SO' CCHILLE D''A
VICCHIAIA.
Ad litteram: i peggiori giorni son quelli della vecchiaia; il detto riecheggia
l'antico brocardo latino: senectus ipsa morbus est; per solito, in vecchiaia
non si hanno piú affetti da coltivare o
lavori cui attendere, per cui i giorni sono duri da portare avanti e da
sopportare specie se sono corredati di malattie che in vecchiaia non mancano
mai...
52.DIMMÈNNE N'ATA, CA CHESTA GGIÀ
'A SAPEVO.
Ad litteram: raccontamene un'altra perché questa già la conoscevo; id est: se ài
intenzione di truffarmi o farmi del male, adopera altro sistema, giacché questo
che stai usando mi è noto e conosco il modo di difendermi e vanificare il tuo
operato.
53.DENARO 'E STOLA, SCIOSCIA CA
VOLA.
Ad litteram: denaro di stola, soffia che vola via. Id est: il danaro ricevuto o
in eredità, o in omaggio da un parente prete, si disperde facilmente, con la
stessa facilità con cui se ne è venuto in possesso.
54.FATTE CAPITANO E MMAGNE GALLINE.
Ad litteram: diventa capitano e mangerai galline: infatti chi sale di grado
migliora il suo tenore di vita, per cui, al di là della lettera, il proverbio
può intendersi:(anche se non è veramente accaduto), fa' le viste di esser
salito di grado, così vedrai migliorato il tuo tenore di vita.
55.'E MARIUOLE CU 'A SCIAMMERIA
'NCUOLLO, SO' PEGGE 'E LL' ATE.
Ad litteram: i ladri eleganti e ben vestiti sono peggiori degli altri. Id est:
i gentiluomini che rubano sono peggiori e fanno piú paura dei poveri che rubano magari per fame o
necessità
56.DICETTE FRATE EVARISTO:"PE
MMO, PIGLIATE CHISTO!"
Ad litteram: disse frate Evaristo: Per adesso, prenditi questo!"Il
proverbio viene usato a mo' di monito, quando si voglia rammentare a qualcuno,
che si stia eccessivamente gloriando di una sua piccola vittoria, che per
raggiungerla ha dovuto comunque sopportare qualche infamante danno. Il frate
del proverbio fu tentato dal demonio, che per indurlo al peccato assunse
l'aspetto di una procace ragazza discinta; il frate si lasciò tentare e
sodomizzandola partì all'assalto delle grazie della ragazza che - nel momento
culminante della tenzone amorosa riprese le sembianze del demonio e principiò a
prendersi giuoco del frate, che invece portando a compimento l'operazione
iniziata pronunciò la frase in epigrafe.
57.CHI RIDE D''O MMALE 'E LL'ATE,
'O SSUJO STA ARRET' Â PORTA.
Ad litteram: chi ride delle digrazie altrui, ha le sue molto prossime; id est:
chi o per cattiveria o per insipienza si fa beffe del male che ha colpito altre
persone, dovrebbe sapere che - presto o tardi - il male potrebbe colpire anche
lui...
58.È 'NA BBELLA JURNATA E NISCIUNO
SE 'MPENNE.
Ad litteram: E' una bella giornata e nessuno viene impiccato.Con la frase in
epigrafe, un tempo erano soliti lamentarsi i commercianti che aprivano bottega
a Napoli nei pressi di piazza Mercato dove erano innalzate le forche per le
esecuzioni capitali; i commercianti si dolevano che in presenza di una bella
giornata non ci fossero esecuzioni cosa che, richiamando gran pubblico, poteva
far aumentare il numero dei possibili clienti. Oggi la locuzione viene usata
quando si voglia significare che ci si trova in una situazione a cui mancano
purtroppo le necessarie premesse per il conseguimento di un risultato positivo.
59.'E MEGLIO AFFARE SO' CCHILLE CA
NUN SE FANNO.
Ad litteram: i migliori affari sono quelli che non vengono portati a
compimento; siccome gli affari - in ispecie quelli grossi - comportano una
aleatorietà, spesso pericolosa, è piú conveniente non principiarne o non portarne a
compimento alcuno.
60.QUANNO 'E FIGLIE FÒTTONO, 'E
PATE SO' FUTTUTE.
Ad litteram: quando i figli copulano, i padri restano buggerati Id est: quando
i figli conducono una vita dissoluta e perciò dispendiosa, i padri ne
sopportano le conseguenze o ne portano il peso; va da sé che con la parola fòttono
non si deve intendere il semplice, naturale, atto sessuale in costanza di matrimonio,
ma piú chiaramente quello compiuto a pagamento.
61.PRIMMA T'AGGI''A 'MPARÀ E PPO'
T'AGGI''A PERDERE....
Ad litteram: prima devo insegnarti(il mestiere) e poi devo perderti. Così son
soliti lamentarsi, dolendosene, gli artigiani partenopei davanti ad un fatto
incontrovertibile: prima devono impegnarsi per insegnare il mestiere agli
apprendisti, e poi devono sopportare il fatto che costoro, diventati provetti,
lasciano la bottega dove hanno imparato il mestiere e si mettono in proprio,
magari facendo concorrenza al vecchio maestro.
62.'NA MELA VERMENOSA NE 'NFRACETA
'NU MUNTONE
Basta una sola mela marcia per render marce tutte quelle con cui sia a
contatto. Id est: in una cerchia di persone, basta che ve ne sia una sola
cattiva, sleale o peggio, per rovinare tutti gli altri.
63.CHELLA CA LL'AIZA 'NA VOTA,
LL'AIZA SEMPE.
Ad litteram: quella che la solleva una volta, la solleverà sempre. Id est: una
donna che tiri su le gonne una volta, le tirerà su sempre; piú estesamente: chi commette una cattiva azione,
la ripeterà per sempre; non bisogna mai principiare a delinquere , altrimenti
si corre il rischio di farlo sempre.
64.CHELLA CAMMISA CA NUN VO' STÀ CU
TTE, PÍGLIALA E STRACCIALA!
Ad litteram: quella camicia che non vuole star con te, strappala! Id est:
allontana, anche violentemente, da te chi non accetta la tua amicizia o la tua
vicinanza.
65. SERA SO' BASTIMIENTI,  MATINA
SO' VARCHETELLE.
Ad litteram: a sera sono grosse navi, di mattina piccole barche.Con il mutare
delle ore del giorno, mutano le prospettive o proporzioni delle cose; così
quelli che di sera sembrano insormontabili problemi, passata la notte, alla
luce del giorno, si rivelano per piccoli insignificanti intoppi.
66.O CHESTO, O CHESTE!
Ad litteram: o questo, o queste.La locuzione viene profferita, a Napoli quando
si voglia schernire qualcuno con riferimento alla sua ottima posizione
economica-finanziaria; alle parole devono essere accompagnati però precisi
gesti: e cioè: pronunciando la parola chesto bisogna far sfarfallare le dita
tese delle mano destra con moto rotatorio principiando dal dito mignolo e
terminando col pollice nel gesto significante il rubare; pronunciando la parola
cheste bisogna atteggiare la mano ds. a mo' di corna, per significare
complessivamente che le fortune di chi è preso in giro sono state procurate o
con il furto o con le disonorevoli azioni della di lui moglie, figlia, o
sorella, inclini a farsi possedere per danaro.
67.CU 'O FURASTIERO, 'A FRUSTA E CU
'O PAISANO 'ARRUSTO.
Ad litteram: con il forestiero occorre usare la frusta (per scacciarlo)mentre
con il compaesano bisogna servirlo di adeguato sostentamento, proverbio che
viene di lontano ed è attualissimo.Proverbio invero strano per la cultura
napoletana dato che Napoli è stato per tutti sempre un paese accogliente!
68.A LLUME 'E CANNELA SPEDOCCHIAME
'O PETTENALE.
Ad litteram: a lume di candela, spidocchiami il pettinale (id est: monte di
Venere). Il proverbio è usato per prendersi giuoco o redarguire chi, per
ignavia, rimanda alle ore notturne ciò che potrebbe fare piú agevolmente e con migliori risultati alla luce diurna.
69.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, À DA
TENÉ BBONI CCOSCE.
Ad litteram: chi ha cattiva testa, deve avere buone gambe. Id est: chi è
incline a delinquere, deve avere buone gambe per potersi sottrarre con la fuga
al castigo che dovesse seguire al delitto.Inteso in senso meno grave il
proverbio significa che chi dimentica di operare alcunché deve sopperirvi con
buone gambe per recarsi a pigliare o a fare ciò che si è dimenticato di fare o
prendere.
70.A -APPENNERE 'A GIACCHETTA. B -
APPENNERE 'O CAZONE.
A- Appendere la giacca B- Appendere il pantalone. Si tratta in fondo di due
indumenti - per solito indossati dall'uomo, ma quanto diverso tra loro il
significato sottinteso dalle due locuzioni. Quello sub A - fa riferimento alla
giacca e sta a significare che si è smesso di lavorare e ci si è pensionati,
rammentando che - normalmente - specie per lavori manuali l'uomo è solito
liberarsi della giacca e lavorare in maniche di camicia; per cui disfarsi del
tutto della giacca significa che non si è intenzionati a rimettersi al lavoro.
Diverso e di significato piú grave la
locuzione sub B;essa adombra il significato di decedere, lasciando una vedova,
tenendo presente che della giacca ci si libera per lavore, mentre del calzone
lo si fa per coricarsi anche definitivamente.
71. BBONA 'E DDIO!
Letteralmente: Con il benvolere di Dio. Id est: ci assista Dio. E' l'augurio
che ci si autorivolge nel principiar qualsiasi cosa affinché la si possa portare
a compimento senza noie o pericoli. Traduce ad litteram l'augurio A la buena de
Dios che i naviganti spagnoli solevano rivolgersi scambievolmente al levar
delle àncore.
72.SCUNTÀ A FFIERRE 'E PUTECA.
Letteralmente: scontar con utensili di bottega. Id est: saldare un debito
conferendo non il dovuto danaro, ma una prestazione di lavoro confacente al
proprio mestiere, con l'uso dei ferri da lavoro usati nella propria bottega.
73.PARÉ 'O CARRO 'E BATTAGLINO.
Letteralmente: sembrare il carro di Battaglino. Id est: essere simile ad un
famoso carro che veniva usato a Napoli per una processione votiva della sera
del sabato santo, processione promossa dalla Cappella della SS. Concezione a
Montecalvario. Detta Cappella era stata fondata nel 1616 dal nobile Pompeo Battaglino;
sul carro che dal nobile prese il nome, era portata in processione l'immagine
della Madonna accompagnata da un gran numero di musicio e cantori.In ricordo di
detto carro, ogni mezzo di locomozione che sia stipato di vocianti viaggiatori
si dice che sembra il carro di Battaglino oppure ‘e Picchippó
74.FATTÉLLA CU CHI È MMEGLIO 'E TE
E FFANCE 'E SPESE.
Letteralmente: Frequenta chi è miglior di te e sopportane le spese. Il
proverbio compendia la massima comportamentale secondo la quale le amicizie
vanno scelte nell'ambito di persone che siano migliori di se stessi,
soprattutto dal punto di vista morale... e bisogna coltivare questo tipo di
amicizia anche se esso tipo comporta il doverci rimettere economicamente
parlando.
75.I' FACCIO PERTOSE E TTU GAVEGLIE.
Letteralmente: io faccio buchi e tu cavicchi; id est: io faccio buchi e tu
sistematicamente li turi, ossia mi remi contro. La locuzione è usata anche
profferendone la sola prima parte e sottointendendo la seconda quando si voglia
redarguire qualcuno che si adoperi a distruggere o vanificare l'operato di un
altro e lo faccia non per ottenerne vantaggio, ma per il solo gusto di porre il
bastone tra le ruote altrui.
76.'A MUSICA GIAPPUNESE.
La musica giapponese. Così i napoletani - abituati a ben altre armoniche melodie
- sogliono definire quelle accozzaglie di suoni e rumori in cui vengon coivolti
strumenti musicali, ma che con la musica hanno ben poco da spartire. Quando
ancora esisteva la magnifica festa di Piedigrotta, spesso a Napoli per la strada
si potevano incontrare gruppetti di ragazzi che producevano una dissonante
musica -detta: musica giapponese -servendosi di particolari strumenti musicali
quali: scetavajasse, triccabballacche, zerrizzerre e putipú . Con la medesima
locuzione ci si riferisce, con evidente sarcasmo, altresí ad una dissonante musica che
faccia addirittura a meno di strumenti musicali e venga prodotta
artificiosamente con rumori della bocca che scimmiottino gli strumenti.
77.TE FACCIO SENTÌ MUNTEVERGINE CU
TUTT''E CCASTAGNE SPEZZATE.
Letteralmente: Ti faccio sentire Montevergine con accompagnamento delle
castagne frante. Espressione minacciosa con la quale si promette una violenta
reazione ad azioni ritenute lesive; è costruita sul ricordo della gita fuori
porta fatta il lunedì dell' angelo allorché interi quartieri solevano recarsi
al santuario di Montevergine su carrozze trainate da cavalli bardati a festa.
Il ritorno verso la città avveniva in una sarabanda di suoni e di canti corali
portati allo strepito anche per i fumi dei vini consumati in gran copia; il
vino era consumato per accompagnare il consumo di castagne secche ed infornate
che erano vendute confezionate come grani di collane di spago che ogni cavallo
si portava al collo come abbellimento.
78.FÀ SCENNERE 'NA COSA DÊ CCOGLIE
'ABRAMO.
Letteralmente: far discendere una cosa dai testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione
partenopea che a Napoli si usa a sapido commento delle azioni di chi si fa
eccessivamente pregare prima di concedere al petente un quid sia esso un'opera
o una cosa lasciando intendere che il quid richiesto sia di difficile
ottenimento stante la augusta provenienza.
79.CANTA CA TE FAJE CANONICO!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla piú forte ché avrai ragione Il proverbio intende
sottolineare l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie
argomentazioni da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce
ritenendo così di prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta i
canonici della Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità
spesso elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
80.ARMAMMOCE E GGHIATE.
Letteralmente: armiamoci, ma andate! Id est: Tirarsi indietro davanti al
pericolo; come son soliti fari troppi comandanti, solerti nel dare ordini, ma
mai disposti a muovere i passi verso il luogo della lotta; così soleva
comportarsi il generale francese Manhès che inviato dal re Gioacchino Murat in Abruzzo
a combattere i briganti inviò colà la truppa e restò a Napoli a bivaccare e non
è dato sapere se raggiunse mai i suoi soldati.
81.A - CANE E CCANE NUN SE MOZZECANO B-
CUOVERE E CUOVERE NUN SE CECANO LL'UOCCHIE.
Letteralmente: A- CANI E CANI NON SI AZZANNANO B- CORVI E CORVI NON SI ACCECANO
Ambedue i proverbi sottolineano lo spirito di corpo che esiste tra le bestie,
per traslato i proverbi li si usa riferire anche agli uomini, ma intendo
sottolineare che persone di cattivo stampo non son solite farsi guerra, ma - al
contrario - usano far causa comune in danno dei terzi.
82.CCA 'E PPEZZE E CCA 'O SSAPONE.
Letteralmente: Qui gli stracci e qui il sapone. Espressione che compendia
l'avviso che non si fa credito e che al contrario a prestazione segue immediata
controprestazione. Era usata temporibus illis a Napoli dai rigattieri che davano
in cambio di abiti smessi o altre cianfrusaglie, del sapone per bucato e che
perciò erano detti sapunare.
83.TENÉ 'A SÀRACA DINT' Â SACCA
Letteralmente: tenere la salacca in tasca. Id est: mostrarsi impaziente e
frettoloso alla stregua di chi abbia in tasca una maleodorante salacca
(aringa)e sia impaziente di raggiungere un luogo dove possa liberarsi della
scomoda compagna.
84.T'AGGI''A FÀ N'ASTECO ARETO Ê
RINE...
Letteralmente Ti devo fare un solaio nella schiena.Id est: Devo percuoterti
violentemente dietro le spalle. Per comprendere appieno la portata di questa
grave minaccia contenuta nella locuzione in epigrafe, occorre sapere che per
asteco a Napoli si intende il solaio di copertura delle case, solaio che
anticamente era formato con abbondante lapillo vulcanico ammassato all'uopo e
poi violentemente percosso con appositi martelli al fine di grandemente
compattarlo e renderlo impermeabile alle infiltrazioni di acqua piovana.
85.OGNE ANNO DDIO 'O CUMANNA
Letteralmente: una volta all'anno lo comanda Iddio. La locuzione partenopea
traduce quasi quella latina: semel in anno licet insanire, anche se i
napoletani con il loro proverbio chiamano in causa Dio ritenuto corresponsabile
delle pazzie umane quale ordinante delle medesime.
86.A LLAVà ‘A CAPA Ô CIUCCIO SE
PERDE LL’ACQUA I’O SSAPONE
A lavare la testa all’asino si perde l’acqua ed il sapone.Id est:
è inutile tentare di dare un’istruzione od un’educazione a chi sia
testardo e di pessima indole; si spreca la fatica ed il tempo occorrenti.
87.PE GGULÌO 'E LARDO, METTERE 'E
DDETE 'NCULO Ô PUORCO.
Letteralmente: per desiderio di lardo, porre le mani nell'ano del porco. Id
est: per appagare un desiderio esser pronto a qualsiasi cosa, anche ad azioni
riprovevoli e che comunque non assicurano il raggiungimento dello scopo
prefisso. La parola gulìo= voglia, desiderio pressante non deriva dall'italiano
gola essendo il gulìo non espressamente lo smodato desiderio di cibo o bevande;
piú esattamente la parola gulìo è da
riallacciarsi al greco boulomai=volere intensamente con consueta trasformazione
della B greca nella napoletana G come avviene per es. anche con il latino dove
habeo è divenuto in napoletano aggio o come rabies divenuta raggia.
88.SCIORTA E MMOLE SPONTANO 'NA
VOTA SOLA.
Letteralmente:la fortuna ed i molari compaiono una sola volta. Id est: bisogna
saper cogliere l'attimo fuggente e non lasciarsi sfuggire l'occasione propizia
che - come i molari - spunta una sola volta e non si ripropone
89.LL'ARTE 'E TATA È MMEZA
'MPARATA.
Letteralmente: l'arte del padre è appresa per metà. Con questa locuzione a
Napoli si suole rammentare che spesso i figli che seguano il mestiere del
genitore son favoriti rispetto a coloro che dovessero apprenderlo ex novo.
Partendo da quanto affermato in epigrafe spesso però capita che taluni si
vedano la strada spianata laddove invece al redde rationem mostrano di non aver
appreso un bel nulla dal loro genitore e finisce che la locuzione nei riguardi
di tali pessimi allievi debba essere intesa in senso ironico ed antifrastico.
90.OGNE GGHIUORNO È TTALUORNO.
Letteralmente: ogni giorno è una fastidiosa ripetizione; id est: insistere
reiteramente su di uno stesso argomento, non può che procurar fastidio; con la
frase in epigrafe a Napoli si cerca di dissuadere dal continuare chi perseveri
nel parlare sempre dello stesso argomento, finendo per tediare oltremodo
l'interlocutore. taluorno viene forse da un latino: tal-urnus: ripetizione.
91.ATTACCARSE A 'E FELÌNIE.
Letteralmente: appigliarsi alle ragnatele. Icastica locuzione usata a Napoli
per identificare l'azione di chi in una discussione - non avendo solidi
argomenti su cui poggiare il proprio ragionamento e perciò e le proprie pretese
- si attacchi a pretesti o ragionamenti poco solidi, se non inconsistenti,
simili -appunto - a delle evanescenti ragnatele.
92.JÌ FACENNO 'O GGIORGIO CUTUGNO.
Letteralmente: andar facendo il Giorgio Cotugno. Id est: andare in giro
bighellonando, facendo il bellimbusto, assumendo un'aria tracotante e guappesca
alla stessa stregua di tal mitico Cotugno scolpito in tali atteggiamenti su di
una tomba della chiesa di san Giorgio maggiore a Napoli. Con la locuzione in
epigrafe il re Ferdinando II Borbone Napoli soleva apostrofare il duca Giovanni
Del Balzo che era solito incedere con aria tracotante anche davanti al proprio
re.
93.'O CONTE MMERDA ‘A PUCERIALE.
Letteralmente: Il conte Merda da Poggioreale. Così, per dileggio vien definito
dal popolo colui che vanti falsamente illustri progenitori, o colui che si dia
arie da nobiluomo incedendo con sussiego ed alterigia. Ma il personaggio in
epigrafe esistette veramente in Napoli e tale nomignolo fu affibbiato dal
popolo al patriarca, un tal conte Brasco Iannicelli[mancano precise notizie
biografiche] di un’antica famiglia
napoletana che aveva il possesso di una villa nella zona di Poggioreale. Tale
signore ebbe, sul finire del
94.MONECA ‘E CASA: DIAVULO JESCE E
TTRASE, MONECA ‘E CUNVENTO, DIAVULE ÒGNI MMUMENTO.
Letteralmente: monaca di casa: diavolo entra ed esce, monaca di convento:
diavolo ogni momento. La locuzione, con una punta di irriverenza, viene usata,
quando si voglia eccepire qualcosa sul comportamento di chi, invece,
istituzionalmente dovrebbe avere un comportamento irreprensibile. La monaca di
casa era a Napoli una di quelle attempate signorine che, per non essere
tacciate di zitellaggio, facevano le viste di dedicarsi alla cura di qualche
parente anziano o prete. Va da sé che il diavolo della locuzione è usato
eufemisticamente per indicare il medesimo diavolo di talune novelle del
Boccaccio; per ciò che attiene il convento è facile pensare che la locuzione
faccia riferimento a quel covento di sant'Arcangelo a Baiano in Napoli, finito
nelle cronache dell'epoca e successive per i comportamenti decisamente
libertini tenuti da talune suore ivi ospitate.
95.FRIJERE ‘O PESCE CU LL’ACQUA.
Letteralmente: friggere il pesce con l'acqua. La locuzione stigmatizza il
comportamento insulso o quanto meno eccessivamente parsimonioso di chi tenti di
raggiungere un risultato apprezzabile senza averne i mezzi occorrenti e
necessari in mancanza dei quali si va certamente incontro a risultati errati o
di risibile efficacia.
96.MEGLIO ‘NA MALA JURNATA CA ‘NA
MALA VICINA.
Meglio una cattiva giornata che una cattiva vicina. Ed il perché è facile da
comprendersi: una giornata cattiva, prima o poi passa e con essa i suoi effetti
negativi, ma una cattiva vicina, perdurante la sua stabile vicinanza, di
giornate cattive ne può procurare parecchie...
97.CU CCHESTU LLIGNAMMO SE FANNO ‘E
STRUMMOLE.
Letteralmente: con questo legno si fanno le trottoline. Id est: Non attendetevi
risultati migliori, perché con quel materiale che ci conferite non possiamo che
fornirvi cose senza importanza e non altro! In una seconda valenza la locuzione
sta a significare: badate che ciò che ci avete richiesto si fa con questo
(scadente) materiale, non con altro piú pregiato...
98.NAPULE FA ‘E PECCATE I ‘A TORRE
‘E SCONTA.
Letteralmente: Napoli pecca e Torre del Greco è punita. La locuzione è usata a
significare l'incresciosa situazione di chi paga il fio delle colpe altrui. Nel
merito della locuzione: per mera posizione geografica e a causa dei venti e
delle correnti marine, i liquami che Napoli scaricava nel proprio mare
finivano, inopinatamente, sulla costa di Torre del Greco, ridente località
confinante col capolugo campano.
99.A- COMME PAVAZZIO, ACCUSSÍ
PPITTAZZIO. B – POCU PPANE, POCU SANT’ANTONIO.
Letteralmente: A - Come pagherai, così dipingerò. B - Poco pane, poco
sant'Antonio. Ambedue le locuzioni adombrano il principio di reciprocità insito
nel sinallagma contrattuale, per il quale il do è commisurato al des; id est:
non si può pretendere un corrispettivo superiore alla retribuzione. La
locuzione sub A ricorda l'iscrizione posta da tale F. A. S. GRUE dietro il
celebre albarello di san Brunone; mentre quella sub B ripropone la risposta
data dal pittore Giacinto Diano (Pozzuoli, 28 marzo
1731 –† Napoli, 13 agosto 1803) ai frati domenicani che officiavano[al tempo di Francesco I (Napoli,
19 agosto 1777 – †Napoli, 8 novembre 1830)]nel tempio di Sant’Antonio a
Posillipo e gli avevano commissionato un quadro
raffigurante sant'Antonio. Alle rimostranze dei frati che si dolevano della
lentezza del pittore nel portare innanzi l'opera commissionata, il pittore
rispose con la frase in epigrafe (sub B)dolendosi a sua volta dell'esiguità
della remunerazione.
100.S'Ė FFATTA NOTTE Ô PAGLIARO.
Letteralmente: Ė calata la notte sul fienile. La locuzione viene usata a mo' di
incitamento all'operosità verso colui che procrastini sine die il compimento di
un lavoro per il quale - magari - ha già ricevuto la propria mercede; tanto è
vero che si suole commentare: chi pava primma è male servuto (chi paga in
anticipo è malamente servito...)
Brak
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