giovedì 10 luglio 2008

IL VERBO NAPOLETANO /PARIÀ

IL VERBO NAPOLETANO /PARIÀ

Il verbo napoletano in epigrafe: parià/pariare, cosí attestato nei piú antichi vocabolarii della lingua napoletana, mentre nei piú recenti è registrato con una doppia forma: padià - parià (doppia forma che lascerebbe supporre una tipica rotacizzazione osco-mediterranea d→r in forza della quale un originale padià sia stato poi letto parià (ma è cosa tutta da dimostrare...atteso che mai lessi o ascoltai padiare in luogo di pariare - parià)è verbo di remoto uso (16° e 17° sec. e ss. ) sia del parlato che dello scritto presente passim in gran parte dei maggiori scrittori antichi partenopei da Basile a Sgruttendio a Trinchera a Vottiero recepito altresí anche nel Vocabolario Napolitano – Italiano di Pietro Paolo Volpe (1869) cosa che attesta l’uso del verbo che ancóra era vivo al tempo della compilazione del cennato vocabolario, tra i maggiori del suo tempo per la ricerca dei lemmi codificati nel linguaggio parlato.
Premesso dunque che non trovo molto attendibile la forma padià proposta dai moderni compilatori di calepini, forma che reputo abbiano librescamente marcata sulle omologhe di ad es.: piede/piere – Madonna/Maronna etc.,ma – con ogni probabilità non abbiano trovata attestata nello scritto e nell’orale..., dirò che prima che il verbo in epigrafe divenisse preda del gergo giovanile corrente e/o del dialetto gergale diffuso in taluna infima, becera provincia del contado partenopeo (lèggi: Giugliano, Afragola, Acerra, le due Fratta etc.) di quello casertano e salernitano ed or ve ne dirò, ebbe un significato ben preciso e pressocché univoco: parià/pariare valse: digerire e per estensione: sopportare sebbene in quest’ultima accezione il verbo fosse usato esclusivamente in frasi negative del tipo: Nun te pozzo parià = Non posso digerirti, non ti posso sopportare...
Quando poi (1970 e ss.) il verbo parià/pariare è diventato preda - come ò detto - del gergo giovanile corrente e/o del dialetto gergale diffuso in taluna infima, becera provincia dei contadi partenopei, casertani, salernitani etc. ecco che à dismesso quasi del tutto i suoi originarii significati di digerire e per estensione: sopportare per assumerne altri affatto correlabili a digerire e sopportare se non attraverso un complicato e faticoso percorso semantico; i significati odierni sono divertirsi, perder tempo, bighellonare, indugiare, comportarsi in modo sciolto, rilassato, divertito, godersi la vita ed in talune remote province anche: gozzovigliare,infastidire, sfotticchiare qualcuno/a....come il vitellone o il playboy d’antan; al segno che tale infastidire etc. deborda sino al prendere in giro, allo schernire pur sempre definiti parià/pariare.
Tento di chiarire il complesso e farraginoso percorso semantico seguíto (probabilmente inconsciamente) dai giovani gerganti che partendo da digerire sono approdati al divertirsi, perder tempo, bighellonare, indugiare, comportarsi in modo sciolto, rilassato, divertito, godersi la vita e per estensione gozzovigliare, darsi il buon tempo in compagnia femminile, infastidire, sfotticchiare qualcuno/a.., prendere in giro, e schernire che sono in fondo il modo migliore di godersi la vita. Per comprendere questo passaggio bisogna rifarsi agli antichi dettami della scuola medica salernitana che recitò: Post prandium aut stabis aut lento pede deambulabis (Dopo il desinare o resterai fermo all’impiedi o passeggerai lentamente (per dare corso alla digestione e favorirla). Va da sé che chi stia fermo o passeggi lentamente perde tempo, indugia, bighellona comportandosi in maniera rilassata quella che può indurrre al divertimento che a sua volta può sfociare nella gozzoviglia; ed ecco che un originario digerire à mutato completamente significato, pur restando parià/pariare senza necessità di confonderlo con sbarià/svarià/sbariare/svariare che è vaneggiare, delirare,farneticare,confondersi tutti significati che nulla ànno a che spartire con il digerire o tutte le altre moderne accezioni del verbo parià/pariare.
E vengo in chiusura all’etimologia del verbo in epigrafe;
Purtroppo i calepini in mio possesso al proposito nicchiano quasi tutti, rifugiandosi – anche quelli che prendono in considerazione il lemma(sia pure nel solo primo significato di digerire) – dietro il solito etimo ignoto ;il solo D’Ascoli congettura (sia pure fantasiosamente ?...) qualcosa, ma propone un non attestato verbo lat. (o tardo lat.?) pagidire/pagidare di cui non ò trovato alcuna occorrenza, come non ne ò trovato (eppure ò compulsato i maggiori dizionarii della lingua italiana) per i pretesi (dal D’Ascoli) paidire, padire, pagidire che a suo dire dovrebbero in italiano stare tutti per digerire. Purtroppo talvolta il vecchio D’Ascoli (parce sepulto!) si innamorava delle proprie idee e dava libero sfogo alla fantasia inducendo in errore un lettore acritico! Ma non mi avrà nella sua pania, quantunque ad un piú accurato esame pare che esistano i lemmi regionali “paidare / paidire = digerire” , da rispettive forme d’un latino volgare *pa(g)idare / *pagidire o *paidire, che però sono d’incerta origine,e quasi certamente ricostruiti, anche se rispettivamente attestati dal “Fascicolo di medicina volgare” e da Jacopone da Todi. Normale e giustificabile sarebbe stata la metatesi da “paidare → padiare”, com’è per i lemmi latini “pa(g)ina-m (= pergolato)→ *paina → pania, aera → aere → aria, epperò tale esistenza non ci assicura che i verbi paidare / paidire = digerire” , da rispettive forme d’un latino volgare *pa(g)idare / *pagidire o *paidire siano stati di autentico, accertato uso popolare (lingua effettivamente parlata)al posto od accanto al ns. parià e non siano – come invece io reputo formazioni libresche create ad usum delphini da uomini di cultura, formazioni senza effettivo riscontro sulla bocca del popolo!

Né d’altro canto mi convince il Du Cange (pg. 173) con pariare=parem facere=considerare pari (→considerare simile a noi→sopportare→digerire): troppo arzigogolata la via semantica ipotizzata... come non mi può convincere il riferimento al verbo latino parere con le sue voci pario etc. verbo che indicò: partorire, procurare,arrecare,generare ognuno vede che semanticamente nulla può ricondure partorire, procurare,arrecare,generare al significato di digerire. E allora?
Mi son fatto una mia idea e ve la partecipo.
Atteso che non tutte le parole sono dei deverbali e che talvolta un verbo può essere un denominale, nella fattispecie per il verbo parià/pariare= digerire ci troviamo difronte ad una azione (quella che indica la digestione ) che attiene all’addome ed all’intestino, penso perciò che per parià/pariare= digerire si possa pensare ad un collegamento al sostantivo pariata sost. femm. (anche esso riportato, ma non so con quanta esattezza nella forma di padiata) che cone significato à : interiora d’animale macellato, busecca; pariata/padiata à quasi certamente il suo etimo nel greco (la)pàra con la sillaba iniziale (la) deglutinata in quanto intesa articolo; e dalla pariata/padiata=intestino si è potuto giungere a pariare/parià= digerire, funzione che investe l’addome e l’intestino. D’altro canto una volta coniato il verbo parià/pariare è piú che probabile che pariata/padiata sia stato inteso part. passato femm. sostantivato del verbo ed abbia indicato la digestione. A mio sommesso avviso penso che la strada che ò proposto, possa essere agevolmente percorsa.

A margine,a completamento ed a parziale rettifica di quanto ò detto precedentemente devo tuttavia annotare che il verbo in epigrafe compare nella forma di padiare nel Pentamerone del Basile (Trattenemiento VIII): ".pe la quale cosa non potenno padiare chiú le 'ngnoranzie soje." Ciò potrebbe far supporre che padiare sia perciò la forma piú antica, il che escluderebbe la derivazione di pariàre da lapàra. Ed ancóra anche nel Vocabolario domestico napoletano e toscano di Basilio Puoti, (1841), contrariamente a quanto riportato dal Pietro Paolo Volpe nel suo Vocabolario Napolitano – Italiano (1869) che registra due distinte voci: padejare e parià si legge in un unicum : PADIARE e PARIARE. Verb. att. e neut.: Smaltire, Convertire ciò che si mangia e beve in sostanza, Concuocerlo. Digerire, Digestire. Red. Lett. I.306. Il nostro stomaco digerisce piú facilmente l'acqua che il vino. e nel medesimo vocabolario si legge: PADIATA e PARIATA. Sost. femm. Budellame di animali. Busecchia, Busecchio.
Orbene anche alla luce di quanto riportato, mantengo ferma la mia idea che il verbo originario sia pariare con l’etimo proposto e che le forme padiare/padejare riportate negli scrittori menzionati altro non siano che un aggiustamento operato, per mero ipercorrettismo, dai medesimi senza riscontro nel parlato popolare.
Salvo errori &/o omissioni
Et de hoc satis!
Raffaele Bracale.

1 commento:

Pastafari ha detto...

Geniale deduzione. Il Basile ed il Puoti hanno probabilmente "derotacizzato" la R nella trasposizione grafica delle parole in esame, per un più che verosimile "ipercorrettismo". Da notare che forse la "pajata" romana, a base di interiora di manzo, potrebbe a questo punto contribuire a confermare la sua analisi.

Apprezzo la scelta di rendere le voci di "avere", "ho" e "ha", con ò e à. Scelta logica che purtroppo si scontra con la disabitudine italiana ad usare correttamente gli accenti, preferendo la lettera H come più "comodo" ed evidente segno grafico.

Il "parce sepulto" ad Ascoli, se inteso letteralmente, è inopportuno, se è vero, come mi risulta, che il nostro autore è ancora in vita.

Mi permetta di criticare le eccessive ripetizioni di intere frasi e concetti che appesantiscono l'esposizione dei suoi pensieri.

Inoltre non capisco come una persona capace di un'analisi tanto profonda e sottile possa connotare come infima e becera la realtà del contado partenopeo. Il suo intuito in ambito semantico ed etimologico è tanto straordinario quanto pessima risulta, evidentemente, la sua capacità di analisi della realtà che la circonda.

La città di Napoli contiene sacche infime e becere, non meno di quanto ne contenga la provincia, anche se volessimo limitare tale opinione al solo ambito linguistico. Gli abitanti di Napoli, che presumono di parlare la "lingua pura", compiono errori di pronuncia e di grammatica di diversa natura ma di pari frequenza rispetto agli abitanti del contado. Perciò gradirei maggiore prudenza nella scelta dei termini con cui si esprime, per evitare che il suo pensiero venga frainteso, o peggio venga chiaramente compreso.