venerdì 10 aprile 2009

FÀ QUATTO CIAPPETTE.

FÀ QUATTO CIAPPETTE.
Letteralmente: fare quattro ciappette. Id est: compiere un lavoro in maniera rabberciata e disimpegnata ; detto soprattutto di lavori che impegnano poco le braccia e molto la mente, lavori che però siano fatti con poca attenzione e dedizione e se ad es. si tratta di vergare uno scritto, lo si fa servendosi di concetti triti, ripetitivi e striminziti, vergati alla meno peggio, , messi in fila in maniera abborracciata, quasi automaticamente conseguenziali, non supportati da idee nuove, ma farciti di ovvietà noiose e monotone. Con altra valenza leggermente differente, ma corposamente sarcastica il concetto in epigrafe viene riferito, con una tipica espressione che è: Sape fà quatte ciappette!, a chi saccente e supponente, faccia le viste, al contrario, di essere molto colto, di conoscere tutte le evenienze del vivere vantandosi di possedere conoscenze in vasti campi dello scibile umano, laddove in realtà tutta la sua cultura e tutte le sue conoscenze si riducono a pochissime nozioni trite e ritrite, ovvie, non originali, noiose e monotone spesso non accompagnate da autentica e conclamata scienza e/o esperienza, ma fondate esclusivamente sul sentito dire. o sui manualetti di pronto impiego di talune professioni e non le specifico per non incorrere nelle ire di amici e/o parenti...
La parola ciappetta di per sé non è che il diminutivo di ciappa s f fibbia, fermaglio, borchia voce pervenuta nel napoletano attraverso lo spagnolo chapa derivato del lat. capulum attraverso un plurale metatetico, inteso poi femminile, regionale *clapa→chiapa→chapa.
Va da sé che semanticamente è quasi impossibile collegare il concetto di un piccolo fermaglio, una piccola fibbia o una borchietta con l’idea di nozioni trite e ritrite, ovvie noiose e monotone. Ma la cosa si può risolvere seguendo quella che fu l’originaria formulazione dell’espressione in epigrafe, espressione che purtroppo, nessuno mai degli addetti ai lavori si è peritato di prendere in considerazione od esame. Lo faccio qui di sèguito,pur non essendo un paludato o patentato addetto, augurandomi di fare cosa gradita a chi mi leggerà.
In origine infatti nelle isole al largo di Napoli (dove l’espressione nacque) non si usò l’espressione Sapé fà quatte ciappette ma s’usò dire Sapé fà quatte scippe sciappe con riferimento a chi avesse imparato a fare appena pochi tratti di penna (scippi) e si vantasse, chiaramente a torto, di essere molto istruito; quando poi l’espressione Sapé fà quatte scippe sciappe approdò a Napoli fu trasformata in Sapé fà quatte cippe ciappe e ciò perché probabilmente le voci scippe sciappe (di cui la seconda non corrispondeva né ad un oggetto, né ad una idea, ma era stata ricavata da scippe (plurale di scippo (deverbale del lat. ex-cippare) nel senso però di tratto di penna e non di graffio) per bisticcio ed allitterazione espressivi ) furono intese come originarie cippe e ciappe addizionate della solita esse protetica intensiva napoletana, ma poiché i concetti che gli originarii scippe sciappe dovevano rappresentare erano concetti riduttivi e negativi, si pensò – a ragione forse – che non avevano senso le esse intensive e scippe sciappe divennero cippe ciappe; allorché poi ci si rese conto che al derivato cippe non si poteva collegare alcun oggetto reale o concetto comprensibile si preferí eleminar tout court quel cippe e mantenere solo quelle residuali ciappe (in origine sciappe) divenute quasi per magia corrispondenti ad un oggetto reale (fibbie, fermagli, borchie) e dovendo esse ciappe esprimere concetti negativi e riduttivi, se ne fece il diminutivo ciappette e l’espressione diventò Sape fà quatte ciappette che vale saper fare quattro insignificanti cosucce e menarne vanto quasi si trattasse di cose pregnanti e/o importanti, che è poi l’atteggiamento tipico d’ogni saccente e supponente.
raffaele bracale

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