martedì 7 marzo 2017

VARIE 17/289

1.VIDE 'O CIELO CHE TE MENA! Ad litteram: guarda il cielo che ti concede! Icastica locuzione che potrebbe avere una valenza sia positiva che negativa, ma che viene usata solo con riferimento a quella negativa quale sofferto, amaro commento a ciò che di sgradevole, quando non deleterio, inattesamente ci caschi in testa piovendoci dall' Alto, senza lasciarci modo di evitarlo. 3.VIESTE CICCONE, CA PARE BBARONE. Letteralmente: vesti Ceccone e sembrerà un barone. La locuzione napoletana stravolge completamente quella toscana che afferma: l'abito non fa il monaco. Il detto partenopeo, al contrario, afferma che basta vestire accuratamente un qualsiasi Ceccone (villano) per farlo apparire un barone... 3.VOCA FORA CA 'O MARE È MMARETTA... Rema verso il largo ché il mare è agitato...Consiglio pressante, quasi ingiunzione ad allontanarsi, rivolto a chi chieda insistentemente qualcosa che non gli spetti.In effetti i marinai sanno che quando il mare è molto agitato è conveniente remare verso il largo piuttosto che bordeggiare a ridosso della riva contro cui ci si potrebbe infrangere. 4.VOGLIO SAPÉ TUTTO DALL'A NFI’ Ô RUMME Antica icastica espressione purtroppo desueta che letteralmente si può rendere con Intendo esser messo al corrente di ogni cosa dalla a sino al rum. Id est: Voglio saper vita, morte e miracolo (di qualcosa) Lo si dice di chi indiscreto, ficcanaso, invadente, impiccione di un accadimento voglia essere informato particolareggiatamente, messo a conoscenza minutamente, in tutti i particolari, soprattutto quando dell’avvenimento in questione dovrebbe mantenersi all’oscuro in quanto non di sua pertinenza. Tutta l’espressione è incentrata sul termine RUMME s.vo m.le che è etimologicamente la lettura popolare della sillaba -rum,poi che come alibi ricordo il napoletano per solito aborre da voci terminanti per consonanti e le rende con l’aggiunta d’una paragoge, cioè di una sillaba finale con vocale evanescente e con il raddoppiamento della consonante (cfr. tramme←tram, bisse←bis, barre←bar,gasse←gas, autobbusso←autobus con la sola eccezione della negazione NUN talvolta attestata però anche come nune insieme a none che vale no ed a sine= sí ); rumme è dunque il nome dell’abbreviazione con cui si rappresentava, nel Medioevo e nel Rinascimento, la desinen-za latina -rum, e anche altri gruppi finali comincianti con r- (per es., illorum, coram, notarium, feriam potevano essere scritti: illorumme coramme notoriumme, feriamme etc. ). Nella tavola dell’alfabeto il segno era posto dopo la zeta, donde la locuz. dall’a ô (=al) rumme, in uso un tempo con lo stesso sign. di «dall’a alla zeta». Rammento in coda che nel napoletano esistono almeno altre due voci omofone (per il fenomeno della evanescenza della sillaba finale), ma non omografe della voce rumme con la quale esse non vanno confuse ; e sono 1)rummo= rombo s. m. (zool.) nome comune di alcuni pesci marini teleostei, commestibili, affini alla sogliola con corpo appiattito romboidale ed entrambi gli occhi sul lato sinistro (ord. Pleuronettiformi) (dal lat. rhōmbu(m)→rumbu(m)→rummu(m)→rummo, che è dal gr. rhómbos, propr. 'trottola', poi nome del pesce, per la forma simile a quella di una trottola schiacciata; 2) RUMMA = rum acquavite ottenuta per lo piú dalla distillazione della melassa di canna da zucchero fermentata.la voce inglese rum è derivata da rum- bustious 'chiassoso, violento', con allusione al comportamento degli ubriachi bevitori della suddetta acquavite; la voce napoletana rumma è coniata su quella inglese con una tipica paragoge, ma qui di una piena a finale (invece della consueta e semimuta) e raddoppiamemento espressivo della m etimologica fino a formare la seconda sillaba ma della voce rumma, come altrove tramme←tram,barre←bar etc. nfino prep.ed avv. =sino voce che con derivazione dal lat. fine, abl. di finis 'limite', con il significato preposizionale di 'fino a' si adopera davanti ad un avv., ad un sostantivo o ad un'altra prep. e può essere preceduta da una n eufonica che, come tale, non necessita di segno diacritico d’aferesi, necessario invece nel caso si fosse trattato di una ‘n illativa derivata da in→(i)n→’n; introduce il termine ultimo di una distanza spaziale o temporale: nfino a cquanno?(sino a quando?); nfino addó?;nfino a ttanno(fin dove?; fino ad allora); nfino a ‘ncimma(fin in cima);nfino â casa (sino a casa); nfino a ll’urdemu (fino all'ultimo); nfino a cche(sino a che), come avv. (lett.) persino, pure, anche: ce stevano tutte quante, nfino a ‘e cchiú lluntane pariente(c'erano tutti, fino i piú lontani congiunti). 5.VOLLE 'A CAURARA! Ad litteram: bolle la caldaia Sorridente e malizioso riferimento ai primi bollori erotici delle giovani ragazze appena sbocciate alla vita di relazione. È inutile precisare quale sia la caldaia in bollore. BRAK

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