L’ACQUAJUOLO
Mi è giunta richiesta da parte dell’amico
A.L. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le
iniziali di nome e cognome)di illustrare acconciamente un antico mestiere
partenopeo (quello in epigrafe) che è pressoché
sparito. Mi accingo alla bisogna prendendo le mosse da un’ icastica espressione
che suona:
Piglià 'a banca 'e
ll'acqua p''o carro 'e piererotta
Ad litteram: confondere il banco della mescita dell'acqua
per il carro della festa di Piedigrotta
Si
tratta di una locuzione con cui si
indicano sesquipedali errori in cui incorrono soprattutto gli stupidi ed i
disattenti atteso che, per quanto
coperto di elementi ornativi un bancone dell'acquaiolo non può mai o meglio, non poteva mai raggiungere l'imponenza di un carro della
festa di Piedigrotta.
Ciò détto,
entriamo in medias res.
In origine il mestiere di venditore di acqua al minuto fu esercitato da
girovaghi che percorrevano le vie della città muniti della merce contenuta o in bottiglie o in particolari recipienti di
cui dirò, soddisfacendo le richieste di
assetati clienti; successivamente, a far tempo dal 1830 ca all’epoca cioè del re Ferdinando II di Borbone (Palermo 1810 - †Caserta 1859) come si evince dalla lucuzione citata, il mestiere di venditore di acqua al minuto
divenne stanziale e venne svolto in posti fissi quelli che (ubicati quasi sempre
in una piazzetta o alla confluenza di due strade) quasi ogni
venditore girovago s’era procurato chiedendo ed ottenendone il permesso
dalle autorità preposte e s’era
attrezzato alla bisogna; tali posti fissi presero il nome di banca ‘e ll’acqua; si trattò in
genere di piú o meno grandi banconi di
legno con montanti laterali e tettuccio spiovente laccati di bianco, corredati
di elementi ornativi in istucco modellato e quasi sempre decorati con ingenui disegni multicolori o, in mancanza di tettuccio,
forniti di un grosso ombrellone , muniti
di un piano d’appoggio in marmo, piano nel quale era ricavato un congruo foro
nel quale era posto un secchio (di latta/banda stagnata o di legno) in funzione
di lavabo, secchio in cui venivano sciacquati i bicchieri, le giare ed i gotti
usati per servire le bevande; il risciacquo avveniva servendosi di acqua di
pozzo conservata in una capace botte, nascosta alla vista dei clienti e collocata sotto il bancone sul
quale insistevano bottiglie,bicchieri,giare,gotti nonché recipienti lignei o di
terracotta e contenitori per l’acqua e
le bevande in vendita e tra di essi troneggiava il grosso trummone basculante dell’acqua ferrata e la mmummera dell’acqua
suffregna (sulfurea);tutt’intorno al bancone pendevano grosse reste di limoni e
di arance, rigorosamente sorrentine, né mancavano altresí adagiati intorno a grosse
verghe di ghiaccio, numerosi
freschissimi limoni per pletoriche limonate
o contenute piccule cu ‘o limone,
servite le une in alti bicchieri di vetro dal bordo doppio, le altre in
minuscoli bicchierini (giarretelle),
mentre l’acqua ferrata, quella di Serino o quella sulfurea era versata in bicchieri o giarre
da piú di due decilitri. La pulizia di bicchieri, giarre e giarretelle usate
avveniva, come ò detto, servendosi dell’acqua di pozzo e delle bucce di limone
usate a mo’ di disinfettante degli orli del vasellame usato. Oltre bicchieri,
giarre e giarretelle dall’acquaiuolo erano usate anche per l’asporto di acqua
sulfurea piccole mmummarelle Preciso alcune cose: ò parlato di trummone e di
mmummara e mmummarelle; orbene il trummone fu
una grossa botticella cilindrica lignea,
ma bordata di metallo,dotata di zipolo
ed intercapedine nella quale era sistemata della neve in funzione di
refrigerante dell’acqua contenuta;tale botticella era incerneriata su i due lati opposti della
circonferenza centrale, per poter comodamente ondeggiare basculando; in tale
contenitore di grande capacità veniva conservata la caretteristica,
giovevolissima (cosí in un’iscrizione del settembre 1781) acqua ferrata che proveniva da una sorgente del
Beverello; il trummone era agganciato per solito sul ripiano laterale di dritta e la sua
capacità era ben maggiore della dirimpettaia mmúmmara in cui si conservava l’acqua zuffregna/zurfegna= acqua sulfurea proveniente da una sorgente
sita al Chiatamone; la terza acqua che si vendeva era la leggera e dissetante acqua
del Serino che per anni alimentò l’acquedotto cittadino.
Mentre la voce mmúmmara s.vo
f.le = grande vaso di creta per acqua o vino viene dal neutro pl. greco bombýlia poi fem.le sg. con cambio di
suffisso e dissimilazione: bombýlia →*bommara→mmómmera→mmúmmera/
mmúmmara;
va da sé che mmúmmarella
è il diminutivo di mmúmmara;
la voce zuffregna/surfegna/zurfegna trae
da un acc.vo lat. aqua(m)sulphurínea(m)→suphrínja→surphínja→
surfegna→zurfegna/zuffregna con
raddoppiamento espressivo della fricativa labiodentale sorda e metatesi della liquida;
per trummone
occorre pensare ad un lemma
onomatopeico con riferimento ad un’iniziale tromma
+ un suff. accrescitivo; benché la
voce a margine non abbia nulla a che spartire con gli strumenti musicali a fiato tromba e
trombone,per la sua forma panciutamente cilindrica ‘o trummone ‘e ll’acqua è
simile al grosso bombardino strumento
a fiato di ottone, usato nelle bande; flicorno baritono, impropriamente détto
in napoletano trombone→trommone→trummone, per cui ne puó aver mutuato il nome.Rammento
qui che l’acqua da asporto dell’acquaiuolo girovago fu quasi sempre quella
sulfurea e solo con l’avvento delle banche ‘e ll’acqua si cominciò a vendere al
minuto anche l’acqua ferrata. Mi soffermo ora a ricordare che mentre la cosiddetta piccula cu ‘o limone
(semplice premuta d’un unico limone, senza aggiunta di acqua, servita in
minuscole giarretelle( cfr. ultra) veniva richiesta e poi sorbita da chi
fosse affetto da problemi digestivi (per aver magari mangiato grevemente od
avidamente cibi pesanti o intesi tali)
nella speranza che il succo del limone avesse effetti benefici che tuttavia non
sempre aveva in quanto talvolta si aggiungeva, con il limone, acidità ad
acidità;e la faccenda addirittura si peggiorava se alla spremuta di limone
(acido) veniva aggiunto del bicarbonato (base)in quanto l’addizione di un acido
con una base produce come effetto acqua
che se è assunta da chi non abbia digerito, non fa che peggiorare la situazione; è bene si sappia che
in presenza di problemi digestivi
sarebbe piú opportuno assumere solo del bicarbonato che venendo a contatto con
gli acidi presenti nello stomaco durante la digestione, li trasforma in
acqua. La limunata era invece una gran
bibita risultante dalla spremuta di piú limoni, addizionata a scelta del
cliente di acqua del Serino o di acqua ferrata o di acqua sulfurea , bibita rinfrescante sorbita il piú delle volte
durante i mesi estivi, per combattere la calura, e tale bibita talora veniva
fatta spumeggiare artificialmente addizionandola rapidamente di pochissimo
bicarbonato. Partendo dalla pretesa idea che ‘a piccula cu ‘o limone fosse un rimedio si estese l’espressione a
significare ed a sarcasticamente commentare, come ò detto, tutte quelle
situazioni fastidiose a cui occorresse porre un rimedio pur che fosse: te ce vo’ ‘na piccula cu ‘o limone!
Qui faccio notare che la voce piccula usata nell’espressione non è esattamente napoletana, ché nell’idioma napoletano s’usa piccerella/piccerillo= piccina/piccino,ma poiché le voci piccerella/piccerillo a Napoli vengono usate con riferimento ad esseri animati (uomini o bestie) ecco che si adottò l’adattamento della voce italiana piccola→piccula per significare una cosa contenuta e cioè la bibita de qua.
Qui faccio notare che la voce piccula usata nell’espressione non è esattamente napoletana, ché nell’idioma napoletano s’usa piccerella/piccerillo= piccina/piccino,ma poiché le voci piccerella/piccerillo a Napoli vengono usate con riferimento ad esseri animati (uomini o bestie) ecco che si adottò l’adattamento della voce italiana piccola→piccula per significare una cosa contenuta e cioè la bibita de qua.
In coda accenno ai recipienti usati per servire le bibite: bicchiere
s.vo m.le [derivazione
, probilmente formatasi in Francia, dal
gr. βῖκος «recipiente di terracotta»] =recipiente cilindrico di varie forme e dimensioni,
di vetro; tipico quello dell’acquaiuolo che era alto quindici centimetri, era
molto capiente (ca due decilitri) con il bordo spesso;rammento qui una graziosa
curiosità: un acquaiuolo con banco in piazza san Francesco a ridosso di Porta
Capuana si serviva di alcuni grossi bicchieri di vetro sul cui fondo si
notavano in rilievo le punteggiate lettere in istampatello maiuscolo E.I., segno evidente
della provenienza truffaldina dei recipienti( perché trafugati da o acquistati illegittimamente
in qualche caserma) atteso che E.I. era la sigla di Esercito Italiano;
giarra s.vo f.le [dall’arabo ğarra passato nello spagnolo e provenzale jarra e nel francese jarre] indicò dapprima un grosso recipiente di terracotta per
conservare olio, vino, acqua o granaglie e
poi una brocca (con manico) di vetro o talvolta terracotta per bere
acqua, birra ed altre bevande; il suo diminutivo ggiarretella/e voce d’uso circoscritto napoletano indicò invece
esclusivamente una minuscola brocca, una
chicchera, una piccolissima giara o un
gottino tutti recipienti forniti di manico
in materiali rigorosamente povero
come il vetro usati dall’acquaiolo per servire piccule cu ‘o limone o
contenutissime prese d’anice che a volte, per insaporirla, accompagnavano una giara d’acqua del Serino al famoso grido: “Acqua e ànnese, fetè vuó vevere?!”
E qui penso di poter far punto convinto
d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A.L. ed interessato qualcun
altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste
paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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