DIFESA DEL NAPOLETANO riveduta e corretta
Confesso di non sopportare certi sciocchi, paludati signori
che si ostinano, in nome di una malintesa eleganza, a pretendere dai figlioli o da altri congiunti di esprimersi in un italiano piú o meno
corretto, lasciando da parte il napoletano ( che io per lunghissimo tempo
definii lingua e che solo da poco , su consiglio dell’amico prof. Carlo
Iandolo, insigne glottologo, ò preso a definire parlata o idioma , per non
incorrere nelle ire di qualche paludato professore universitario) quel napoletano
che essi (quei taluni sciocchi, paludati signori) considerano un volgare, riduttivo dialetto malamente
inteso come linguaggio minore tributario
della lingua ufficiale(dimenticando che la parola dialetto deriva dal lat. tardo dialecto(n) , che è dal gr. diálektos
='lingua', deriv. di dialéghesthai 'conversare') e non invece parlata autonoma, spesso a ampia diffusione
regionale, figlia del tardo latino e di
quello volgare, idioma ricco di storia
e di testi ed usatissimo per secoli in tutto il
meridione, non diventato lingua nazionale solo per la protervia di certi
governanti e per la furbizia di taluni scrittori e/o poeti toscani!
1) Quello che non riesco a deglutire è che il fiorentino,
sia diventato lingua nazionale peraltro (se non ricordo male,e non ricordo
male!) rubando a piene mani nei
linguaggi e nelle opere di artisti meridionali:tutti riconoscono che l'italiano
moderno è infatti, come spesso accade con le lingue nazionali, un dialetto che
è riuscito, per motivi a volte incomprensibili,
a far carriera; ad imporsi, cioè, come lingua ufficiale di una regione
molto piú vasta di quella originaria. Alla
base dell’italiano si trova
infatti il fiorentino letterario usato nel Trecento da Dante (1265 -†1321),
Petrarca(1304 -†1374), e Boccaccio(1313
-†1375), ed influenzato dalla lingua
siciliana letteraria elaborata in origine
dalla Scuola siciliana di Giacomo da Lentini (1230-†1250) e dal modello
latino.) pervenendo alle nostre
latitudine anche per il tramite degli invasori lombardo- piemontesi, soppiantando
o almeno tentando di soppiantare (senza riuscirvi) la ns. parlata
autoctona costruita nobilmente, come del resto il fiorentino,e tutti gli
altri linguaggi locali dell’Italia,
verosimilmente sul latino volgare
(parlato dal popolo, volgo) parlato in età classica (e non direttamente dal
latino illustre, che fu la lingua usata dai letterati dell'epoca).Non riesco a
digerire questa faccenda e mi chiedo cosa abbia piú del napoletano, l’italiano
se si esclude la proditoria diffusione voluta dai Savoia e dal fascismo e la
vessatoria opera di ministri, filosofi e professori che per anni ànno imposto a
schiere di poveri indifesi ragazzi
Divine Commedie e Promessi Sposi, Libri Cuore etc. a colazione, pranzo e cena!
2) L’italiano (ch’io considero – nun ve mettite a rirere…la
lingua straniera che parlo e scrivo correntemente accanto al francese
scolastico che un mio amico parigino, dopo piú di cinquant’anni, m’à costretto
a ripigliare in mano) è stato insomma in
buona parte la lingua degli invasori, né bisogna dimenticare che alle ns.
latitudini anche tra la cosiddetta alta
borghesia, mai fu accettata del tutto… Ricordiamoci che tra il 1915 ed il 1918
i fantaccini meridionali, mandati a difendere i sacri ( la retorica dell’epoca
imponeva la sacertà di certe zone nordiche…) confini d’Italia, parlavano il
napoletano e non riuscendo a capire gli ordini dati in italiano finirono per eseguirli a modo loro
rimettendoci in tantissimi le penne e
tirando le cuoia per una patria sentita tale solo nella pomposità
interessata di E.A.Mario (al secolo
Giovanni Ermete Gaeta(Napoli 1884 - † ivi
1961)e della sua La leggenda del
Piave! Ci fossero stati graduati partenopei che avessero tradotto gli ordini
dall’italiano al napoletano, forse tante mamme e spose e sorelle napoletane,
lucane, abruzzesi, calabresi, siciliane e pugliesi non avrebbero pianto i loro
congiunti mandati al macello sulle petraie del Carso ed altre impervie alture
estranee alle loro terre d’origine!
3)Non sono infine
molto d’accordo su quanto affermato dal prof.
Nicola De Blasi che tempo fa
insistí nel dimostrare (?) ed affermare che Napoli, pur nei molteplici secoli "capitale" del regno meridionale,
non fosse riuscita mai ad imporre la sua parlata alle altre regioni del
Sud, che continuarono a conservare ed
attuare un proprio sistema
linguistico;invece ancóra mo, se si va ad indagare nei linguaggi di Abruzzo,
Basilicata, Sicilia, Puglia e Calabrie
si possono trovare voci e costruzioni linguistiche mutuate chiaramente
dal napoletano; il prof. Nicola De Blasi
(tanto nomine!) forse con le sue affermazioni intese disconoscere le proprie
origini,tentò di rifarsi una verginità, sprovincializzandosi nella speranza
forse di passare un giorno dalla Federico II
ad università piú prestigiose (Luiss, Bocconi etc.).
Difendo perciò a spada tratta il napoletano e mi auguro che
prima o poi chi cumanna ‘a quatriglia
prenda una decisione storica e si decida a fare
insegnare l’idioma partenopeo almeno nel merdione, in tutte le scuole
d’ogni ordine e grado affidandone l’insegnamento non a strascinafacenne incolti
e presuntuosi né ai soliti noti amici
degli amici, ma ad appassionati e preparati
studiosi sia pure estranei ai
palazzi del potere.
Hoc est in votis!
Raffaele Bracale
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