EPITETI -1
Per rispondere alla
cortese richiesta del mio carissimo amico P.G. ( del quale i
consueti problemi di riservatezza mi impongono l’indicazione delle sole
iniziali di nome e cognome)che mi
invoglia a parlarne, qui di sèguito
prendo in esame molte delle parole napoletane usate quali epiteti rivolti soprattutto verso le donne o
in uso scambievole tra le donne del popolino della città bassa.La prima voce di
cui mi sovviene è lòcena e riporto
quanto ebbi a dire alibi circa la voce
lòcena e dintorni e che qui, per rapidità di consultazione, ripeto ( la lòcena
pur essendo un taglio di carne gustosissimo, è un taglio che, ricavato dal
quarto anteriore della bestia, il meno pregiato e meno costoso, è da ritenersi
di mediocre qualità, quasi di scarto, e di tutti i vari nomi con cui è
connotato in Italia, quello che piú si attaglia a simili minime qualità, è
proprio il napoletano lòcena.
Etimologicamente infatti la parola lòcena nel suo precipuo
significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio/a ed i successivi
locio/locia (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare
avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto;
da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante
(qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locina→lòcena.
Chiarito il concetto di partenza, passiamo al significato
traslato: fu quasi normale in un’epoca: fine ‘500, principio ‘600 in cui la
donna non era tenuta in gran conto (a quell’epoca infatti risalgono, a ben pensare,
quasi tutti i proverbi misogini della tradizionale cultura partenopea …),
trasferire il termine lòcena da un taglio di carne di scarto, ad una donna… di
scarto, quale poteva esser ritenuta una donna becera, villana,
sciatta, sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione, una donna di
malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale..
Rammenterò che altrove, con linguaggio piú pungente se non
piú crudo, tale tipo di donna è détto péreta, soprattutto quando quelle sue
pessime qualità la donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra;in
particolare con il détto termine péreta si suole indicare una pessima donna
becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare,ma soprattutto sfrontata che si comporti da donna di malaffare
non per necessità o per mestiere(in tali casi sarebbe una zoccola, una puttana
patentata), ma per vizio o per indole da sgualdrina, baldracca, donnaccia,
prostituta; le ragioni di questo nome
sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine péreta è il
femminile metafonetico di píreto (dal b.
lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia che sono manifestazioni viscerali
rumorose rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco luft - loft= aria) fetida manifestazione viscerale
silenziosa, ma olfattivamente tremenda.
Va da sé che una donna che strombazzi le sue pessimi
qualità, si comporta alla medesima stregua di un peto, manifestando
rumorosamente la sua presenza e ben si può meritare, con icastico, seppur crudo linguaggio,
l’appellativo di péreta; a margine
rammento che talvolta l’epiteto péreta è addizionato di un aggettivo stellïata=
scintillante, luminosa quasi a voler indicare che la donna che strombazzi le
sue pessimi qualità, si comporta alla medesima stregua di un peto, manifestando
rumorosamente la sua presenza e lo faccia (a maggior disdoro) in maniera cosí
chiara e palese come un astro brillante.
Per completezza dirò poi che simile donna becera e volgare,
altrove, ma con medesima valenza è anche detta alternativamente lumèra o anche
lume a ggiorno atteso che una donna becera e volgare abbia nel suo quotidiano
costume l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente
richiama quello simile del lume a gas (lumèra) o di quello a petrolio ( lume a
ggiorno) ambedue altresí maleolenti tali quale una péreta confusa con una
loffa.
Ciò che vengo dicendo è tanto vero che addirittura questo
tipo di donna è stato codificato nella Smorfia napoletana che al num. 43
recita: donna Péreta for’ ô balcone per indicare appunto una donna… di scarto
che faccia di tutto per mettersi in mostra; ed addirittura nella smorfia il
termine péreta da nome comune è divenuto quasi nome proprio.)
In coda a tutto ciò che ò détto circa la voce péreta rammento un altro icastico epiteto forgiato servendosi della medesima voce péreta; l’epiteto è zompapéreta s.vo ed agg.vo f.le e solo f.le (non è attestato infatto un m.le zompapíreto) che ad litteram varrebbe saltapeto che però non à ed avrebbe alcun senso, atteso che non è praticabile il salto d’ una scorreggia; nell’epiteto in esame infatti il termine péreta non deve essere inteso nel senso letterale ma in quello traslato di pessima donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare,e soprattutto sfrontata che si comporti da donna di malaffare offrendo in giro le proprie grazie non per bisogno, ma per vizio, costume, mania o capriccio saltando da un amante all’altro;di talché la voce andrebbe tradotta come sfacciata che salta e morfologicamente forse sarebbe stato piú corretto che il verbo avesse seguito il sostantivo coniugato al participio presente: péreta zompante ,ma la voce non avrebbe consentito l’agglutinazione funzionale e non sarebbe risultata gradevole all’udito né icastica come la popolaresca zompapéreta. Il verbo zumpare = saltare la cui 3ª pers.sg. dell’ind. pres. zompa è servita a formare la voce in esame è un denominale di zumpo(= salto)che è da un agg.vo greco sostantivato sýmpous→*sýmpu→sumpo→zumpo,con normale passaggio di s→z.Raffaele Bracale(segue)
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