EPITETI-2
Proseguo ora tentando
l’illustrazione degli epiteti che le popolane sogliono rivolgersi l’un
l’altra , per offendersi talvolta pesantemente; preciso súbito che gli epiteti
di cui dirò sono presenti oltre che sulle labbra di infime donnaccole, anche
passim negli scritti di BasileGiugliano in Campania, 1566 – †Giugliano in
Campania, 1632), Sgruttendio (Pseudonimo dell'ignoto autore di una raccolta di
poesie in dialetto napoletano, De la tiorba a taccone, pubblicata a Napoli nel
1646), Cortese(Napoli 1570 circa - ivi† 1646 circa);, Trinchera(Napoli, 2
giugno 1702 – ivi † 12 febbraio 1755) ed altri.
Ciò detto, principio, augurandomi di risultare il piú
chiaro possibile ,anche se non esauriente, atteso che gli epiteti – soprattutto
di viva voce - possono essere molti di piú, stante la vivacità d’inventiva del
popolo napoletano e soprattutto di quello plebeo; abbiamo:
-capèra = ad litteram: pettinatrice a domicilio ed
estensivamente: pettegola, propalatrice di notizie raccolte in giro e riportate
magari corredate di falsità aggiunte ad arte alle originarie notizie conosciute
durante l’itinerante lavoro; etimologicamente è voce derivato da capo (testa) +
il suffisso femm. di pertinenza era (al masch.èra diventa iere (es.: ‘a
salum+èra, ‘o salum+iere));
cajotela/cajotula = donnicciuola pettegola adusa a
andarsene in giro a raccogliere e propalare notizie,ma pure donna plebea, becera, sporca che emani cattivo odore e per
ampliamento: donna lercia di facili
costumi; semanticamente la seconda accezione si spiega con un supposto etimo da
cajorda (che è ipotizzato dall’ebraico
hajordah) = puzzola; ma piú che caiorda pare che la voce di partenza debba essere una sia pure non attestata
*chiaiorda con riferimento a donna abitante la Riviera di Chiaia un tempo
strada molto sporca, covo di gente testarda e malfamata; tuttavia mi pare molto
difficile, morfologicamente parlando,
pervenire a cajotela/cajotula sia che si parta da cajorda
che da chiaiorda. Ecco perché penso che
sia preferibile l’ipotesi etimologica
che collega le voci cajotela/cajotula al basso latino catula= cagna. In
questo caso sarebbero salve sia la morfologia (da catula con consueta doppia
epentesi vocalica eufonica (epentesi
tipica delle parlate meridionali) i-o
facilmente si giunge a caiotula) sia la semantica ( è nell’indole della
cagna priva di padrone, vagabondare latrando (cfr. spettegolando) e
concedendosi ai randagi (cfr. donna di
facili costumi).
cannaccara s.vo ed
agg.vo f.le che letteralmente sta per
provvista di troppe, eccessive cannacche(= collane vistose; dall’arabo
hannaqa)= collane vistose che rendono inelegate e perciò spregevole la
donna che le indossi che oltre alla voce
a margine fu apostrofata talora con il termine sié maesta ‘ncannaccata dove
sié è l’apocope metatetica del francese sei(gneuse) = signora, femminile di seigneur= signore); maesta = maestra mentre ‘ncannaccata = ingioiellata;part. pass. f.le agg.vato
dell’infinito ‘ncannaccà= provvedere di collane denominale da in→’n + cannacca (dall’arabo hannaqa= monile,
collana); cessa ‘e mmerda con questo
epiteto apparentemente tautologico
atteso che nella sua formulazione completa suona cessa ‘nquacchiata ‘e
mmerda (
gran cesso lordo di escrementi!)ci si rivolge ad una donna ritenuta non
solo laida, sordida, sudicia, repellente,ma estremamente
brutta, ributtante, ripugnante.La particolarità che d’acchito colpisce in
questo epiteto baroccheggiante è la femminilizzazione del sostantivo cesso che
diventa cessa atteso che In napoletano
un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto
del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a
‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú
piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a
carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú
grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú
grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie
volendosi, con l’offesa che si lancia, affermare che la donna cui è rivolta è
veramente un grande cesso lordo di escrementi, ecco che cesso che diventa cessa;
il s.vo cesso vale 1
(ant.) luogo appartato
2 (pop.) gabinetto, ritirata, latrina
3 (volg.) luogo sporco, cosa o persona lurida, schifosa; è voce dal lat. recessu(m)→(re)cessu(m)→cesso,
deriv. di recedere 'ritirarsi'
l’agg.vof.le
nquacchiata/nguacchiata che à in nquacchiato/nguacchiato il m.le è esattamente il part.pass. del verbo
nquacchià/nguacchià che nella parlata napoletana vengono usati per indicare:
sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare,
ed anche il mettere in atto un pasticcio di difficile soluzione,una
situazione intrigata, deflorare una ragazza ed infine l’ungere o il condire esageratamente in
ispecie con sugo di pomodoro, tutti
fatti che sostanziano in ogni caso un
lordura, una cosa sporca o anche un
errore; faccio notare che
etimologicamente trattasi di voci di
origine onomatopeica e che la n d’attacco
anteposta alle originarie voci
quacchià/guacchià/ ed alibi
quacchiarïà nonché a guacchio/quacchio,
è sempre e solo una consonante eufonica migliorativa del suono delle parole che
da quacchià/guacchià/quacchiarïà approdano a
nquacchià/nguacchià/nquacchiarïà nonché
da guacchio/quacchio, a nguacchio/nquacchio; si tratta precisamente di una consonante eufonica e non di un residuo di un in→’n per cui non à
senso anteporre a nguacchio/nquacchio,nquacchià/nguacchià/nquacchiarïà un inutile ed incoferente segno diacritico (’) che presupporrebbe la
caduta della vocale i di in e pertanto correttamente occorre scrivere
nguacchio/nquacchio, nquacchià/nguacchià/nquacchiarïà E NON ‘nguacchio/’nquacchio,o
‘nquacchià/’nguacchià/’nquacchiarïà
come purtroppo càpita di leggere in talune raffazzonate pubblicazioni di
sedicenti cultori e/o esperti del napoletano!
mmerda/merda s.vo f.le dal lat. merda(m) = escremento,
sterco e figuratamente: cosa che disgusta, persona spregevole, situazione
ripugnante | nella loc.ne agg.le ‘e mmerda= pessimo/a, spregevole: fà ‘na
fijura ‘e mmerda: fare una figura di merda = fare una pessima figura; dal s.vo
a margine deriva il s.vo m.le
mmerdajuolo = raccoglitore di sterco;
dal s.vo a margine deriva altresí l’agg.vo m.le o f.le
mmerduso/mmerdosa = inetto/a, incapace, buono/a a nulla. o di ragazzo/a che si
atteggino ad adulti;in tale significato sono usati piú spesso i diminutivi
mmerdusillo/mmerdusella.
banchèra= ad litteram:
sguaiata, ciarliera ma pure sboccata, maleducata, rozza, zotica,
grossolana venditrice al minuto che lavora servendosi di un banco/bancone
tenuto all’aperto sulla pubblica via, venditrice che essendo in contatto con
molte persone può – come la precedente capèra - diventar pettegola,
propalatrice di notizie; etimologicamente è voce derivata da banche plurale di
banco (che è dal germ. *bank 'sedile di legno' ) + il suffisso femm. di
pertinenza èra o altrove iéra per erronea imitazione del suff. m.le iére
(suffisso di sostantivi derivati dal francese (-ier) o formati direttamente in
napoletano, la cui origine è il lat. -ariu(m); forma soprattutto nomi di
professioni, mestieri, attivit o di oggetti;come dicevo l’esatto suffisso di
pertinenza f.le è èra mentre il maschile è appunto iére (cfr. salum-iere ma
salum-èra, canten-iére ma canten-èra e nel caso che ci occupa banch-iéro ma
banch-èra etc.);
chiazzera e perraro al m.le chiazziére/o; chiazzera è
un s.vo f.le che vale sguaiata,
ciarliera ma pure sboccata, maleducata, rozza, zotica, grossolana pettegola,
soggetto che parla spesso con morbosa
curiosità e con malizia di fatti e comportamenti altrui e lo fa in maniera
scomposta, volgare, triviale, scurrile, maleducata, a voce alta e soprattutto
palam in piazza (affinché tutti
intendano e le notizie si propalino piú facilmente); la voce è ricavata
addizionando il suffisso di pertinenza èra o altrove iéra per erronea
imitazione del suff. m.le iére (suffisso di sostantivi derivati dal francese
(-ier) o formati direttamente in italiano, la cui origine è il lat. -ariu(m);
forma soprattutto nomi di professioni, mestieri, attivit o di oggetti;come
dicevo l’esatto suffisso di pertinenza f.le è èra mentre il maschile è appunto
iére (cfr. salum-iere ma salum-èra, canten-iére ma canten-èra e nel caso che ci
occupa banch-iéro ma banch-èra etc.); addizionando il suffisso al s.vo chiazza
= piazza(chiazza è dal lat. platea(m) con normale passaggio del pl latino al
chi napoletano (cfr. i normali sviluppi
di pl→chj→chi ad es.: chino ←plenum, cchiú←plus,
chiaja←plaga,platea→chiazza, chiummo←plumbeum etc.)).
votacàntere = vuota-pitali quella donna (probabilmente
lercia, sporca,o pensata tale), addetta agli infimi uffici quale quello di
svuotare in mare( per solito durante la c.d. malora ‘e chiaia(vedi altrove)) i
vasi di comodo in cui le famiglie depositavano i propri esiti fisiologici;
etimologicamente la voce votacàntare risulta esser l’unione di una voce verbale
vòta = vuota (3° pers. sing. ind. pres. dell’infinito votà= vuotare che è un
denominale derivato dal lat. volg. *vocitu(m), variante di *vacitu(m), part.
pass. di *vacíre 'essere vuoto', corradicale del lat. vacuus 'vuoto') + il
sostantivo càntare plurale di càntaro s.vo m.le = vaso di comodo, pitale
etimologicamente dal lat. càntharu(m) forgiato sul greco kantharos, da non
confondersi con il termine cantàro (che è dall’arabo quintâr) voce usata per indicare una unità di misura:
cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano:
Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso
d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre
spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco
informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu
càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel
culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con
un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro);
vajassa = serva, fantesca ma intesa in senso dispregiativo
; dall’arabo: baassa attraverso il francese bajasse con la solita alternanza
partenopea b/v, da cui in italiano: bagascia= meretrice.
funnachèra letteralmente abitante, frequentatrice di un
fondaco, il fondaco(in napoletano fúnneco) fu, dalla seconda metà dell’ ‘800,
ai primi del ‘900, un locale a pianterreno o seminterrato, usato come magazzino
o come abitazione poverissima;ma anche estensivamente un cortilaccio o vicolo
cieco circondato di abitazioni da povera gente, ed addirittura una zona
poverissima ed insalubre della città ( a Napoli ne esistettero fino ai primi
del 1900, a dir poco una settantina (tra i quali il famoso Funneco Verde
cantato da Salvatore Di Giacomo) ubicati quasi tutti nella città vecchia
segnatamente nelle zone del Porto e Pendino e spesso detti fondaci prendevano
il loro nome da quello degli artieri che vi aprivono bottega: es: funneco verde
=fondaco degli ortolani, funneco ‘a ramma fondaco dei ramai) con costruzioni
fatiscenti e malsane; quindi la funnachèra quale abitante o frequentatrice di
un fondaco, connota una donna di bassa condizione civile , intesa becera,
volgare, triviale; etimologicamente voce denominale di fúnneco che è derivato
dall'arabo funduq (attraverso lo spagnolo fúndago(con assimilazione progressiva
nd→nn e variazione di tipo popolare della occlusiva velare sonora g con la piú aspra e dura occlusiva velare
sorda c):altra ipotesi etimologica è che tale fondaco: 'alloggio, magazzino',
possa derivare dal gr.
pandokêion(pan=tutto, dokomai=accolgo)ed in tal caso fondoca varrebbe oltre che
magazzino anche locanda, albergo pubblico; da funnaco + il solito suffisso femminile di pertinenza
era scaturisce funnachera; il suffisso era al maschile è iere(suffisso di
sostantivi derivati dal francese (-ier) o formati direttamente in italiano, la
cui origine è il lat. -ariu(m); forma soprattutto nomi di professioni,
mestieri, attività (panettiere, cavaliere, ‘nfermiere, raggiuniere) o di
oggetti (rasiere,repustiere); (per la differenza di suffisso cfr. salum-iere,
ma salum-era);
vasciajola letteralmente abitante di un basso locale a
pianterreno o seminterrato, usato come magazzino o come abitazione poverissima,
simile al fondaco; ) e quindi donna, di infima condizione civile , intesa
becera, volgare, triviale, incline al pettegolezzo e alla chiassata;
etimologicamente la voce vasciajola è un chiaro denominale di vascio (lat.:
bassu(m))+ il suffisso lat. volg.: ariolus/la con un’ inattesa dissimilazione
totale della r;
janara catarrosa letteralmente strega affetta da catarro e
dunque sporca, lercia; di per sé la janara è la
strega, la megera,ma pure una
donna plebea brutta e malefica; etimologicamente pare essere un derivato
come penso e reputo, del nome della dea
pagana Diana(m), non manca però chi pensa ad una derivazione da (r)janara forma
metatetica di irana/iranara = granata coperta di peli di capra; catarrosa =
agg.femm. sofferente di catarro: una
vecchia catarrosa
o che rivela la presenza di catarro: tosse, voce catarrosa
denominale di catarro che è dal tardo lat. catarrhu(m), che è dal gr.
katárrous, deriv. di katarrêin 'scorrere giú;
janara cecagnòla o scazzata letteralmente strega,
megera,quasi cieca o cisposa; cecagnòla = guercia; nell’immaginario comune
l’esser guercio o come il successivo, l’esser cisposo è di persona (specie se
donna) volgare, laida, sporca, falsa ed inaffidabile, tendente alla cattiveria;
l’etimo di cecagnola risulta un deverbale di cecà/cecare dal lat. caecare,
mentre la voce scazzata = cisposa, da scaccolare è un aggettivo da un
participio passato dell’infinito scazzà = scaccolare, liberar gli occhi dalle
caccole che formano il cispo (in napoletano scazzimma da un lat.volgare
caccita; non si può però escludere che il verbo scazzà derivi da un basso
latino ex-cacare composto di cacare)
spernocchia =conocchia/canocchia o cicala di mare: piccolo
crostaceo marino con duro carapace, commestibile, con corpo allungato e zampe
anteriori ripiegate, atte alla presa; per traslato donna coriacea, repulsiva,
scostante; letteralmente vale l’italiano sparnocchia; la voce napoletana è un
adattamento popolare giocoso di spannocchia (dal lat. volg. *panucula(m), per
il class. panicula(m), dim. di panus ' con protesi di una s intensiva) forse
per la forma che ricorda quella di una pannocchia ben accartocciata nelle sue foglie;
trafechèra letteralmente vale l’italiano traffichina e
dunque donna dedita a traffici poco onesti, imbrogliona, intrigante;
etimologicamente è un deverbale del verbo trafechïà attraverso il sostantivo
trafeca (travaso) + il consueto suffisso femm. èra; la voce trafechïà in primis
vale (con derivazione dal catalano trafegar)travasare il vino (da un tardo
latino: trans + faex-faecis= feccia )e quindi estensivamente: maneggiare,
esercitar traffici illeciti;
muzzecútela vale l’italiano maldicente,malevola
sparlatrice, mordace detto soprattutto di donna che in una discussione pretende
d’aver sempre l’ultima parola; etimologicamente è un deverbale del verbo
muzzecà (morsicare, mordere anche in senso figurato) che è forse da un basso
latino *muccicare, se non dal tardo lat. morsicare, deriv. di morsus, part.
pass. di mordíre 'mordere' con tipico passaggio rs→rz→zz.
trammèra è la
medesima voce riportata a seguire con una piccola differenza morfologica
rappresentata da una n eufonica posta in posizione protetica, consonante che
essendo prettamente eufonica e non derivata da aferesi di un (i)n→’n illativo,
non necessita di segno diacritico(‘) ; è voce che indica colei che tesse inganni, congiure,
insidie, donna inaffidabile;va da sé che la voce a margine non à nulla a che
spartire con il termine tram essendo etimologicamente un derivato della voce
trama (dal lat. trama(m) ) = macchinazione, intrigo, con tipico raddoppiamento
popolare della labiale m e l’aggiunta del suff. femm. èra;
ndrammera/ntrammera, , agg.vo e talora s.vo f.le e solo
femminile atteso che il corrispondente maschile ntrammettiere=
uomo ,volgare, intrigante,pettegolo
non è attestato e non è usato né
nello scritto, né nel parlato
comune;anche la voce a margine (unica voce con due grafie leggermente diverse)
è voce antica ed abbondantemente
desueta; letteralmente
valse: donna pettegola ed intrigante, inframmettente, linguacciuta, che
tesse trame; etimologicamente delle due
grafie riportate la seconda (ntrammera) appare quella piú esatta e con ogni
probabilità originaria atteso che risulta formata da una n eufonica protetica
del s.vo trama (con raddoppiamento espressivo della nasale bilabiale m) e con
il suffisso di pertinenza èra; l’altra grafia (ndrammera) è palesemente
ricavata dalla originaria ntrammera attraverso la sostituzione della consonante
occlusiva dentale sorda t con la piú
dolce consonante occlusiva dentale sonora d;
palazzola, agg.vo e talora s.vo f.le e ora solo
femminile atteso che il corrispondente maschile palazzuolo= è desueto e
non è usato né nello scritto, né
nel parlato comune;letteralmente la voce a margine fu coniata, quale denominale
della voce palazzo, per identificare quelle popolane, ciarliere e
petulanti che vivevano ai margini del palazzo reale in cerca di benefattori tra
i nobili frequentatori della corte; il maschile palazzuolo un tempo (1750 –
1850 ) fu usato nella medesima accezione del femminile; dopo l’unità (1860)
cadde in disuso e venne usato solo nel significato di furbo, abile (forse
tenendo presenti gli accorgimenti usati da quei popolani per strappare qualche
vantaggio, utilità dai nobili cui si rivolgevano circuendoli con chiacchiere e
ciarle;
pirchipétola/perchipetolaagg.vo e talora s.vo
f.le e solo femminile atteso che il corrispondente maschile pirchipetolo=
uomo intrigante,pettegolo non è attestato e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;anche la voce a margine
(unica voce con due grafie leggermente diverse) è voce antica ma non
desueta; letteralmente valse
e vale l’italiano donna ciana, becera,
donnaccola pettegola e volgare, linguacciuta,
quando non donna di facili costumi con derivazione dell’addizione della
voce perchia = perca: pesce acquatico di scarsissimo valore con bocca grossa e
ventre ampio e floscio + petola/petula = pettegola, ciarliera; delle medesime
infime qualità: bocca grossa (come che sottolineata dal pesante trucco), e
ventre ampio e floscio, frutto del tipo di… lavoro comportante spesso
gravidanze indesiderate è accreditata
la donna di facili costumi detta perchia spesso ciarliera e
dunque pirchipétola/perchipétola.
cajòtela vale l’italiano donna di facili costumi
probabilmente voce derivata da un lat. (foemina) *caveottula con riferimento al
ristretto covo (cavea) in cui detta femmina prestava la sua opera mercenaria;
pernacchia da non confondere con l’omonima voce italiana
con la quale si rende il napoletano pernacchio, cioè il suono volgare emesso
con un forte soffio a labbra serrate, in segno di disprezzo o di scherno;
(ricordo súbito che la voce pernacchio, anticamente fu vernacchio e con tale
voce derivata dal tardo lat. vernaculu(m) si significò inizialmente la vera e propria scoreggia cioè il suono
volgare emesso dai visceri per espellere gas intestinali e solo successivamente
con la parola vernacchio/pernacchio si
intese il suono che imitativamente a
quello prodotto dai visceri veniva emesso
dalle labbra serrate in segno di dileggio e/o disprezzo.) questa a
margine è offesa che si rivolge ad una donnaccola brutta, ripugnante e dai modi
volgari che tuttavia, nel tentativo di farsi notare ed accettare usa
agghindarsi in maniera ridondante ed appariscente attirandosi spesso il
dileggio di coloro che la guardino, e che spesso usano nomarla pernacchia
‘mpernacchiata (donnaccola agghindata) l’etimo di pernacchia è dal lat.
vernacula 'cose servili, scurrili'neutro plur (poi inteso femm.). di vernaculum
deriv. di verna 'schiavo nato in casa';
‘mpernacchiata agg.vo f.le e solo f.le = agghindata
mpreziosita, ingioiellata in maniera eccessiva; voce part. pass. f.le
dell’infinito ‘mpernacchià denominale del lat. scien. perna= perla, gioiello;
pirchipétola/perchipetola vale l’italiano donna ciana,
becera, donnaccola pettegola e volgare, linguacciuta, quando non donna di facili costumi con
derivazione dell’addizione della voce perchia = perca: pesce acquatico di
scarsissimo valore con bocca grossa e ventre ampio e floscio + petola/petula =
pettegola, ciarliera; delle medesime infime qualità: bocca grossa (come che
sottolineata dal pesante trucco), e ventre ampio e floscio, frutto del tipo di…
lavoro comportante spesso gravidanze indesiderate è accreditata
la donna di facili costumi detta perchia spesso ciarliera e
dunque pirchipétola/perchipétola;
rosecacucchiara s.vo f.le furbesco usato per indicare in primis la sguattera
addetta alla cucina. Questa sguattera, afflitta da fame poco lenita, rimestava
continuamente con la cucchiarella (cucchiaio di legno) nei cibi in cottura e saggiava in
continuazione sin quasi a rodere il
piccolo mestolo di legno.Voce formata dall’agglutinazione della voce verbale
roseca+ il s.vo cucchiara;
roseca (3ª per. sg. ind. pr. dell’inf.transitivo rusecà =
rosicchiare; alibi come intransitivo = sparlare, criticare; rusecà è dal lat.
rosicare frequentativo di rodere;
cucchiara s.vo f.le qui mestolo di legno alibi cazzuola del
muratore voce etimologicamente adattamento al femminile del m.le latino
cocleariu-m;
cucchiarella s.vo f.le diminutivo del precedente.
la voce rosecacucchiara per ampiamento semantico tenendo
dietro all’uso intransitivo di rusecà
vale anche malalingua, maldicente, pettegola, calunniatrice.
chiazzèra donna plebea, ciana, volgare adusa ad urlare,
vociare sguaiatamente soprattutto palam in piazza in maniera spesso scomposta,
volgare, triviale, scurrile, sboccata, maleducata rozza, zotica;
etimologicamente derivata dall’addizione di chiazza (=piazza dal lat. platea(m)
'via ampia', che è dal gr. platêia, f. sost. di platy/s 'ampio, largo)+ il
solito suff. femm. èra
fuchèra donnaccola pettegola e volgare adusa ad accendere
metaforici fuochi, seminando zizzania, con derivazione dall’addizione di fuoche
(plurale di fuoco che è dal lat. focu(m)) + il consueto suff. femm. di
pertinenza èra
‘mmicïata donna di facili costumi, viziosa ; voce quasi del
tutto desueta che però si può ancora riscontrare – con intenzioni e valenza
molto offensive - nel parlato plebeo di talune cittadine dell’area vesuviana;
etimologicamente derivata dal basso latino *in vitiata da un in (illativo)+
vitium con stravolgimento dell’originario significato di vitium inteso non piú
come errore, ma come la disposizione abituale al male; l'acquiescenza continua
agli istinti piú bassi; per il passaggio di inv a ‘mm vedi alibi invece=’mmece,
invidia=’mmidia;
scigna cacata letteralmente scimmia sporca d’escrementi e
per traslato: donna lercia, laida,sporca quantunque tenti di apparire avvenente
(tené ‘e bbellizze d’’a scigna = avere le grazie della scimmia cfr.
alibi)scigna deriva dal lat. simia→simja, con un consueto passaggio di s+
vocale a sci: (vedi altrove semum→scemo) e mj→gn (come in ca(m)mjare→cagnà)
cacata = part. passato femm. aggettivato dell’infinito cacà/cacare = defecare
dal latino cacare;
aucellona ‘nzevosa uccellone unto id est: donnaccola
appariscente, ma sporca, lercia; aucellona è l’accrescitivo femm. (vedi il
suff. ona) del sostantivo maschile auciello derivato da un tardo lat. aucellus
doppio diminutivo di avis→avicula→avicellus→avuciello→auciello con tipica
dittongazione cie della sillaba ce, sillaba implicata ossia seguita da due
consonanti; ‘nzevosa= unta, untuosa e quindi sporca, lercia con etimo da un
basso latino in(illativo) + sebosus = ingrassato, aggettivo forgiato su sebum=
grasso, in+s sfocia sempre in ‘nz e tipica è l’alternanza partenopea b/v (vedi
barca/varca, bocca/vocca etc.;
zandraglia perucchiosa zandraglia = donna volgare, sporca
incline alle chiassate, ai litigi ed al pettegolezzo; perucchiosa =
pidocchiosa, coperta di pidocchi,la voce zandraglia (etimologicamente dal
francese les entrailles,)indicò dapprima le donne povere volgari e vocianti che
si litigavano, alle porte delle cucine reali o del macello situato a Napoli
presso il ponte Licciardo, le interiora e le ossa delle bestie macellate,(donde
l’espressione partenopea: va’ fa ll’osse ô ponte= vai a raccattar le ossa al
ponte, invito perentorio e malevolo rivolto a chi ci importunasse con richieste
fastidiose, affinché ci liberi della sua sgradevole presenza, spostandosi
altrove!) interiora ed ossa distribuite gratuitamente; poi, in altra epoca, con
la medesima voce si indicarono le donne designate a ripulire dai resti umani i
campi di battaglia e/o i luoghi di esecuzioni capitali (ed in tali occasioni
queste donne malvissute si contendevano l’un l’altra le vesti e qualche effetto
personale dei soldati o dei condannati); l’aggettivo perucchiosa femm.
metafonetico di perucchiuso vale pidocchiosa, affetta dai pidocchi, dalle
zecche, ma pure avara, taccagna forgiato sul sostantivo perocchio (con
derivazione da un originario lat.pedis= pidocchio attraverso un diminutivo
pediculus alterato in peduculus→ peduc’lus →perocchio con la tipica alternanza
osco- mediterranea d/r) addizionato dei
suffissi di appartenenza uso/osa;
zellósa aggettivo sostantivato femm. metafonetico di
zelluso e vale tignosa, affetta da alopecia(in napoletano: zella) la voce a
margine etimologicamente è formata dall’addizione di zella (da un lat.
regionale (p)silla(m) dal greco psilòs =nudo, calvo; il raddoppiamento della
liquida è d’origine popolare, (come alibi mellone da melon – ‘ntallià da
in-taliare etc. ) con i soliti suffissi di appartenenza uso/osa;
fetósa aggettivo sostantivato femm. metafonetico di fetuso
e vale fetida, poco raccomandabile, pericolosa, sporca, lercia, che puzza; la
voce a marigine etimologicamente è formata dall’addizione di fieto (che è uno
dei pochi lemmi derivati non da un accusativo latino, ma da un nom.: foetor=
puzzo) con i soliti suffissi di appartenenza uso/osa;
mmerdósa di per sé pur’esso un aggettivo sostantivato
femm., metafonetico di mmerduso e varrebbe in primis: sporco di escrementi, ma
sta pure per persona abietta, spregevole, capace di qualsiasi slealtà; l’etimo
risulta essere la consueta addizione di un sostantivo con i soliti suffissi di
appartenenza uso/osa;il sostativo in questione è chiaramente mmerda (dritto per
dritto dal lat. merda(m)=escrementi umani ed animali;
culo ‘e tiella letteralmente fondo di padella (che per
essere costantemente a contatto con il fuoco, risulta bruciacchiato ed
annerito, inteso dunque perennemente sporco; culo di per sé culo,
sedere,deretano, ma nell’accezione a margine sta per fondo, etimologicamente
dal basso latino culu(m) che è dal greco kolon=intestino;
tiella è la padella, teglia e segnatamente quella di ferro
con etimo dal lat. volgare tegella(m) diminutivo di tegula (in origine i tegami
furono di argilla cotta come le tegole); da tegella →tejella/teiella→tiella;
cacatrònele sostantivo che (intraducibile ad litteram in
quanto sarebbe caca-tuoni), indica la donnaccola becera, sfrontata, scostumata
che non si fa scrupolo di fare trombetta del proprio posteriore abbandonandosi
palam al crepitío prolungato di rumorosi peti.
la voce a margine è formata dall’unione di caca (voce
verbale 3° pers. sing. ind. pres. dell’infinito cacà/cacare =defecare, dal
basso lat. cacare) + il sostantivo femm. plurale trònele = tuoni, percosse,peti
(dal basso lat. tonitru(m)→*tronitu(m) con un suff. diminutivo atono femm. ole
(lat.ulae);
cuopp’ ‘allesse cartoccio (conico) di castagne lesse,
inteso tale cartoccio bagnato e macchiato (la buccia interna delle castagne
lesse tinge di scuro la carta con cui si confeziona il cartoccio!) e quindi
lercio, sporco e tali sono ritenute le donnaccole cui è riferito l’epiteto a
margine; cuoppo = cartoccio (conico) quanto all’etimo è una forma masch. e
dittongata del tardo lat. cuppa(m) per il class. cupa(m)= botte, per la comunanza
funzionale, sebbene non di forma, del concetto di capienza e ricezione; allesse
plur. di allessa= castagna privata della dura scorza esterna e bollita in acqua
con aggiunta di foglie d’alloro e semi di finocchio derivata dal part. pass.
femm. del tardo lat. elixare 'far cuocere nell'acqua, sebbene qualcuno proponga
un tardo lat. *ad-lessa(m) ma non ne vedo la necessità;
furnacella sfunnata letteralmente piccolo forno sfondato;
va da sé che quale epiteto rivolto ad una donnaccola con la voce fornacella non
si indica certamente il fornetto in pietra o metallo, ma furbescamente la vulva
di colei cui è diretto l’epiteto, vulva che risultando sfunnata (sfondata)
accredita la donnaccola offesa d’esser donna di facili costumi, se non
addirittura una meretrice abbondantemente conosciuta in senso biblico;
furnacella= fornetto portatile alimentato a carbone; nell’espressione a margine
vale però per traslato : vulva atteso che sia il fornetto sia la vulva son
sede(l’uno di un reale fuoco, l’altra di uno figurato; rammenterò al proposito
che nel parlato napoletano tra le piú comuni voci usate per indicare la vulva
c’è quella che suona purchiacca/pucchiacca che con etimo dal greco pýr
+k(o)leacca←*cljacca sta per fodero di fuoco; tornando a furnacella dirò che l’etimologia
è dall’acc. lat. volgare furnacella(m) che è un diminutivo con cambio di
suffisso per cui in luogo dell’atteso furnacula(m) dim. di furnum si è ottenuto
la ns. furnacella(m); sfunnata= sfondata, rotta , consunta part. pass. femm.
aggettivato dell’infinito sfunnà = sfondare; denominale del latino fundu(m) con
protesi di una s questa volta distrattiva;
tozzola spugnata = cantuccio di pane raffermo ammollato in
acqua, dunque donnaccola lercia, ciana, sporca,bagnata; la tozzola essendo un
cantuccio di pane raffermo è cosa inutile, da buttar via, inservibile, tal
quale la donnaccola volgare e spregevole cosí chiamata; tozzola= cantuccio di
pane raffermo, tozzo; tozzola etimologicamente appare un diminutivo femminilizzato del lat. tursum
=gambo, da un *tursola→turzola e per assimilazione regressiva tuzzola→tozzola;
spugnata part. pass. femm. aggettivato dell’infinito
spugnà= ammollare etimologicamente denominale di spogna= spugna che è dal lat.
spongia(m);
vrenzola spurtusata letteralmente straccio bucato e dunque
donna volgare, lercia , rabberciata, stracciona, raffazzonata ; di per sé la
voce vrenzola nel suo significato primo di straccio e poi in quello estensivo
di persona, donna mal fatta o mal ridotta; etimologicamente è da ricollegarsi
ad una brenniciola→bren(ni)ciola→brenciola diminutivo di un’originaria brenna
corrispondente (vedi il Du Cange) ad un basso lat. breisna= rozza, vile,senza
valore ma non manca (senza che mi trovi d’accordo) chi fa derivare brenna
dall'ant. fr. braine (giumenta) sterile e quindi priva di valore; spurtusata
part. pass. femm. aggettivato dell’infinito spertusà =bucare denominale della
voce pertuso =buco (dal lat. *pertusium derivato di pertundere=bucare) con
protesi di una s intensiva.
guallecchia vale di per sé ernia molliccia e dunque per
traslato donna dappoco, volgare, fastidiosa tal quale un’ernia molliccia quella
stessa che a Napoli è indicata oltre che con la voce a margine anche con
l’espressione guallera cu ‘e filosce (ernia corredata di spugnose frittatine) ed
infatti la voce a margine risulta essere una gustosa forma eufemistica della
voce guallera (dall’arabo wadara =ernia) incrociata con la voce
pellecchia=pelle aggrinzita, molle e cadente ma pure buccia sottile (ad es. di
pomidoro) ( che deriva da un lat. volg. pellicla(m) per il class. pellicula(m)
diminutivo di pellis-is = pelle, buccia); rammento pure che la voce filoscio di
cui filosce/i è il plurale = frittata sottile e spugnosa (dal francese filoche
da fil= filo sottile ;
squàcquara vale di per sé neonata, bambina piccola e, come
offesa rivolta ad una donna: flaccida, deforme,senza forze, rachitica; in
effetti al di là di imprevisti malanni costituzionali, una neonata non può
avere tutta la gagliardía fisica di un’adulta e spesso si mostra flaccida e senza
forze; quanto all’etimo la voce a margine risulta un deverbale di squacquarà
che riproduce in modo onomatopeico il verso della quaglia giovane ed infatti a
Napoli, nel gergo giovanile, una ragazza giovane si disse quaglia (che è
dall'ant. fr. quaille, voce derivata dal lat. volg. *coacula(m), di origine
onomatopeica) e la piccola bambina quagliarella
chiarchiósa pesante offesa che rivolta ad una donna
l’accredita d’esser sudicia, sporca, lordata quando non estensivamente laida
meretrice; la voce a margine di suo è un aggettivo poi sostantivato (vedi il
suff. femm. di pertinenza osa/oso unito al sostantivo di partenza che è
chiarchio = lordura, sozzura, muco nasale (di probabile etimo onomatopeico);
‘nfranzesata letteralmente infranciosata, meretrice che à
contratto il mal francese cioè la lue o sifilide e dunque donnaccia da trivio;
rammenterò che un tempo la sifilide fu detta a Napoli mal francese in quanto
ritenuta malattia infettiva trasmessa attraverso le prostitute dai soldati
francesi di Carlo VIII re di Francia (1470-†1498),che era figlio di Luigi XI e
di Carlotta di Savoia.(c’è sempre un Savoia (mannaggia a loro!) sulla strada
dei Napoletani!) , mentre in Francia fu chiamato mal napolitaine, in quanto
pensato propagato tra i medesimi soldati dalle prostitute partenopee che già ne
erano affette, e per dileggio si usò dire di chi fosse stato colpito
dall’infezione: È stato in… Francia! Etimologicamente la voce a margine è
un’adattamento dialettale di infranciosata che è il part. passato femm. dell’infinito
infranciosare per il piú comune infrancesare (da un in illativo + francese).
Tràcena s.vo f.le 1
(in primis) tracina,trachino (pesce di mare
dalle carni gustose, usato soprattutto nelle zuppe, di media grandezza e
con corpo allungato, provvisto di una pinna dorsale a raggi spinosi e
veleniferi), pesce ragno (ord. Perciformi)). 2(per traslato come nel caso che
ci occupa) donnaccola infida,maldicente, pettegola, malalingua, diffamatrice,
dagli affrettati giudizi, pericolosa sino a diventare addirittura velenosa tal
quale il pesce da cui mutua il nome. Voce derivata dal lat. mediev.
anthrace(m)→(an)t(h)race→trace→tracena con allungamento sillabico eufonico
(na).
In coda a questa nutrita elencazione di epiteti ne aggiungo
numerosi altri molto icastici ed
espressivi quantunque \ antichi e desueti, tutti riportati nelle sue
opere dal Basile (Giugliano in Campania,
1566 o 1575 –† Giugliano in Campania, 1632) notissimo letterato napoletano di epoca barocca, primo a utilizzare la fiaba
come forma di espressione popolare.. Gli epiteti desueti sono
Cernapérete agg.vo f.le e solo femminile letteralmente
setacciatrice di scorregge ma va da sé che non potendosi passare allo staccio
le emissioni gassose intestinali, si
tratti di una divertitente,
quantunque offensiva voce traslata con cui si indica una donna dal
voluminoso fondoschiena che abbia un incedere ancheggiante e dondolante facendo
oscillare il sedere per modo che imiti il movimento d’un setaccio; la voce è
formata dall’agglutinazione di cerna + il s.vo pérete:
cerna voce verbale (3° pers. sg. ind. pres.
dell’infinito cèrnere= stacciare,
setacciare dal lat. cernere 'vagliare, separare',
pérete s.vo f.lepl. di péreta femminilizzazione
espressiva di píreto s.vo m.le = peto,
emissione rumorosa di gas dagli intestini. (dal lat. pēditu(m), deriv. di pedere 'fare peti' con
alternanza osco mediterranea di d→r onde pēditu(m)→piritu(m)→píreto);il s.vo
f.le péreta fu coniato nell’intento di connotare un emissione di gas intestinali che fosse piú rumorosa di
quella normalmente indicata dal m.le píreto e ciò perché In napoletano un
oggetto o cosa che sia è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del
corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o
tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo
), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta
(piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che
è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella;
forcelluta agg.vo f.le; al maschile, ma poco usato, è furcelluto mordace, maledico/a aggressivo/a,
caustico/a, graffiante, tagliente, salace, sferzante, ironico/a ma sempre
addizionati di una dose di malevoli bugie; con linguaggio moderno si direbbe
lingua biforcuta ; etimologicamente la voce infatti è un denominale di
furcella/forcella = forcina,forcella, nome generico di vari utensili costituiti
da un'asta biforcata in due bracci: dal
lat. furcilla(m), dim. di furca 'forca';
perogliosa agg.vo f.le; al maschile, ma poco usato, è perogliuso = cencioso/a – lacero/a,
sbrindellone/a, sciattone/a; epiteto rivolto soprattutto a giovane donna o
giovane uomo che siano molto poco attenti al loro decoro personale mantenendo
un atteggiamento di immagine o
comportamentale trasandato, trascurato, disordinato, scalcinato; la voce è un denominale di
pèroglie s.vo f.le pl. =cenci, cianfrusaglie,pezze per i piedi dal lat. pedulĭa : da notare la
roticizzazione osco-mediterranea della d→r;
picoscia agg.vo e s.vo f.le
non è attestato un m.le picoscio sebbene sia ipotizzabile = donna bassa
e dalle gambe storte e come tale adusa ad una andatura scorretta, tentennante, di sghimbescio tale,
semanticamente, da farla classificare come persona infida ed
inaffidabile, falsa, doppia, ambigua;interessante l’etimo della voce che piú
che una derivazione del s.vo paloscio (che è dal serbocr. paloš, che è
dall’ungh. Pallos) derivazione di cui non si riesce a cogliere il nesso
semantico atteso che questo paloscio indica la daga a lama stretta, ad un solo
taglio, portata nel medioevo dai cacciatori, anche per aprirsi il cammino nella
boscaglia, e in seguito dai battistrada dei cortei, né è attestato che questa
corta daga avesse la lama storta e non diritta; piú che una derivazione del
s.vo paloscio, dicevo occorre
pensare ad un incrocio tra coscia
e bi-cocca (catapecchia, casa diroccata;
misera casupola dal fr. bicoque) l’incontro bi – cocca e coscia determinò bi→pi-coscia che da un significato di
partenza di gamba (coscia) misera e malmessa
per metonimia indicò la donna bassa che avesse quelle gambe storte e
malmesse;in coda rammento che il corrispondente al maschile della voce in esame
è lo scatobbio agg.vo m.le e solo m.le
usato per indicare in primis l’ometto deforme, gobbo, rachitico, sgraziato,
brutto, goffo, racchio, ranocchiesco e per estensione semantica figuratamente
l’uomo da nulla,di nessuna rilevanza, anzi emarginato, sgradevole in quanto ripugnante il tutto in linea con
l’etimo della voce che è dal greco skatòs (sterco) addizionato con bios (vita)
insomma quasi un titolare di una vita di merda.
privasa/prevasa/provasa/pruvasa quattro morfologie alternative d’un'unica
voce che in senso traslato, sostanzia un
epiteto altamente offensivo rivolto ad una donna e solo a donne; in realtà
delle quattro forme solo l’ultima pruvasa fu usata nel parlato della città
bassa quale epiteto offensivo; le altre
forme furono usate in letteratura e quasi del tutto in senso proprio; si tratta di un s.vo f.le con cui si indica
in senso proprio il cesso, la latrina,
il gabinetto di uso privato;in senso traslato ed offensivo fu usato per
indicare una donna volgare, lercia, sordida, abietta, corrotta, ripugnante, ributtante,disgustosa,tal quale un cesso o
una latrina non nettati o ripuliti; è voce marcata sul fr. privaise a sua volta
ricavata da un lat. volg. *privatĭa d’analogo significato;
pontonèra/puntunèra doppia morfologia alternativa [di cui
la prima adottata da scrittori meno adusi alla verace parlata popolare
napoletana] d’un'unica voce che sostanzia un epiteto altamente offensivo
rivolto ad una donna e solo a donne; ambedue le forme, con la distinzione che ò
fatto, furono usate sia in letteratura
(cfr. Ferdinando Russo che però adoperò la piú esatta e veracemente popolare
puntunèra ) che nel parlato della città
bassa quale epiteto offensivo; il
significato fu univoco senza possibilità di confusione: prostituta, donna di
malaffare, donna da strada, donna da marciapiede, sgualdrina, baldracca; la
voce etimologicamente è un denominale di pontone/puntone (angolo di
strada, spigolo di muro,cantonata di
via,) addizionato del suff. di competenza f.le èra che al m.le è iere
(cfr.salum-era ma salum-iere, panett-era ma panett-iere,cantenera,ma canteniere
etc.); pontone/puntone s.vo m.le = angolo di strada, spigolo di muro,
cantonata; voce ricavata dal s.vo
puncta(m) con riferimento allo spigolo del muro, addizionato del suff. accr. m.le
one.Rammento altresí che nella medesima valenza e significato della voce in esame fu usato sebbene piú in letteratura che nel
parlato un analogo cantonèra/cantunèra
(marcato sul s.vo - che non è della parlata napoletana cantone) voce
mutuata dal siciliano;
púppeca prostituta,
malafemmina, battona etc. ; totalizzante offesa rivolta a donna e solo a donne;
di per sé la voce a margine varrebbe (donna)pubblica in quanto voce
etimologicamente derivata per adattamento locale dall’agg.vo lat. publĭca
(passato inalterato nello spagnolo cfr. mujer publica=prostituta) secondo il
seguente percorso morfologico
publĭca→pubbica→pubbeca→púppeca;
quaquarchia/quarchiosa/quarchiamma triplice morfologia d’un unico vocabolo di
partenza: quaquarchia che sostanziò una pesante offesa rivolta ad una donna e
solo a donne: donna brutta,sporca, sudicia, lorda, lercia, lurida nonché
sordida; volgare, scurrile, indecente e
quindi spregevole; la voce
quaquarchia come le successive,
etimologicamente derivano tutte da
quarchia (s.vo f.le d’origine onomatopeica per indicare una cosa sporca, un
oggetto unto); quaquarchia presenta l’iterazione espressiva e rafforzativa della prima sillaba posta in posizione
protetica; sempre partendo da quarchia
si ottenne (addizionandole il
suff. osa suffisso di pertinenza
derivato dal lat. osa←osu(m)),si ottenne l’agg.vo sostantivato
quarchiosa = sporca,
unta,impiastricciata e dunque lorda,
lercia, lurida nonché sordida, volgare,
scurrile, indecente; infine sempre
partendo da quarchia si ottenne (addizionandole il suff.dispregiativo
amma (cfr. lut-amma/lot-amma) suffisso affine ad imma←imen (cfr. zuzz-imma
cazz-imma etc.), si ottenne quarchiamma s.vo f.le e solo f.le = cosa
eccessivamente sporca o unta di grasso fluido, donna sporca, sudicia, lorda,
lercia, lurida, sconcia, abietta, turpe, laida, immonda, ignobile
varvera s.vo f.le e solo f.le bruciante offesa che sta per
prostituta esosa, donnaccia pelatrice ed estensivamente anche piú
semplicemente donna che sia avida, ingorda, gretta, tirchia, spilorcia
nonché profittatrice,sfruttatrice, opportunista, adusa a pelare amici e
conoscenti. Di per sé infatti la voce a margine quale denominale del s.vo varva
(dal lat. barba(m) con normale passaggio di b a v (cfr. vocca←bucca(m),
varca←barca etc.) addizionato del suff. f.le èra che al m.le è iere
(cfr.salum-era ma salum-iere, panett-era ma panett-iere etc.) indicherebbe la
barbiera f.le di barbiere: la donna o l’uomo che svolge il mestiere di radere la barba e tagliare o acconciare i
capelli ( rammento en passant che fino agli inizi del sec. XIX all'esercizio di
questo mestiere erano connesse anche pratiche mediche e chirurgiche);posto,
dicevo, che la voce indicherebbe in
primis la donna che svolgesse il mestiere di barbiere, è del tutto pacifico che
si possa indicare con il medesimo termine, a fini offensivi, una donna sfruttatrice, opportunista, adusa a
pelare (togliere figuratamente… i peli ad) amici e conoscenti.
vammana comincio con
il dire che la voce vammana fu un tempo accostato a mammana = levatrice
domestica levatrice, donna esperta che assiste le partorienti e ne raccoglie il
parto ( sia vammana che mammana son voci
derivate dalla medesima voce del lat. volgare *mammàna(m)) ma per vammana con forma dissimilata nella cons. d’avvio che
da mammàna passa a vammana;
la vocevammana è
usata, nel parlato comune popolare, non per indicare una vera e propria
levatrice che assiste la puerpera e ne raccoglie il parto, ma per significare, in senso dispregiativo, e quindi
offensivo quelle praticone, prive di
adeguata preparazione, ma non di esperienza,
aduse ad esercitare pratiche abortive clandestine (spesso servendosi
di mezzi di fortuna, inidonei e pericolosi).Che si tratti di termine
dispregiativo è dimostrato dal fatto che già anticamente (cfr. Basile) la voce
vammana era usata quale epiteto.
Vommacavracciólle
ancóra un epiteto abbondantemente desueto quantuque molto icastico ed
espressivo; s.vo o agg.vo f.le voce composta addizionando una voce verbale
(vommeca) ed un sostantivo pl. (vracciolle); letteralmente vale: vomitabraccine
ma significò quale grave epiteto
offensivo strega antropofoga,
fattucchiera, ingorda arpía, megera
adusa iperbolicamente a cibarsi di bambini di cuiperò poi recedesse le braccia; un tempo la voce a
margine fu usata non solo come s.vo ma anche come agg.vo accostato al s.vo
janara ottenendosi un’offensiva janara
vommecavracciole (megera antropofoga) accostata alle pregresse janara catarrosa ed janara cecagnòla o scazzata (per ambedue cfr. antea);
vommeca voce verbale
(3 p.sg. ind. pres. dell’infinito vummecà (= vomitare,recere,) adattamento del
lat. vomitare, intensivo di vomere 'vomitare':
vomitare→vomicare→vommicare/vummecà;
vracciolle s.vo f.le
diminutivo di vraccia pl. del m.le vraccio = braccine del corpo umano; vraccio
è dal lat. brachiu(m), che è dal gr.
brachíon con normale passaggio di b a v (cfr. vocca←bucca(m), varca←barca
etc.); rammento che negli anni ’50 del 1900 la voce in esame era completamente
sparita anche nel parlato nella zona bassa della città e se ne adottò, quanto
meno nel solo parlato, una sorta di adattamento che fu vommecavrasciole con il
medesimo significato di strega, megera, ingorda fattucchiera che vomitasse
indigeste braciole ripiene; la voce adottata metteva da parte le iperboliche e
raccapriccianti vracciolle (braccine) per accontentarsi di piú probabili e meno
inorridenti vrasciole (braciole/involtini ripieni); per ciò che riguarda la voce brasciola/vrasciola s.vo f.le dirò
ch’esso s.vo deriva dal tardo latino brasa/vrasa+ il suff.diminutivo ola femm.
di olus; semanticamente la faccenda si spiega col fatto che originariamente la
brasola fu una fetta di carne da cuocere
alla brace, e successivamente con la medesima voce adattata nel napoletano con
normale passaggio della esse + vocale (so) al palatale scio che generò da
brasola, brasciola si intese non piú una fetta di carne da cucinare alla brace,
ma la medesima fetta divenuto grosso involto imbottito da cucinare in umido con
olio, strutto, cipolla e molto frequentemente, ma non necessariamente sugo di
pomidoro, involto che è d’uso consumare caldissimo.
A margine di tutto ciò rammento che la voce brasciola viene usata nel napoletano quale voce furbesca e di dileggio riferita
ad un uomo basso e grasso détto comunemente fra’ brasciola; ancóra la medesima
voce è usata per traslato, ma piú spesso nei dialetti della provincia, che
nell’autentica parlata napoletana,per indicare un tipo di pettinatura maschile,
segnatamente quella del ciuffo
prospiciente la fronte che
semanticamente si ricollega alla brasciola perché il ciuffo è quasi
ripiegato come un grosso involto; a Napoli il medesimo ciuffo cosí pettinato
viene détto ‘o cocco voce del linguaggio infantile che oltre ad indicare il ciuffo
suddetto è un s. m. [f. -a; pl. m. -chi]
voce familiare usata per indicare una
persona prediletta, un oggetto di
affettuosa e protettiva tenerezza (spec. un bambino)che semanticamente si
ricollega all’affettuosa tenerezza con cui le mamme sogliono sistemare la
pettinatura dei proprii bambini, prediligendo il ciuffo ripiegato a mo’ di
involto.
Infine rammento ancóra che in taluni dialetti provinciali
(Capri, Visciano etc.) , furbescamente
con la voce brasciola viene indicata la vulva, con riferimento semantico
alla focosità e carnalità del sesso femminile.A Napoli che pure (vedi alibi)
sono in usi numerose voci per indicar la vulva, questa provinciale brasciola
non viene di norma usata.
Vottacàntere altra
desueta voce composta s.vo f.le raramente anche m.le, ma come epiteto
esclusivamente femminile; valse letteralmente butta(svuota)cànteri cioè serva o
anche servo addetto ai lavori piú umili
e segnatamente a quello di vuotare in mare i cànteri cioè i grossi vasi
di comodo in cui la famiglia depositava le proprie deiezioni giornaliere; va da
sé che una siffatta misera serva o talore misero servo fosse ritenuto un essere
immondo, sudicio, sporco, sozzo, lurido; repellente, ripugnante, schifoso,
disgustoso, nauseabondo, sconcio, laido tale che con la voce a margine si
sostanziasse una corposa offesa.
Se serva la donna addetta al còmpito rammentato fu détta
anche
zambracca= serva di
infimo conio, fantesca addetta alla
pulizia dei cessi e/o dei cànteri. La voce a margine origina dall’addizione del
suffisso dispregiativo acca (=accia) con la
parola zambra (che è dal francese chambre) in francese la voce
chambre indicò dapprima una generica
camera, poi uno stanzino ed infine il gabinetto di decenza. Pure questa
zambracca fu usato quale epiteto offensivo nella medesima valenza precedente;
tornando a
vottacàntere ripeto
che si tratta di una voce s.vo f.le o talora m.le composta da una voce verbale votta = butta, svuota
etc. (3° pers. sg. ind. pres. dell’infinito vuttà = gettare,buttare, svuotare
etc. dal fr. ant. bouter, provenz. botar, di orig. germ con il consueto
passaggio di b a v.; la voce verbale votta
non è da confondere con l’omofono omografo s.vo votta = botte (dal lat.
tardo *butta(m)→vutta(m)→votta 'piccolo vaso') che semanticamente nulla à a che
vedere dall’incombenza esercitata dal/dalla vottacàntere
1) càntare/càntere
s.vo m.le pl. di càntaro/càntero alto e vasto vaso cilindrico dall’ampia bocca su cui ci si poteva
comodamente sedere, vaso di comodo atto
a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è
dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di
non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea e cioè
con:cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e
significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di
misura: cantàio= circa un quintale ed è
a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo
ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che
(il vilipendio) di un’oncia (ca 27 grammi) nel culo (e non occorre spiegare
cosa rappresenti l’oncia richiamata…));
molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano
dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un
pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre
in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con
un altro peso (cantàro)!Per restare in tema di càntaro/càntero riporto qui di sèguito un’interessante
espressione che suona:
Vutà ‘o càntero =
vuotare il vaso di comodo vale a dire: rinfacciare torti subíti o
spiacevolezze patite; anche in questo caso è relativamente semplice cogliere il
collegamento semantico tra il vuotare un vaso di comodo ed il rinfacciare torti subíti trattandosi in
ambedue i casi di due operazioni fastidiose e/o spiacevoli, ma necessarie ed in
fondo chi rinfaccia torti subíti o spiacevolezze patite si affranca di qualcosa di sgradevole che fino al momento
di liberarsene era stata tenuta come un
peso increscioso sul proprio io, il tutto alla medesima stregua di chi in tempi
andati, come ò già riferito ( e cfr. ad abundantiam alibi ‘a malora ‘e Chiaia ) era costretto
all’incresciosa, ma necessaria operazione di svuotare in mare i vasi di comodo
colmi degli esiti fisiologici della famiglia.
Vutà/are v. tr. = vuotare, rendere vuoto, privare qualcosa
del contenuto; svuotare; etimologicamente denominale del lat. volg. *vocitu(m),
variante di *vacitu(m), part. pass. di *vacíre 'essere vuoto', corradicale del
lat. vacuus 'vuoto'.
Faccio notare che nel napoletano non va confuso il verbo a
margine vutà = vuotare con il verbo avutà/are = voltare, girare, volgere,
indirizzare in un altro senso; orientare altrove (derivato dal lat. volg. *
a(d)+volutare, intensivo di volvere 'volgere'; da *
a(d)+volutare→av(ol)utare→avutare).
E sempre per restare
in tema di di càntaro/càntero e di
insulti/epiteti veniamo a dei duri brucianti insulti che sono: a) Piezzo ‘e
càntero scardato! e b) Pezza ‘e càntero!
Sgombero súbito il campo da un facile equivoco: è vero che
l’insulto sub a) per solito è rivolto ad un uomo dandogli del coccio infranto
di un vaso da notte sbreccato, nell’intento di classificarlo e considerarlo
moralmente sporco, lercio, immondo,
individuo sordido, abietto, corrotto, ripugnante come potrebbe essere un
pezzaccio di un vaso da notte che per
il lungo uso risulti sporco e sbreccato;
dicevo è pur vero che l’insulto sub a) per solito è rivolto ad un uomo, mentre
l’insulto sub b) è rivolto ad una donna,bollando anche costei come persona
moralmente sporca, sozza, lorda e quindi da evitare, ma le voci usate piezzo e pezza non sono il maschile ed il femminile di un
unico termine, come qualche sprovveduto potrebbe ipotizzare, ma sono due
sostantivi affatto diversi di significato affatto diversi:
piezzo s.vo
m.le = pezzo, quantità, parte non
determinata, ma generalmente piccola, di un materiale solido, qui usato nel
significato di coccio, ciascuno dei pezzi in cui si rompe un oggetto fragile;
l’etimo della voce a margine è dal lat. med. pettia(m) con metaplasmo e cambio
di genere; ben diverso il sostantivo
pezza s.vo f.le =
straccio, cencio, pezzo, ritaglio di tessuto (con etimo dal dal lat. med. pettia(m)); nella fattispecie
la pezza dell’insulto in esame fu quello straccio, quel cencio usato in tempi
andati per ricoprire, in attesa di vuotarli,
i cànteri usati quando cioè risultassero colmi di escrementi; la
medesima pezza era talora usata per nettarsi dopo l’operazione scatologica ed
in tal caso però prendeva furbescamente
il nome di ‘o liupardo (il leopardo) risultando détta pezza al termine delle
operazioni maculata a macchie come il mantello d’un leopardo.
Rammento infine che in luogo dell’insulto piezzo ‘e càntero
un tempo fu usato un corrispondente scarda ‘e ruagno che ad
litteram è: coccio di un piccolo vaso da
notte. Cosí con gran disprezzo si usò e talvolta ancóra s’usa definire chi sia
sozzo, spregevole ed abietto al punto da poter essere paragonato ad un lercio
coccio di un contenuto vaso da notte infranto, vaso che è piú piccolo e basso
di quello detto càntaro o càntero.
Per ciò che attiene alla etimologia della parola
scarda s.vo f.le che
è pari pari anche nel siciliano, nel pugliese ed in altri linguaggi
meridionali, considerata da sola e senza aggiunte specificative, vale: pezzo, scheggia frammento, scaglia (di
legno, di vetro o di altro); per ciò che attiene l’etimo,dicevo noto che il D.E.I. si trincera dietro un pilatesco etimo
incerto una scuola di pensiero (C. Iandolo) propone una culla tedesca sarda=
spaccatura, qualche altro (Marcato) opta per una non spiegabile, a mio avviso,
derivazione da cardo che dal lat. cardu(m) indica quale s. m.
1 pianta erbacea con foglie lunghe, carnose, di colore
biancastro, commestibili (fam. Composite) | cardo mariano, pianta erbacea con
foglie grandi e infiorescenze globose a capolino (fam. Composite) | cardo dei
lanaioli, pianta erbacea con foglie fortemente incise e infiorescenze a capolino,
di colore azzurro, con brattee uncinate, usate per cardare la lana e pettinare
le stoffe (fam. Dipsacacee)
2 il riccio della castagna
ed ognuno vede che non v’à alcun collegamento semantico
possibile tra questa pianta ed un pezzo, scheggia frammento, scaglia (di un
qualcosa).
A mio modo di vedere è molto piú opportuno chiedere
soccorso etimologico al francese écharde: scheggia.
Sistemata cosí la questione etimologica, affrontiamo quella
semantica ricordando che in napoletano con l’accrescitivo femminile scardona la
voce in epigrafe assume un significato del tutto positivo valendo gran bel
pezzo di ragazza,di donna; con la voce scardona viene infatti indicata una
donna giovane, bella, alta, formosa fino ad esser procace; al contrario una
valenza affatto negativa la voce scarda (che attraverso il verbo scardare=
sbreccare è anche alla base dell’agg.vo
scardato/a) l’assume nell’espressione Sî‘na scarda ‘e ruagno! = Sei un coccio
d’un piccolo vaso da notte!
Ruagno s.vo m.le = pitale, piccolo vaso da notte.Per ciò
che riguarda etimo e semantica di questa voce dirò súbito che essendo
solitamente questo vaso di comodo ubicato nei pressi del letto per essere
prontamente reperito in caso di impellenti necessità, scartata l’ipotesi
fantasiosa che ne fa derivare il nome da un troppo generico greco organon
(strumento), penso si possa aderire all’ipotesi che fa derivare il ruagno da
altro termine greco, quel ruas che indica lo scorrere, atteso che il ruagno era
ed in alcune vecchie case dell’entroterra campano ancóra è destinato ad
accogliere improvvisi contenuti
scorrimenti o viscerali o
derivanti da cattiva ritenzione idrica.
schiattacàntere
anche in questo caso ci troviamo di fronte
ad un antico, desueto epiteto in forma di voce composta,
voce f.le, ma pure m.le che letteralmente sta per crepacànteri e che pertanto non è un sinonimo (come
invece qualche disaccorto addétto ai
lavori à erroneamente opinato)in
quanto la voce in esame non è
riconducibile all’attività svolta da un/una servo/a di vuotare i vasi di comodo
liberandoli delle deiezioni ivi contenute
e come tale essere immondo, sudicio, sporco, sozzo, lurido; repellente,
ripugnante, schifoso, disgustoso, nauseabondo, sconcio, laido; niente di tutto
ciò! Con la voce a margine ci troviamo invece difronte a tutt’altra tipologia
di soggetto per quanto anch’esso nauseante, ripugnante, ributtante,
stomachevole, sgradevole in quanto soggetto aduso a stomachevoli pletoriche
ripetute deiezioni tali da produrre iperbolicamente la crepatura o rottura dei
vasi destinati a contenerle; in napoletano l’azione del crepare, rompere,
squarciare è resa con l’infinito schiattare/à (voce intesa d’origine onomatopeica, ma è lecito
ipotizzare un tema latino sclap-it da un originario sclap (il medesimo di
schiaffo), da sclapit si ricavò un
lat. parlato *sclapitare→sclaptare→schiaptare→schiattare); dicevo che in
napoletano l’azione del crepare,
rompere, squarciare è resa con l’infinito schiattare/à per cui addizionando la
3° pers. sg. dell’ind. pres. schiatta con il consueto s.vo cànatare/càntere si
ottenne la voce a margine usata quale epiteto rivolto ad una ripugnante donna
accreditata, per offesa di stomachevoli
pletoriche ripetute deiezioni tali da produrre iperbolicamente la crepatura o
rottura dei vasi destinati a contenerle;
vocca ‘e cernia
antico, desueto offensivo epiteto di pertinenza femminile e talora anche
m.le; epiteto formato addizionando al s.vo f.le vocca (=bocca, dal lat.
bucca(m)→vucca→vocca con consueto, normale passaggio di b a v (cfr.
varva←barba(m), varca←barca etc.) ) con lo specificativo ‘e cernia (di cernia)
per indicare una donna brutta, deforme,
sguaiata, volgare, triviale, scurrile, sboccata, maleducata, rozza,
zotica, grossolana, linguacciuta e pettegola provvista iperbolicamente, alla
bisogna d’una bocca ampia tal quale quella della cernia; la cernia (dal lat.
tardo (a)cernia(m) infatti è un pesce
marino, comune nel mediterraneo, di dimensioni medio grandi con carni pregiate,
ma d’aspetto poco rassicurante, brutto e deforme, provvista altresí di una grossa brutta ed
irregolare bocca vorace;
zoria eccoci
all’ultimo antico, desueto epiteto, registrato dal Basile e di pertinenza f.le
e solo f.le; si tratta d’un s.vo f.le usato anche come agg.vo nel significato
di furba,maliziosa, maligna, malevola,
adescatrice,seduttrice, ammaliatrice; con diversa valenza: prostituta,
donna da marciapiede, sgualdrina, baldracca, donnaccia; la voce a margine voce marcata sullo spagnolo zorra (dove vale volpe e/o zoccola): come volpe semanticamente riporta
al significato di furba, adescatrice,seduttrice, ammaliatrice etc.; come
zoccola semanticamente richiama il significato di sgualdrina, baldracca,
donnaccia, prostituta etc.
In coda ed a completamento dell’elencazione segnalo altre
due icastiche voci: cantimbrora e cutroscia; rammento che la prima e cioè cantimbrora è usata per solito addizionata dell’agg.vo
vecchia;
la voce cantimbrora
è un s.vo f.le e solo f.le che in primis di per sé indica [con etimo
dall’iberico cantimplora] un capace catino di stagno e/o vetro,a bocca larga e
sponda alta usato a) per mantenere in fresco il vino da pasto o dessert per il
tramite di pezzi di ghiaccio; b)per il
rigoverno veloce, coram populo di chicchere o bicchieri;per traslato come nel
caso che ci occupa è un’offesa rivolta
a donna vecchia bassa e grassa.
Altra voce icastica è
cutroscia s.vo f.le e solo f.le
che però non è d’uso napoletano, ma di altre province campane: Salerno,
Benevento ed in genere segnatamente di quelle zone dove esisteva un signorotto
locale con propria corte e maniero; etimologicamente la voce nel significato
generico di prostituta, meretrice, cortigiana è
infatti una lettura metatetica ed abbreviata di curtesciana→cutrescia(na)→cutroscia.
Altro epiteto da rammentare benché desueto è quello che
recita allessa ‘e miezejuorno, icastica espressione che ad litteram è: castagna
lessa di mezzodí nel intento di identificare una persona (uomo o donna
adulto/a) di nessun valore, di scarsa qualità,
di scarto, mediocre, scadente e ciò in quanto le castagne lesse furono
cibo consumato nelle ore del mattino e va da sé che quelle che gli avventori
mattutini avessero scartate in quanto non buone o appetibili, restassero in
fondo al paiolo fino a mezzodí quale merce invenduta perché scadente.
allessa s.vo f.le = castagna privata del riccio e della
dura scorza esterna e bollita in acqua con aggiunta di foglie d’alloro e semi
di finocchio ; voce derivata dal part. pass. femm. del tardo lat. elixare 'far
cuocere nell'acqua, sebbene qualcuno proponga un tardo lat. *ad-lessa(m) ma non
ne vedo la necessità in quanto nulla osta al passaggio che riporto
elixare→alissare→allissare→allessare e da quest’ultimo il part. pass
allessato/a→allessa(to/a)→allessa.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito
l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed
interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú
genericamente chi dovesse imbattersi in
queste paginette.
Satis est.
RaffaeleBracale
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