sabato 9 ottobre 2021

L’EQUIVOCO DEL CONDIZIONALE NEL NAPOLETANO

 

L’EQUIVOCO DEL CONDIZIONALE NEL NAPOLETANO

 

Questa volta affronto un argomento sul quale, son certo, incontrerò piú di una resistenza non solo tra ça va sans dire i miei detrattori, ma pure tra i miei affezionati  lettori...; ma tant’è: chi va pe cchisti mare,  chisti pisce piglia! Pazienza, correrò il rischio ma penso che sia giunto il momento di fare un po’ di chiarezza e dire come stanno realmente le cose, delucidare cioé che (per tirarsi súbito il dente) il napoletano del popolo (che è poi quello che fa l’autentico idioma partenopeo...) rifugge dall’impiego del  condizionale, (tollerato , rara avis, e non raccomandato  in poesia [per problemi di metrica e/o rima], ma sconsigliato tassativamente in prosa...) usando in sua vece l’imperfetto congiuntivo! Prima di procedere faccio però un paio di premesse da cui non bisogna prescindere: a)Il napoletano è una parlata autoctona  costruita nobilmente,  come del resto il toscano/fiorentino e tutti gli altri linguaggi locali dell’Italia,   verosimilmente  sul latino volgare (usato dal popolo, volgo) parlato in età classica (e non direttamente dal latino illustre, che fu la lingua usata dai letterati dell'epoca);

b) L’idioma napoletano scritto ed orale  è un  linguaggio autonomo, rispondente a regole proprie e non è tributario di quelle  della lingua nazionale, come ci vorrebbe far credere qualche autore della domenica [e  ad exemplum faccio – parce sepulto -  un solo nome: Aurelio Fierro e la sua(?) scalcinata, inconcludente grammatica napoletana che in realtà è una pessima grammatica italiana adattata al napoletano...]. Argomentiamo; so bene che in molte grammatiche del napoletano sia antiche (Pietro Bichelli, Pietro Paolo Volpi) che moderne (Carlo Iandolo) è codificata e contemplata l’esistenza  del condizionale sia presente che passato (ess. sarría= sarei / sarría stato= sarei statoavarría=avrei/ avarría avuto= avrei avuto etc.), ma come è facile arguire  gli addetti ai lavori sono in genere dei letterati e/o professori, degli   studiosi  tutti con un abbondante retroterra culturale di studi universitari, persone che son ferratissime nell’uso della lingua nazionale e da essa condizionati e spesso, da studiosi,  son resti a tuffarsi nell’idioma popolare per imbibirsene e riportarlo cosí com’è nell’uso comune,  nei loro scritti evitando di passarlo allo staccio della lingua italiana, staccio che quando poi finisce nelle mani di poeti e/o parolieri di canzonette, illetterati a digiuno sia  dell’italiano che dell’esatto napoletano, ch’essi vergano scimmiottando l’italiano,  dà come risultato gli inesatti vorria/vurria o addirittura un raccapricciante vularria  in luogo dell’esatto vulesse usato nel parlato popolare. Del resto, per tornare all’esistenza, in talune grammatiche, del condizionale e prima di chiarire perché il popolo usi il congiuntivo imperfetto, dirò che uno dei medesimi autori succitati, l’amico Carlo Iandolo per illustrare la nascita del condizionale nel napoletano fece ricorso ad un farraginoso percorso etimologico/morfologico che può esser forse, al piú al piú, seguíto da un letterato, ma certamente non da un incolto popolano! Ad es. il condizionale sarría  deriverebbe dall’incontro di *essere +habeba(m)→*(es)ser(e) (h)a(b)e(b)a(m)→seraéa→seréa→sarría       ed ugualmente il condizionale avarría  seguirebbe il medesimo percorso etimologico  dall’incontro di*habere +habeba(m) etc. E quando, quando un incolto popolano si sarebbe avventurato o avventurerebbe  in tali gineprai linguistiti? Piú probabile che l’anonimo illetterato autore dei versi di Vorria ca fósse ciaola, piú probabile che  Leonardo Vinci  l’ illetterato autore dei versi di Vurria addeventare soricillo, come l’illetterato Vincenzo Russo autore dei versi di I’ te vurria vasà, come ancóra il giornalista Antonio Pugliese  autore dei versi di Vurria  per non esser tacciati di provincialismo  si siano lasciati condizionare dall’ italiano vorrei  ritenuto piú elegante del napoletano vulesse; ancóra di piú si lasciò condizionare  Adolfo Genise dottore in lettere ed impiegato delle Ferrovie,  autore dei versi di Suonno ‘e fantasia  che ritenendo poco elegante il napoletano vulesse  ed eludendolo creò un mostruoso vularría . A questo punto non mi resta che chiarire perché il napoletano del popolo rifugge dal condizionale ed usa l’imperfetto congiuntivo; la cosa affonda le sue radici nel fatto che – come ò détto nelle due premesse -  il napoletano  è forgiato sul latino volgare (usato dal popolo, volgo) parlato in età classica  ed è noto che i latini non usavano il condizionale,  ma in sua funzione  il  perfetto ed il piuccheperfetto   congiuntivo e da quest’ultimo derivò l’imperfetto congiuntivo napoletano; per cui possiamo addirittura esagerare dicendo che sia piú esatto rispetto all’origine latina l’uso  napoletano  dell’imperfetto congiuntivo (vulesse) piuttosto che il condizionale dell’italiano (vorrei).Satis est.

Raffaele Bracale

 

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