L’EQUIVOCO DEL CONDIZIONALE NEL
NAPOLETANO
Questa volta affronto un argomento sul quale, son certo,
incontrerò piú di una resistenza non solo tra ça va sans dire i miei detrattori, ma pure tra
i miei affezionati lettori...; ma
tant’è: chi va pe cchisti mare, chisti pisce piglia! Pazienza, correrò il
rischio ma penso che sia giunto il momento di fare un po’ di chiarezza e dire
come stanno realmente le cose, delucidare cioé che (per tirarsi súbito il
dente) il napoletano del popolo (che è poi quello che fa l’autentico idioma
partenopeo...) rifugge dall’impiego del condizionale, (tollerato , rara avis, e non
raccomandato in poesia [per problemi di
metrica e/o rima], ma sconsigliato tassativamente in prosa...) usando in sua
vece l’imperfetto congiuntivo! Prima di procedere faccio però un paio di
premesse da cui non bisogna prescindere: a)Il napoletano è una parlata
autoctona costruita nobilmente, come del resto il toscano/fiorentino e tutti
gli altri linguaggi locali dell’Italia,
verosimilmente sul latino volgare
(usato dal popolo, volgo) parlato in età classica (e non direttamente dal
latino illustre, che fu la lingua usata dai letterati dell'epoca);
b) L’idioma napoletano scritto ed orale è un
linguaggio autonomo, rispondente a regole proprie e non è tributario di
quelle della lingua nazionale, come ci
vorrebbe far credere qualche autore della domenica [e ad exemplum faccio – parce sepulto - un solo nome: Aurelio Fierro e la sua(?)
scalcinata, inconcludente grammatica napoletana che in realtà è una pessima
grammatica italiana adattata al napoletano...]. Argomentiamo; so bene che in
molte grammatiche del napoletano sia antiche (Pietro Bichelli, Pietro Paolo
Volpi) che moderne (Carlo Iandolo) è codificata e contemplata l’esistenza del condizionale sia presente che passato
(ess. sarría= sarei / sarría stato= sarei stato – avarría=avrei/ avarría avuto= avrei avuto
etc.), ma come è facile arguire gli
addetti ai lavori sono in genere dei letterati e/o professori, degli studiosi tutti con un abbondante retroterra culturale
di studi universitari, persone che son ferratissime nell’uso della lingua
nazionale e da essa condizionati e spesso, da studiosi, son resti a tuffarsi nell’idioma popolare per
imbibirsene e riportarlo cosí com’è nell’uso comune, nei loro scritti evitando di passarlo allo
staccio della lingua italiana, staccio che quando poi finisce nelle mani di
poeti e/o parolieri di canzonette, illetterati a digiuno sia dell’italiano che dell’esatto napoletano, ch’essi
vergano scimmiottando l’italiano, dà
come risultato gli inesatti vorria/vurria
o addirittura un raccapricciante vularria in luogo dell’esatto vulesse usato nel parlato popolare.
Del resto, per tornare all’esistenza, in talune grammatiche, del condizionale e
prima di chiarire perché il popolo usi il congiuntivo imperfetto, dirò che uno
dei medesimi autori succitati, l’amico Carlo Iandolo per illustrare la nascita
del condizionale nel napoletano fece ricorso ad un farraginoso percorso etimologico/morfologico
che può esser forse, al piú al piú, seguíto da un letterato, ma certamente non
da un incolto popolano! Ad es. il condizionale sarría deriverebbe
dall’incontro di *essere
+habeba(m)→*(es)ser(e) (h)a(b)e(b)a(m)→seraéa→seréa→sarría ed ugualmente il condizionale avarría seguirebbe il medesimo percorso etimologico dall’incontro di*habere +habeba(m) etc. E quando, quando un incolto popolano si
sarebbe avventurato o avventurerebbe in
tali gineprai linguistiti? Piú probabile che l’anonimo illetterato autore dei
versi di Vorria ca fósse ciaola, piú
probabile che Leonardo Vinci l’ illetterato autore dei versi di Vurria addeventare soricillo, come
l’illetterato Vincenzo Russo autore dei versi di I’ te vurria vasà, come ancóra il giornalista Antonio Pugliese autore
dei versi di Vurria per non esser tacciati di provincialismo si siano lasciati condizionare dall’ italiano
vorrei ritenuto piú elegante del napoletano vulesse; ancóra di piú si lasciò condizionare
Adolfo Genise dottore in lettere ed
impiegato delle Ferrovie, autore dei
versi di Suonno ‘e fantasia che ritenendo poco elegante il napoletano vulesse
ed eludendolo creò un mostruoso vularría
. A questo punto non mi resta che chiarire perché il napoletano del popolo
rifugge dal condizionale ed usa l’imperfetto congiuntivo; la cosa affonda le
sue radici nel fatto che – come ò détto nelle due premesse - il napoletano
è forgiato sul latino volgare (usato dal popolo, volgo)
parlato in età classica ed è noto che i
latini non usavano il condizionale, ma
in sua funzione il perfetto ed il piuccheperfetto congiuntivo e da quest’ultimo derivò
l’imperfetto congiuntivo napoletano; per cui possiamo addirittura esagerare
dicendo che sia piú esatto rispetto all’origine latina l’uso napoletano
dell’imperfetto congiuntivo (vulesse)
piuttosto che il condizionale dell’italiano (vorrei).Satis est.
Raffaele Bracale
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