mercoledì 5 aprile 2017

VARIE 17/380



1.Ê CANE DICENNO
letteralmente: dicendo ai cani  locuzione pronunciata magari accompagnata da un gesto scaramantico  con la quale si vuol significare: non sia mai!, accada ai cani e non a noi,  ciò  che stiamo dicendo!
2.    A  MMORTE ‘E SÚBBETO.
Ad litteram:  a morte subitanea  id est: repentinamente, senza por tempo in mezzo; detto soprattutto in riferimento ad  ordini da eseguirsi, come indicato in epigrafe, con la stessa  immediatezza di una morte  repentina.
3.    AGGIU VISTO 'A MORTE CU LL' UOCCHIE.
Ad litteram:  Ò visto la morte con gli occhi  Con questa tautologica locuzione si esprime chi voglia portare a conoscenza degli altri di aver corso un serio, grave pericolo tale d’averlo portato ad un passo dalla morte, vista  da molto vicino e di esserne venuto fortunatamente fuori, tanto da poterlo raccontare.
4.    ACCURTÀ ‘E PASSE A QUACCHEDUNO
Ad litteram:accorciare (ridurre) i passi a qualcuno; id est: ridimensionare i movimenti di qualcuno al fine di impedirgli di procedere oltre; detto soprattutto di chi - mostratosi troppo saccente e  supponente - si stia comportando,  conseguentemente,  con boria e vacua baldanza; ebbene   è buona norma che costui venga ridimensionato, con parole ed atti, perché comprenda quali sono i limiti nei quali deve muoversi e non li ecceda.
5.    ACCUSSÍ À DDA JÍ
Ad litteram : cosí deve andare; fatalistica espressione con la quale a Napoli si suole accettare tutte quelle  situazioni che non possono essere eluse o evitate ed alle quali perciò bisogna - sia pure obtorto collo - soggiacere.Talvolta per completamento della frase in epigrafe ed a significare un totale abbondono nell’ Ente supremo che muove tutti gli accadimenti umani, si aggiunge un religioso e rassegnato  e  accussí sia ( e cosí sia).
6.    ACCUSSÍ VA ‘O MUNNO
Ad litteram: cosí va il mondo: espressione analoga alla precedente, ma con un piú marcato senso di impotenza davanti alla ineluttabilità di taluni avvenimenti, che – in qualsiasi parte del mondo – evolvono nella medesima maniera...
7.ABBRUSCIÀ ‘O PAGLIONE
Ad litteram: bruciare il pagliericcio id est: far terra bruciata attorno a qualcuno. Grave minaccia con la quale si comunica  di voler procurare, a colui cui è rivolta,  un grave, gravissimo  anche se non specificato danno; la locuzione rammenta ciò che erano soliti fare gli eserciti sconfitti , in ispecie quelli francesi che nell’abbondonare l’accampamento fino a quel momento occupato,  usavano bruciare tutto per modo che l’esercito sopravveniente non  potesse averne neppure un sia pur piccolo tornaconto.Oggi la locuzione in epigrafe è usata con due significati, uno meno grave, l’altro piú duro; nel significato meno duro l’espressione significa mancare a un impegno, a un appuntamento; nel significato piú minaccioso  l’espressione è usata    per minacciar imprecisati ma  totali danni; infatti  con l’espressione  T’aggi’ ‘abbruscià ‘o paglione! si vuol significare: Devo arrecarti tutto il danno possibile, bruciandoti persino il pagliericcio su cui dormi,  per non darti piú modo neppure di riposare!
Anticamente l’espressione in epigrafe valeva come minaccia di sodomizzazione. ma è difficile comprende  quale  sia il percorso semantico seguíto per apparentare il paglione (pagliericcio) con la sodomizzazione; si può ipotizzare ragionevolmente che si sia usato il termine paglione come figura estensiva di un  fondoschiena gonfio tal quale un pagliericcio imbottito; va da sé che una pratica sodomitica comporterebbe un’infiammazione del fondoschiena tale da lasciarlo quasi ardente, quasi come per una ustione. )
abbruscià = bruciare, ardere, incendiare,consumare, distruggere, rovinare con l'azione del fuoco o del calore.
l’etimo è da un lat. volg. ad+brusiare→abbrusiare→abbrusciare/à  
paglione  s. m. = pagliericcio,  saccone pieno di paglia o foglie secche usato come materasso; quanto all’etimo paglione  è un evidente accrescitivo (cfr. suff. one) di paglia  che è dal lat. palea
8.    Â CASA D’’O FERRARO, ‘O SPITO ‘E LIGNAMMO.
ad litteram: in casa del fabbro, lo spiedo è di legno; locuzione usata ad ironico commento di  tutte quelle situazioni nelle quali, per accidia o insipienza dei protagonisti  vengono a mancare elementi che  invece si presupponeva non potessero mancare e ci si deve accontentare di  succedanei spesso non confacenti.
9.    ‘A CARNA TOSTA E ‘O CURTIELLO SCUGNATO.
ad litteram: la carne dura ed il coltello senza taglio.  Icastica locuzione che si usa a  dolente commento di situazioni dove concorrano due o piú elementi negativi tali da  prospettare un sicuro insuccesso delle operazioni intraprese. Altrove per significare la medesima cosa s’usa  l’espressione  illustrata al numero successivo.
10. AIZÀRSE ‘NU CUMMÒ
ad litteram: caricarsi addosso un canterano; detto di chi abbia impalmato una donna  anziana, non avvenente e, a maggior disdoro, priva di congrua dote. Si ritiene che  chi abbia  fatto un simile matrimonio, abbia  compiuto uno sforzo simile a quello di quei  facchini addetti a trasporti, facchini che   sollevavano e si ponevano sulle spalle  pesanti cassettoni di legno massello, sormontati da pesanti lastre di marmo.
aizar(se) = sollevar(si), alzar(si), caricar(si) di qualcosa;   voce verbale infinito derivato dal lat. altiare→auziare→aizare;
cummò s.m. = canterano, cassettone  voce derivata dal francese commo(de).
11. CH’HÊ VISTO? GIAMBATTISTA ‘INT’Ô CANISTO?
Ad litteram: Cosa ài veduto? (la testa) di Giambattista nel canestro? Domanda ironica rivolta per dileggio a chi senza un acclarato, evidente,  cogente  motivo si mostri con il volto segnato dal raccapriccio, dal terrore,  dalla paura, dallo spavento, nonché dal  ribrezzo quasi che sia reduce dalla agghiacciante, orribile, orrenda, spaventosa, ripugnante visione  di una testa mozzata. Nella fattispecie si suppone che la testa mozzata sia quella d’ un tal Giambattista che piú precisamente è  il cugino precursore di Nostro Signore Gesú Cristo cioè Giovanni il Battista che [come riportato nella sacra scrittura (Vangelo di Marco 6,14-29)] fu decapitato per ordine di Erode e gliene  fu recata la  testa su  di un vassoio. È di tutta evidenza che nell’espressione in esame, per non perdere l’espressività d’ una rima  la testa, in luogo d’esser mostrata su di un vassoio,  è mostrata in un canestro (in napoletano canisto che rima acconciamente con Giambattista). Va da sé che o vassoio o canestro non cambia la sostanza dell’orripilante visione, tale da generare pauroso  sgomento, terrore, panico. Altrove con analoga valenza  chi senza un acclarato, evidente,  cogente  motivo si mostri con il volto segnato dal raccapriccio, dal terrore viene considerato sarcasticamente
alla medesima stregua di un
12. PULICENELLA SPAVENTATO DÊ MMARUZZE. id est: Pulcinella spaventato dalla visione di un secchio colmo di innocue  lumache, cosí come in una divertente farsa di Antonio Petito.
13. LEVARSE ‘E PÀCCARE ‘A FACCIA.
Ad litteram: togliersi gli schiaffi da faccia; poiché è impossibile fare materialmente ciò che è affermato nella locuzione,è chiaro ch’essa  deve intendersi nel senso figurato   di riscattarsi da un’onta subíta, lavarsene, in una parola: vendicarsi , fieramente ricambiando il male ricevuto.
14. LEVARSE ‘O SFIZZIO.
Ad litteram: togliersi il gusto, nel senso di  raggiungere, conquistandeselo,  l’appagamento di una intensa voglia  di un desiderio a lungo covato  e finalmente raggiunto. il termine sfizzio (correttamente scritto in napoletano con due zeta) deriva con qualche  probabilità  dal latino satis -facio  e ne conserva il sostrato di soddisfazione per raggiunger  la quale occorre fare abbastanza.
Non manca però coloro (ed io mi ci accodo) che propendono  non a torto per un’etimologia greca  da un fuxis(evasione) con tipica prostesi della S intensiva partenopea, atteso che lo sfizio  è qualcosa che eccedendo  il normale si connota come un’evasione dalla quotidianeità. 15.       METTERE LL’ASSISE Ê CETRÓLE nell’espressione  VA METTENNO LL’ASSISE Ê CETRÓLE
Ad litteram: mettere il calmiere ai cetrioli nell’espressione  va ponendo il calmiere sui cetrioli.  Icastica espressione con la quale si stigmatizza il comportamento sciocco di chi  dedica il proprio tempo ad attività inutili, pretestuose ed inconferenti quale quella di  calmierare il prezzo dei cetrioli, ortaggio che sebbene sia di largo consumo, per solito è a buon mercato e non v’è bisogno che se ne calmieri il prezzo; per traslato, l’espressione in esame viene riferita ad ogni attività  che si riveli inutile e per ciò stesso sciocca. 
16. MIÉTTELE NOMME PENNA!  
Letteralmente vale : Chiamala penna!; Cosí suole, a mo’ di sfottò, consigliare chi  vede qualcuno  prestare un oggetto a persona  che si ritiene non restituirà mai il prestito, volendo significare: “Ài prestato l’oggetto a quella tale persona? Ebbene, rasségnati a perderlo; non rivedrai mai piú il tuo oggetto  che, come una piuma d’uccello è volato via!”
 
La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, procurando un cattivo affare a chi à incautamente operato un prestito atteso che spesso  sparisce un oggetto prestato a taluni  che per solito non restituiscono  ciò che ànno  ottenuto in prestito.
miéttele nomme  letteralmente mettigli nome e cioè chiamalo id est: ritienilo; miéttele= metti a lui, poni+gli  voce verbale (2ª pers. sing. imperativo) dell’infinito mettere=disporre, collocare, porre con etimo dal lat.  mittere 'mandare' e successivamente 'porre, mettere'; nomme = nome;  elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti o sentimenti; denominazione, con etimo dal lat. nomen  e tipico raddoppiamento espressivo della labiale m come avviene ad es.  in ommo←hominem, ammore←amore(m), cammisa←camisia(m) etc.
Rammento che un tempo con la voce penna (dal lat. penna(m) 'ala' e pinna(m) 'penna, piuma', confluite in un'unica voce) a Napoli si indicò, oltre che la piuma d’un uccello, anche una vilissima moneta  (dal valore irrisorio di mezzo  e poi un ventesimo di  grano. corrispondente a circa 2,1825→02,18 lire italiane) , moneta che veniva spesa facilmente, senza alcuna remora o pentimento; tale moneta che valeva appena un sol carlino (nap. carrino) prese il nome di penna  dal fatto che su di una faccia di tale moneta  (davanti ) v’era  raffigurata l’intiera scena  dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul rovescio  v’era raffigurato il particolare  dell’arcangelo con un’ala (penna) dispiegata; ora sia che la penna  in epigrafe indichi la piuma d’uccello, sia indichi la vilissima moneta, la sostanza dell’espressione non cambia, trattandosi di due cose: piuma o monetina che con facilità posson volar via e/o perdersi. Brak

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