venerdì 26 maggio 2017

VARIE 17/ 573


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1. 'A NAVE CAMMINA E 'A FAVA SE COCE.
Letteralmente: la nave cammina, e la fava si cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che indica la sopravvivenza,data dalla continuata abbondanza di cibo) con il cammino della nave ossia con il progredire delle attività economiche,e fa dipendere il sostentamento dal cammino della nave per cui è piú opportuno tradurre (Quando) la nave va, la fava cuoce,id est: se gli affari progrediscono, il sostentamento è assicurato!
 
2. NCE VONNO QUATTO LASTE E 'O LAMPARULO.
Letteralmente: occorono i quattro vetri laterali ed il reggimoccolo. Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è rappresentato da  una lanterna ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla sua funzionalità. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi, ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad un attento controllo esso risulta vistosamente carente e praticamente inutilizzabile.
3. JIRSENE CU 'NA MANA ANNANZE E N'ATA ARRETO.
Letteralmente: andarsene con una mano davanti ed una di dietro (per coprirsi le vergogne). Era il modo con cui il debitore si allontanava dal luogo dove aveva eseguito la cessio bonorum – in napoletano: zitabona -, aveva cioè poggiato le nude natiche su di una colonnina (posta innanzi al tribunale della Vicaria)  a dimostrazione di non aver piú niente. La locuzione perciò significa e si usa per indicare chi, non avendo concluso nulla di buono, ci abbia rimesso fino all'ultimo quattrino e non gli resti che l'ignominia di dichiararsi fallito o perdente e di  cambiar zona andandosene con una mano davanti ed una di dietro.
4. A - MIETTE MANO Â TELA
B - ARRICIETTE 'E FIERRE
Le due locuzioni indicano l'incipit ed il termine di un'opera e vengono usate nelle precise circostanze da esse indicate, ma sempre con un valore di sprone; sub A: metti mano alla tela, ossia, prepara la tela ché è giunto il momento di cominciare il lavoro. sub B: metti a posto i ferri, è giunta l'ora di lasciare il lavoro.
5. ESSERE 'NU/’NA SECATURNESE.
Letteralmente: essere un/una  sega-tornesi.Id est: essere un avaraccio/a, super avaro/a al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di monete, che al tempo in cui circolavano monete d'oro o d'argento, usavano limarle per poi rivender la limatura e far cosí piccoli guadagni: venne poi la carta-moneta e finí il divertimento.
6. ESSERE 'NA MEZA PUGNETTA.
Esser piccolo di statura, ma soprattutto valer poco o niente, non avere alcuna conclamata attitudine operativa, stanti le ridottissime capacità fisiche, intellettive e morali di cui si è provvisti,   essendo (per furbesca iperbole) solo  il prodotto di un gesto onanistico non compiuto neppure per intero. Il s.vo f.le pugnetta che indica appunto  la masturbazione maschile, è una voce gergale costruita sul s.vo lat.  pugnu-m addizionato di un suff. dim. f.le –etta.
7. ESSERE 'NA GALLETTA 'E CASTIELLAMMARE.
Letteralmente: essere un biscotto di Castellammare. Id est: essere poco incline ad atti di generosità, anzi tener sempre saldamente chiusi i cordoni della borsa essendo molto restio ad affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie quelle destinate ad opere di carità, essere insomma cosí duro nei propri parsimoniosi intendimenti da essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti in Castellammare, biscotti a lunga conservazione usati abitualmente come scorta dalla gente di mare che li preferiva al pane perché non ammuffivano, ma che erano cosí tenacemente duri che - si diceva - neppure l'acqua di mare riuscisse ad ammorbidire.
8. 'E CURALLE – oppure ‘O CURALLARO - LL'À DDA FÀ 'O TURRESE.
Letteralmente: i coralli li deve lavorare il torrese oppure il corallaio è lavoro da torrese. Id est: ognuno deve fare il proprio mestiere, che però deve esser fatto secondo i crismi previsti; non ci si può improvvissare competenti; nella fattispecie la lavorazione del corallo è appannaggio esclusivo dell'abitante di Torre del Greco, centro campano famoso nel mondo appunto per la produzione di oggetti lavorati in corallo.
9. MO T''O PPIGLIO 'A FACCIA 'O CUORNO D''A CARNACOTTA
Letteralmente. adesso lo prendo per te dal corno per la carne cotta. Icastica ed eufemistica espressione con la quale suole rispondere chi, richiesto di qualche cosa, non ne sia in possesso né abbia dove reperirla o gli manchi la volontà di reperirla. Per comprendere appieno la locuzione bisogna sapere che la carnacotta è il complesso delle trippe o frattaglie bovine o suine che a Napoli vengono vendute già atte ad essere consumate o dai macellai o da appositi venditori girovaghi che le servono ridotte in piccoli pezzi su minuscoli fogli di carta oleata; i piccoli pezzi di trippa vengono prima irrorati col succo di limone e poi cosparsi con del sale che viene prelevato da un corno bovino scavato ad hoc proprio per contenere il sale e bucato sulla punta per permetterne la distribuzione. Detto corno viene portato dal venditore di trippa, appeso in vita e lasciato pendente sul davanti del corpo. Proprio la vicinanza con intuibili parti anatomiche del corpo, permettono alla locuzione di significare che ci si trovi nell'impossibilità di aderire alle richieste.
10. PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Letteralmente: anche i corbellati vanno in paradiso. Massima consolatoria con cui si tenta di rabbonire i dileggiati cui si vuol fare intendere che sí è vero che ora son presi in giro, ma poi spetterà loro il premio del paradiso. Il termine cuffiato cioè corbellato è il participio passato del verbo cuffià che deriva dal sostantivo coffa = peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello.
11. DICETTE 'O SCARRAFONE: PO’ FFÀ CCHIOVERE 'GNOSTIA COMME VO’ ISSO, MAJE CCHIÚ NIRO POZZO ADDEVENTÀ...
Disse lo scarafaggio: (il Cielo) può far cadere tutto l'inchiostro che vuole, io non potrò mai diventare piú nero di quel che sono. La locuzione è usata da chi vuole far capire che à già ricevuto e sopportato tutto il danno possibile dall'esterno, per cui altri sopravvenienti fastidi non gli potranno procurar maggior danno.
12. ABBACCA ADDÒ VENCE.
Letteralmente: collude con chi vince. Di per sé il verbo abbaccare presupporrebbe una segretezza d'azione che però ormai nella realtà non si riscontra, in quanto l'opportunista - soggetto sottinteso della locuzione in epigrafe non si fa scrupolo di accordarsi apertis verbis con il suo stesso pregresso nemico, se costui, vincitore, gli può offrire vantaggi concreti e repentini. Lo sport di salire sul carro del vincitore e di correre in suo aiuto è stato da sempre praticato dagli italiani.
13. DIO PERDONA,  SANGIUANNE NO! Letteralmente: Dio perdona, il compare/padrino no! Ammonimento/avvertimento usato nei confronti soprattutto di minori, ma talora anche di adulti per tenerli avvisati a non comportarsi mai male con alcuno, ma in primis con   il proprio compare/padrino di battesimo o cresima perché – nell’inteso popolare – il  compare/padrino (sangiuanne) per solito è molto piú severo del Padreterno che, grandemente misericordioso, è aduso al perdono cosa estranea invece al compare/padrino (sangiuanne)  con il quale bisogna sempre comportarsi bene. Come si evince da quanto détto, con il termine sangiuanne non si fa riferimento  al san Giovanni apostolo, ma al san Giovanni Battista precursore  del Cristo sia pure solo per mutuarne il nome proprio che agglutinato con l’apposizione “san” vien degradato semanticamente sino a  farne un s.vo comune per indicare  il compare/padrino di battesimo e/o cresima in memoria del fatto che  san Giovanni Battista precursore  del Cristo Lo battezzò sulle rive del Giordano.Il fatto poi  che il compare/padrino (sangiuanne) venga inteso severissimo trova il suo fondamento nel  reale comportamento   di san Giovanni Battista precursore  del Cristo che fu rigido, inclemente, duro, aspro, inflessibile, intransigente già con se stesso predicando  la penitenza  e vivendo in un deserto dove si cibava di locuste e miele selvatico.
14. LEVARSE ‘O SFIZZIO
Ad litteram: togliersi il gusto, nel senso di  raggiungere, conquistandeselo,  l’appagamento di una intensa voglia  di un desiderio a lungo covato  e finalmente raggiunto. il termine sfizzio (correttamente scritto in napoletano con due zeta) deriva con qualche  probabilità  dal latino satis -facio  e ne conserva il sostrato di soddisfazione per raggiunger  la quale occorre fare abbastanza.
Non manca però coloro (ed io mi ci accodo) che propendono  non a torto per un’etimologia greca  da un fuxis(evasione) con tipica prostesi della S intensiva partenopea, atteso che lo sfizio  è qualcosa che eccedendo  il normale si connota come un’evasione dalla quotidianeità.
15. UNO TAGLIA N’ATO ‘NCHIMA E N’ATO CÓSE
Ad litteram: uno taglia, un altro imbastisce ed un altro cuce
Icastica popolare, sarcastica  locuzione,ispirata dal mestiere del sarto, usata a derisione di coloro  [in primis impiegati governativi e/o comunali  ]  che, per ignavia, trincerandosi dietro al fatto che le proprie mansioni esulano da compiti estesi, si rifiutano di dare compimento all’intrapreso limitando la propria azione ad una sola parte  di esso e demandandone ad altri il perfezionamento, quasi alla stregua  di  un sarto che, tagliata la stoffa di un abito, non sia in grado o si rifiuti di imbastirlo e di cucirlo ed affidi ad altri le relative  operazioni.
Come ò anticipato la locuzione è usata spesso in riferirmento a gli sportellisti degli uffici comunali e/o altri enti pubblici che usano costringere i cittadini che chiedono una documentazione a sottostare a sfibranti andirivieni  tra alcuni  sportelli prima di poterla ottenere, laddove un po’ di buona volontà d’un singolo addetto potrebbe risolvere la faccenda rapidamente e soddisfacentemente!
Taglia voce verbale 3ª pers. sg.ind. pr. dell’infinito taglià [dal fr. (ant.) tailler, che è il lat. tardo taliare, der. di talea]= tagliare,  frazionare, mozzare, radere, ritagliare, segare, smozzare, tagliuzzare,  tosare,  tranciare.
‘Nchima voce verbale 3ª pers. sg.ind. pr. dell’infinito ‘nchimà [da un lat. reg. inflimare→’nflimare→’nchimare] = imbastire, unire provvisoriamente i margini di due pezzi di stoffa, di pelle, ecc., con punti lunghi di filo di cotone, arrabattare, arrangiare, improvvisare, raffazzonare.
Cóse voce verbale 3ª pers. sg.ind. pr. dell’infinito cósere  [dal lat.  *cosĕre, per il class. consuĕre,] = cucire.
 
Brak

 

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