lunedì 9 gennaio 2017

VARIE 17/40

1.À TIRATO ‘A SCIAVECA oppure STA TIRANNO ‘A SCIAVECA Letteralmente: À tirato la sciabica oppure Sta tirando la sciabica Ambedue le espressioni sono usate o posteriormente o nel durante ad ironico ed antifrastico commento delle azioni di chi o reduce da o operante un leggero e/o inconferente lavoro, faccia invece cialtronescamente le viste di aver condotto a termine o di star facendo una faticosa incombenza; la sciaveca è la grossa rete a strascico munita di ampio sacco centrale ed ali laterali sorrette da sugheri galleggianti, che viene calata in mare in prossimità della battigia e poi faticosamente tirata a riva a forza di braccia dai pescatori che per poterlo piú agevolmente fare sogliono entrare in acqua fino a restare a mollo con il fondoschiena donde l’espressione: STÀ CU ‘E PPACCHE DINT’ A LL’ACQUA id est: star con le natiche in acqua per significare oltre che lo star lavorando faticosamente anche lo star in grande miseria nella convinzione (sia pure erronea) che il mestiere di pescatore non sia mai abbastanza remunerativo. Etimologicamente la parola sciaveca pervenuta nel toscano come sciabica è derivata al napoletano (attraverso lo spagnolo xabeca) dall’arabo shabaka da cui anche il portoghesejabeca/ga. Pacche s. f. pl. di pacca= natica e per traslato ognuna delle piú parti in cui si può dividere longitudinalmente una mela o una pera; etimologicamente la voce è dal lat. med. pacca marcato sul long. pakka. 2.'A TONACA NUN FA 'O MONACO, 'A CHIERECA NUN FA 'O PREVETO, NÈ 'A VARVA FA 'O FILOSEFO. Ad litteram: la tonaca non fa un monaco, la tonsura non fa un prete né la barba fa il filosofo; id est: l'apparenza può ingannare: infatti non sono sufficienti piccoli segni esteriori per decretare la vera essenza o personalità di un uomo. 3.'A VACCA, PE NUN MOVERE 'A CODA SE FACETTE MAGNÀ 'E PPACCHE DÊ MMOSCHE. Letteralmente: la mucca per non voler muovere la coda, si lasciò mangiare le natiche dalle mosche. Lo si dice degli indolenti e dei pigri che son disposti a subire gravi nocumenti e non muovono un dito per evitarli alla stessa stregua di una vacca che assalita dalle mosche per non sottostare alla fatica di agitare la coda, lasci che le mosche le pizzichino il fondo schiena! 4. VECCHIA ‘A PANZA LLE S’ARREPECCHIA : ‘A CHITARRA ‘UN SONA CCHIÚ. Letteralmente: alla vecchia la pancia le si affloscia e raggrinzisce e la (sua) chitarra non suona piú. Id est: una donna vecchia perde l’avvenenza delle forme; la pancia, (come il seno) pèrdono di tonicità, afflosciandosi e conseguenzialmente le vengono rifiutati e perciò a mancare i piaceri del sesso (che ad una persona vecchia, non piú formosa od attraente, si negano). Nell’espressione in esame la voce chitarra (dall'ar. qîtâra, che è dal gr. kithára. che normalmente indica un noto strumento musicale a corde,provvisto di cassa armonica formata da due tavole (di cui la superiore con foro centrale, détto rosa) unite da una fascia, di paletta con meccanica per tender le corde) è usata per indicare furbescamente la vulva femminile, semanticamente richiamata dalla rosa/foro centrale, ed inteso quale strumento di piacere ; in tale medesima accezione la voce chitarra la si ritrova nella smorfia napoletana che al numero 67 fa corrispondere l’espressione ‘o totaro dint’ â chitarra letteralmente: il totano nella chitarra, e ci si trova davanti ad una figurazione dal sapore marcatamente gioioso e furbesco, intendendosi con questa figura riferirsi all’immagine del coito ( che è dal lat. coitu(m), deriv. di coire 'andare insieme') in effetti è molto semplice rendersi conto di cosa sia adombrato sotto la figura del totaro e cosa adombri la chitarra con il foro della rosa; quanto all’etimologia abbiamo: totaro deriv. del gr. teuthís o têutòs con lo stesso significato di mollusco simile al calamaro; la voce pur partendo dal greco è giunta nel napoletano attraverso un basso latino tutanu(m) con metaplasmo e cambio di suffisso nu→ro. arrepecchia voce verbale 3ª pers. sg. ind. pres. dell’infinito arrepicchià = in primis rappezzare, accomodare alla meglio, estensivamente come nel caso che ci occupa aggrinzare,afflosciare; voce denominale di ad+ repecchia→arrepecchia rafforzativo di repecchia attestata altresí con lettura metatetica rechieppa s.vo f.le = grinza, piega,ruga (dal lat. rappicula→rapicla →repecchia). 5.'A VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO. Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto, (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di coloro che si atteggino a giovani,soggetti cioè che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertono sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile per riscaldarsi persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque, in qualsiasi occasione, si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna, rappresentato nel proverbio dall’improvviso freddo in un mese ritenuto caldo. Del proverbio in esame ne esiste un’altra lezione che suona: 'A VECCHIA Ê TRENTA 'E MAGGIO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO. che letteralmente vale: la vecchia ai trenta di maggio, (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo.Va da sé che il significato, anche quello estensivo, d’ambedue le lezioni è il medesimo atteso che non è improbabile che sia un mese primaverile, prodromico dei mesi estivi (maggio), sia un mese autenticamente estivo (agosto)possano, sia pure inopinatamente,presentare una situazione climatica diversa da quella attesa o in corso. Dovendo operare una scelta opto, anche per esperienza personale per la versione in epigrafe, quella cioè che chiama in causa il mese di agosto che è solito tradire le attese piú che non lo faccia il mese di maggio! Brak

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