IL VERBO MENÀ/MENARSE E LA SUA FRASEOLOGIA
Questa
volta sollecitato dalla richiesta fattami dal
caro amico N. C. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad
indicare solo le iniziali di nome e cognome) di chiarirgli significato e portata di una delle espressioni
partenopee qui di sèguito elencate, provvedo ad illustrare significato ed uso
del verbo menà/menarse,nella sua
abbondante fraseologia. Comincio dapprima a soffermarmi sul verbo menà che à la forma riflessiva
in menarse
ed è verbo transitivo che à un
vasto ventaglio di accezioni: buttare,
sospingere dentro o fuori ed anche, ma
meno comunemente, trascorrere, passare, vivere ed estensivamente assestare, dare con forza, picchiare; In parecchie
frasi à senso affine a fare, sollevare, produrre, manifestare e sim.,
determinato meglio dal complemento: menà rummore
=far parlare di sé, essere sulla bocca di tutti; ; menà a uno p’ ‘o
naso = raggirarlo, dargli a intendere, fargli fare o credere
ciò che si vuole; l’etimo è
dal tardo lat. minare, propr. 'spingere innanzi gli
animali con grida e percosse', deriv. di minae 'minacce'.
Vengo
ora alla rapida
elencazione delle espressioni costruite con menà/menarse per poi
esaminarle nel dettaglio:
1) menà
a scurdà.
2) menà
‘a culata ‘ncuollo a ll’ate
3) menà
‘a pretella e accuvà ‘a manella
4) menà
cauce
5) menà
‘o rancio
6) menarse
a ccapo e nnoce d’ ‘o cuollo
7) menarse
‘e fforme
8) menà
‘e mmane
9) menà
fuoco pe ll’uocchie
10)
menarse ‘a copp’abbascio
11)
nenarse dint’ê vvrache
12)
menarse dint’ê ccampane
13)
menarse sott’â bbannera.
E passiamo alla spiegazione analitica delle locuzioni:
1.Menà a scurdà Ad litteram: Buttare a dimenticare. Id est Comportarsi con studiata accidia, con voluta pigrizia, con deliberata indolenza, sfacciata
poltroneria, spudorato ozio, insolente inerzia al palese scopo di tentare di
far dimenticare di avere assunto degli impegni che invece non si intendono assolutamente mantenere; il
verbo tr. scurdà = lasciar cadere dalla memoria è dal lat. re-cordari, deriv. di cor
cordis 'cuore', perché il cuore era considerato sede della memoria, con
sostituzione del prefisso re- con il prefisso distrattivo ex→(e)x→s.
2.Menà ‘a culata ‘ncuollo a ll’ate Ad litteram:Riversare l’acqua bollente del ranno addosso
ad altri. Id est Agire truffaldinamente
in modo da far ingiustamente ricadere le proprie colpe addosso ad altri,
quasi come una malaccorta massaia che invece di versare l’acqua bollente per il
ranno nella tinozza con la biancheria da
sottoporre a bucato la versasse altrove addirittura sui i piedi di innocenti spettatori.
culata
s.vo
f.le1 lavatura della biancheria fatta con acqua, sapone, liscivia
o altri detersivi: fare il bucato | lenzuola
di bucato, appena lavate, pulitissime
2 la biancheria già lavata.
2 la biancheria già lavata.
Deverbale di colare che è dal lat. colare deriv. di colum
(filtro).
ranno
s.vo m.le miscuglio di cenere e
acqua bollente usato in passato per lavare i panni; voce dal longob. rannja;
cfr. il tedesco moderno rinnen 'grondare, gocciolare'.
3.Menà ‘a pretella e accuvà ‘a
manella.
Ad litteram:Lanciare la pietra e nasconder la mano Id est:Aizzare,ma defilarsi;
provocare, sobillare, fomentare,ma farlo tenendosi in disparte, quasi
nascosto;comportarsi come un bimbo che lanciata una pietra nasconda la mano per
non farsi scoprire ed esser punito; azione tipica del vigliacco o di chi manchi
di personalità.
petrella s.vo f.le diminutivo di preta =pietruzza, sassolino voce metatesi del lat. . petra(m),addizionata
del suff. dim. f.le ella; petra(m), è dal gr. pétra;
manella s.vo f.le diminutivo di mana = piccola mano, mano di piccolo/a; mana è voce dal lat. volg. mana(m)
per il cl. manu(m) qui addizionata del suff. dim. f.le ella;
accuvà v.bo tr.vo = 1in primis ricoverare; 2 per traslato come nel caso che ci occupa nascondere,
celare
3 (fig.) custodire, conservare gelosamente; voce dal
lat. ad-cubare→accubare→accuvà;
4.Menà cauce(*) Ad
litteram:Tirar calci Id est:Détto di
chi si mostri recalcitrante, renitente,
riottoso ed impuntandosi quasi scalci a mo’ di asino per sottrarsi a gli
ordini ricevuti o a gli impegni presi e che non abbia piú intenzione di assolvere;
cauce s.vo m.le pl. di caucio/cavucio = calcio, colpo
dato con il piede o con la zampa; voce deriv. dal lat. calce(m) 'calcagno,
calcio'; normale l’esito al + cons. →au (cfr. altu(m)→auto/aveto);
5.Menà ‘o rancio Ad litteram: Lanciare/gettare l’uncino (o l’arpione). Trattasi di unicastico
sorridente traslato usato in riferimento a chi agisca in
maniera subdola, ambigua quando non palesemente truffaldina al fine di assicurarsi
un vantaggio, un’utilità rubacchiando, quasi alla maniera di un cacciatore o
pescatore che usi un rampino, un uncino per catturare una preda;
rancio/rangio s.vo
m.le granchio, rampino voce dal
lat. crancer→(c)rance(r)
collaterale di cancer.
Rammento che nel parlato comune,
soprattutto della città bassa accanto all’espressione a margine si usano le
analoghe jucà ‘e renza oppure jucà ‘e rancio nel significato di rubare con destrezza e rapidità.
jucà = v. intr. giocare, 1 dedicarsi a
un'attività piacevole per divertimento, per passatempo, per esercizio fisico o
mentale o anche per trarne guadagno; trastullarsi, scherzare; usare parole
equivoche per poterle poi interpretare a proprio modo; ingannare o prendere in
giro; 2 dedicarsi al gioco d'azzardo; arrischiare il proprio denaro in
scommesse e in altre attività dominate dalla sorte;
3 dare prova di abilità, servirsi di qualcosa con
abilità;ed è in questa accezione che rientra il significato che ci occupa;
4 praticare un gioco sportivo;
5 essere in gioco: dinto a ‘sti fatte ce joca ‘a furtuna!(in queste cose gioca la fortuna), agire; mettere in gioco, a
repentaglio; rischiare;
6 aver gioco, avere la possibilità di muoversi nell'insieme degli organi di un meccanismo; ‘a chiave joca bbuono dint’ â mascatura(la chiave gioca bene nella serratura);
7 detto di luce, aria, acqua ecc., creare particolari effetti;
6 aver gioco, avere la possibilità di muoversi nell'insieme degli organi di un meccanismo; ‘a chiave joca bbuono dint’ â mascatura(la chiave gioca bene nella serratura);
7 detto di luce, aria, acqua ecc., creare particolari effetti;
v. tr. [nei
sign. 1, 2, 3 anche rafforzato con la particella pron.]
1 mettere in gioco, usare le proprie risorse;
1 mettere in gioco, usare le proprie risorse;
2 scommettere, puntare al gioco; in espressioni
iperb.: jucarse pure ‘a cammisa(giocarsi anche la camicia), (fig.)
tutto ciò che si possiede; jucarse ‘a
capa ‘ncoppa a quaccuno o quaccosa(giocarsi
la testa su qualcuno, su qualcosa), (fig.) per dire
che si è assolutamente sicuri di qualcuno o qualcosa;
3 arrischiare, mettere in pericolo; perdere qualcosa per averla messa a repentaglio;
3 arrischiare, mettere in pericolo; perdere qualcosa per averla messa a repentaglio;
4 ingannare, prendere in giro; vincere con astuzia: t’aggiu jucato (ti ò giocato!)
5 disputare una gara sportiva; come ò détto, qui il verbo è usato per estensione nel senso di rubare; la voce è dal lat. volg. *iocare, per il class. iocari, deriv. di iocus 'gioco';
5 disputare una gara sportiva; come ò détto, qui il verbo è usato per estensione nel senso di rubare; la voce è dal lat. volg. *iocare, per il class. iocari, deriv. di iocus 'gioco';
renza s.vo f.le = uso, abitudine, mania;
viene dal participio presente del verbo latino haerere= aderire; in
napoletano infatti è usato nell’espressione jí
‘e renza oppure tirarse ‘na renza cioè prendere un’abitudine,
aderire ad un modo di fare.
6.Menarse capa e nnoce d’ ‘o
cuollo(*) Ad litteram:Gettarsi di
capo e noce del collo Id est Gettarsi a capofitto, con il capo all’ingiú; dedicarsi a qualcosa con il
massimo, serissimo impegno quasi con
foga incurante addirittura della integrità del proprio collo e segnatamente
della nuca;
capa/o s.vo f.le =1in primis (= capo, testa dal lat. parlato *capa(m) per il class. caput); rammento che in napoletano il termine capo/a è usato2 per ampliamento semantico in altri significati e non solo
per indicare la parte del corpo umano unita al torace dal collo e in cui
ànno sede gli organi che governano le facoltà intellettive e la vita sensitiva
ed in senso piú ristretto, la zona del cranio rivestita di capelli, ma
anche per indicare chi esercita un
comando o dirige imprese, attività sia ancóra (estens.) chi à un ruolo
preminente o esercita una funzione direttiva, godendo di particolare prestigio
e autorevolezza, ma è pure usato per indicare una gugliata di cotone,di spago,
di filo, di refe o anche un rocchio di salsiccia (‘nu capo ‘e cuttone, ‘nu capo ‘e saciccia o ‘na capa ‘e saciccia) e viene usato in tale accezione perché
allorché una gugliata di cotone,di spago, di filo venga staccata dal suo
gomitolo o rocchetto di pertinenza, ecco che la successiva gugliata si troverà
all’inizio, al capo del gomitolo o rocchetto; ugual cosa capita con la
salsiccia che è un trito di carne di suina aromatizzato ed insaccato in un budello lungo tra i 40 ed i 50 cm.; tale
lunga salsiccia viene poi divisa in porzioni (rocchi) mediante successive legature; poiché quando dalla salsiccia
cosí suddivisa ne viene staccato un pezzo (rocchio) il successivo si troverà
comunque sempre in testa, in capo alla salsiccia residua, ecco che in
napoletano il rocchio italiano si dice capo o capa ‘e saciccia; nella
fattispecie in esame il significato che si attaglia, si confà alla locuzione è
quello sub 1.
noce d’ ‘o cuollo = nodo del collo, nuca, la parte alta
posteriore del collo, corrispondente al punto di passaggio tra base e volta
craniche; il s.vo f.le noce qui in
esame non à niente a che spartire con il frutto del noce, composto di una parte
esterna verde (mallo), di un guscio bivalve e di una parte interna commestibile,
ma è appunto la cervice, cioè la parte del collo
situata posteriormente alla regione cervicale della colonna vertebrale
(delimitata in alto dalla protuberanza occipitale esterna, in basso
dall’apofisi spinosa della 7a vertebra cervicale) la voce napoletana è dall’arabo nukhā attraverso un lat. med. nucha,
letto alla maniera iberica nucia donde noce; il
s.vo m.le cuollo qui in esame è esattamente quella parte del corpo di forma generalmente
cilindrica, che nell'uomo e in altri vertebrati unisce la testa al torace ed è voce dal lat. cŏllu(m)→cuollo con tipica dittongazione della vocale breve.
7.Menarse ‘e fforme Ad
litteram:Scagliarsi le forme Id estRicambiarsi vicendevolmente gravi offese o pesanti contumelie che metaforicamente vengono appaiate ai
massicci attrezzi di legno usati dai calzolai per modellare le scarpe e mantenerne la forma;
forme s.vo f.le pl. di forma = modello di legno; voce dal lat. fōrma;
8.Menà ‘e mmane (*)Ad litteram:Muovere, agitar le mani Id estIcastica locuzione di duplice
significato a seconda che sia coniugata con il verbo a margine menà o con quello alternativo vuttà; coniugata con menà vale picchiare, colpire, battere, percuotere,
bastonare qualcuno a mani nude; coniugata invece con l’alternativo vuttà la locuzione assume tutt’altro significato e vale sbrigarsi,
accelerare l’azione,agire con sollecitudine e rapidità muovedo le mani con
sicurezza in modo svelto, pronto,
spedito, , finalizzato alla conclusione sollecita dell’intrapreso.
mane s.vo f.le pl. di mana = mano, estremità dell'arto
superiore formata dal polso, dalla palma, dal dorso e dalle cinque dita; à
funzione di organo prensile e tattile ; etimologicamente la voce mana, deriva da un accusativo latino manu(m) reso femminile *mana(m); anche nel toscano anticamente
la mano fu mana.
9.Menà fuoco pe ll’uocchie(*)
Ad litteram:Emettere fuoco da gli occhi;
détto iperbolicamente di chi sia tanto irato, teso, ansioso, e si trovi
perciò in uno stato di animosita, irritabilità,
irrequietezza o isteria tale da
sprigionare metaforico fuoco attraverso
gli occhi.
fuoco s.vo neutro
1 l'insieme degli effetti di calore e di luce che, nella
combustione, si manifestano con la fiamma;
2 (fig.) calore intenso (di febbre, di passione, di
sentimento), ardore; voce dal lat. fŏcu(m)→fuoco con tipica dittongazione della
vocale breve.
uocchie s.vo m.le pl. di uocchio = occhio, organo della
vista, di costituzione e fisiologia diverse secondo il tipo di animale;voce dal
lat. ŏcŭlu(m)→ ŏclu(m)→uocchio.
10.Menarse ‘a copp’abbascio(*)
Ad litteram:Buttarsi giú
dall’alto in basso Id est Suicidarsi precipitandosi dall’alto.
‘a coppa locuzione prepositiva ed avv.bio = da
sopra/dall’alto formato dalla preposizione da→(d)a→’a e dal s.vo coppa che è da un acc.vo tardo lat. cuppa(m) per il cl.
cupa(m) usato come parte invariabile.
abbascio avverbio =
abbasso,in giú, di sotto, in
basso
dalla loc. a basso, sul modello del fr. à bas; normale nel napoletano il
fatto che la sibilante s scempia o doppia seguíta da vocale evolvenel
gruppo palatale sci (cfr. súsia→sciúscia, coxa(m)→cossa(m)→coscia
etc.)
11.Menarse dint’ê vvrache Ad litteram: buttarsi nelle imbracature. Id est rallentare il proprio ritmo lavorativo,
lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedendo
a rilento, quando non addirittura con neghittosità.L'icastica
espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende
l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono
stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache
s.vo f.le pl. di vraca =1 in primis braca,
pantalone; 2per traslato imbracatura che serve ad imbracare le bestie segnatamente quelle da
soma; voce dal lat. volg. braca(m)→vraca
marcata su di una voce gallica.
12.Menarse dint’ê ccampane(*) Ad litteram:Gettarsi
nelle campane Id est Far le viste di essere insordito,stordito,
frastornato, chiamarsi fuori, dare ad
intendere di non essere nelle condizioni di comprendere di cosa si stia
parlando o che cosa occorra fare, evitare di farsi coinvolgere adducendo a
scusante improvvisa debilitazione come chi gettatosi a ridosso di campane in
funzione ne resti assordato, intontito e perciò fiaccato, stremato al segno di
non poter esser chiamato in causa o all’azione.
dint’ê preposizione articolata che riproduce l’italiano nelle, per formarla nel napoletano si fa
ricorso alla preposizione impropria dinto (dentro – in dal lat. dí intro→dint(r)o→dinto 'da dentro'); come ò già détto
alibi e qui ripeto: le locuzioni
articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano tutte una forma scissa, mantenendo separati
gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla
preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre
indefettibilmente aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione
articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: dentro la stanza, ma nel napoletano si
esige dentro alla stanza e ciò per
riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le
locuzioni articolate formate da dinto
a e dagli articoli ‘o (lo/il),
‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente
nel/néllo,nélla,negli/nelle.
campane s.vo f.le pl. di
campana = campana, strumento a forma di vaso rovesciato, solitamente di
bronzo, che viene percosso da un battaglio appeso nell'interno o da un martello
esterno; voce dal
lat. tardo campana(m), da (vasa) campana, propr. '(vasi di
bronzo) della Campania'
13.Menarse
sott’â bbannera. (*)
Ad litteram:Porsi sotto la bandiera
(vittoriosa) Id estSchierarsi con il piú forte, salire sul carro del
vincitore; in senso piú esteso
cercare il proprio tornaconto scegliendo lo schieramento piú favorevole che non richieda
eccessivo impegno e/o coraggio, ma che prospetti, con poco dispendio di
energie, ottimi frutti. La locuzione in esame è talora sostituita con
l’analoga Abbaccà cu chi vence che à una variante in Abbaccà addó vencelocuzione
che ad litteram vale : Andare con chi
vince e nella variante andare dove si
vince
Tali locuzioni stigmatizzano piú
di quella sub 13., il vile comportamento di chi per opportunismo pratico o
morale è solito balzare sul carro del vincitore e colludere con lui; tale sport
è - da sempre - lo sport tipico dell’italiano medio.
sott’â =
sotto la locuzione prepositiva articolata formata dalla
preposizione impropria sotto (dal lat. subtus, deriv. di sub 'sotto') addizionata
della preposizione articolata â che
corrisponde all’italiano alla in quanto crasi (scrittura
contratta/fusione) della preposizione a +
l’articolo ‘a cosí come alibi l’ ô corrisponde all’italiano allo/al in quanto crasi (scrittura
contratta/fusione) della preposizione a + l’articolo ‘o ed infine l’ ê corrisponde all’italiano alle/ a gli/ai in quanto crasi
(scrittura contratta/fusione) della
preposizione a + l’articolo ‘e. Il fatto è che solo pochissimi poeti e/o
scrittori napoletani ànno o ebbero
dimestichezza con le crasi o si rifiutano/rifiutarono di usarle
ritenendole troppo eleganti, di competenza dei solo addetti ai lavori e/o poco
popolari e di difficile fruizione per il pubblico medio. A mio avviso è
invece giusto ed opportuno che chi à
qualche piccola competenza piú degli
altri faccia proseliti, tirando le
orecchie (se occorre) anche a Di Giacomo, Eduardo e soci, con buona pace di
taluni intellettuali iconoclasti delle regole grammaticali d’antan!
Preciso
che la necessità dell’uso della preposizione articolata dipende dal fatto che nel napoletano, cosí come nell’italiano,
le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma
scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre
nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo,
nel napoletano occorre aggiungere alla
preposizione impropria non il
solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione
semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sotto
il tavolo, ma nel napoletano si esige sotto
al tavolo e ciò per riprodurre correttamente il
pensiero di chi mentalmente articola in
napoletano e non in italiano).
bannera s.vo f.le 1 in primis bandiera, drappo, insegna, vessillo, banda 2 per estensione schiera, schieramento,
drappello, fila, truppa, colonna, falange; voce adattamento locale (nd→nn/ié→è) di un provenz. di origine germanica bandiéra→bannèra,
abbaccà verbo intr.= andar con - colludere
(con) deriva da un latino medioevale ad + vadicare
frequentativo di vadere.secondo il seguente percorso morfologico ad-vadicare→ad-badicare→abba(di)care→abbaccare
In chiusura rammento che tutte le espressioni che qui ò contraddistinte con (*)
sono attestate oltre che con il verbo menà/menarse anche con il verbo vuttà/vuttarse e tale
vuttà/vuttarse =
buttare/buttarsi è analogo in tutte le accezioni al pregresso
menà/menarse anche se il
vuttà/vuttarse à un senso, un
significato,un tono,un carattere piú marcatamente irruenti.
Non mi pare ci
sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato
l’amico N.C. ed interessato qualcun altro
dei miei ventiquattro lettori e chi forte
dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele
Bracale
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