martedì 26 dicembre 2017

VARIE 17/1332



1.TU ME CIECHE E I' TE FOCO nella locuzione FACIMMO TU ME CIECHE E I’ TE FOCO.
Ad litteram: Tu mi accechi ed io ti strangolo nella locuzione facciamo tu mi accechi ed io ti strangolo.
Espressione usata, in ispecie con la locuzione indicata, per significare che si intende rispondere per le rime ad ogni azione ricevuta, ricambiando male con male, cattiveria con cattiveria, al segno che i rapporti derivanti saranno di lotta perenne, atteso che nessuno dei contendenti à in animo di voler recedere e di sopportare un torto subíto ; la locuzione un tempo era normalmente usata a sapido commento dei rapporti turbolenti dei ragazzi di casa in perenne contrasto tra di loro.
2.TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende, quale patente corruzione, dal greco froutha-froutha col medesimo significato di : allontanati, sparisci.
3.TU NUN CUSE, NUN FILE E NNUN TIESSE: TANTA GLIUOMMERE 'A DO' T''E CCACCE?
Ad litteram: Tu non cuci, non fili, né tessi, tanti gomitili da dove li tiri fuori?
E' questa l'ironica e chiaramente retorica domanda che si suole rivolgere a chi, notoriamente non occupato a fare oneste attività produttive, sia improvvisamente ed inspiegabilmente pervenuto ad accumulare ingenti quantità di danaro; lo gliummero della locuzione, normalmente - con derivazione dal lat. glomere(m) - significa gomitolo , ma talvolta sta per peculio, ed in particolare per una somma pari a ca. cento ducati d'argento che poteva esser messa insieme, senza lavorare , solo truffaldinamente.
4.TURNÀ A CCOPPE
Ad litteram: tornare a coppe id est: ribadire continuamente ed ostinatamente i medesimi concetti, ritornare impudentemente sui medesimi argomenti, già abbondandemente trattati e sceverati e farlo quindi inutilmente se non irritantemente. Modo di dire richiamante una ipotetica fase del giuoco del tressette, allorché un cattivo giocatore, contravvenendo i desideri del compagno, ritornasse erroneamente a mettere in tavola il seme di coppe, seme di cui il compagno sia sprovvisto di buone carte e dunque seme non confacente ad un proficuo continuar del gioco.Difficile, se non impossibile stabilire perché, dei quattro possibili: denari, spade, coppe e bastoni, per il modo di dire in epigrafe si sia scelto il seme di coppe; azzardo l'ipotesi, sulla quale però non son disposto a giurare, che sia avvenuto per un inconscio richiamo al manuale del giuoco del tressette scritto in latino maccheronico e napoletano arcaico da un giocatore del 1700, tale Chitarrella, il quale ebbe a scrivere: si nun tiene che ghiucà, joca coppe(se non ài di che giocare, gioca coppe) ammantando di immeritata importanza il seme ricordato; ma è solo un'ipotesi che per quanto probabile, non è avvalorata da alcun riscontro storico.
5.TURNÀ 'A STIMA A CQUACCUNO
Ad litteram: render la stima a qualcuno; id est: riconfermare la fiducia o anche il rispetto a qualcuno cui, per errore o transeunti, futili motivi erano stati tolti.

6.ABBASSO A LL’ ACQUAQUIGLIA
In un suo famosissimo sonetto: GENTILHOMMERIE  Libero Bovio scrive in un verso: ché se tu scendo abbasso all’Acquaquiglia, ed il carissimo amico N.C. [al solito, motivi di riservatezza mi impongono di  riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche] mi à chiesto, per le vie brevi, di chiarirgli, quale fósse la zona di Napoli presa in considerazione dal poeta, atteso che mi à detto di non aver mai saputo di una via o un quartiere napoletano chiamato Acquaquiglia. Confesso che la ricerca è stata faticosa, ma alla fine ne sono venuto a capo e posso dire, senza téma di smentite, che allorché il poeta parlò di “abbasso all’Acquaquiglia”,  intendeva riferirsi alla  zona Porto Basso,tra il Mandracchio e la vecchia Dogana del sale,  posta cioè all'incrocio tra via Conte Olivares e  via Molo Piccolo, zona  nota  tra il popolo della città bassa con il nome riportato dal poeta e mutuato da quello di un’antichissima fontana: “AQUAQUILIA” [fontana risalente al 1589, voluta dal fondatore della casata Borbone  Enrico IV di Borbone, detto Enrico il Grande (le grand) (Pau, 13 dicembre 1553 –Parigi, 14 maggio 1610), fontana che era ubicata all’altezza dell’angolo sud dell’incrocio tra le attuali Via Marchese Campodisola e Via Conte Olivares e che fu una di quelle demolite, al tempo del presidente del consiglio itagliano Agostino De Petris,  dalla furia iconoclasta degli addetti allo sventramento di Napoli, ipotizzato sin dalla metà dell'Ottocento, e portato a compimento a seguito di una epidemia di colera, avvenuta nel 1884, sotto la spinta del sindaco di allora, Nicola Amore; e cosí nel 1885, allo scopo – si disse -  di risolvere il problema del degrado di alcune zone della città che era stato, secondo il sindaco Amore, la principale causa del diffondersi del colera, si decise l'abbattimento di numerosi edifici tra i quali appunto la   Fontana dell'Aquaquilia. È chiaro che l’originario nome latino  Aquaquilia fu storpiato dal popolo della città bassa in ACQUAQUIGLIA e cosí conservato nella memoria di poeti d’antan. Quanto all’origine del nome AQUAQUILIA bisogna partire    da “Aqua Aquilia”, con l'idronimo aqua  determinato da un aggettivo derivato da un antroponimo, come è per la  romana Acqua Marcia (lat. aqua Marcia, dal pretore del 144 a.C Quinto   Marcio Re). Da un Aquilius prendono analogamente il nome la via  Aquilia (fatta costruire da Manlio Aquilio Gallo nel 65 a.C., da Capua  a Reggio Calabria) e la antica lex Aquilia, voluta probabilmente da un  tribuno della plebe. Il nome Aquilius è sicuramente attestato in  Campania dalle iscrizioni (Paestum, ma anche Capua, Ercolano, Miseno,  Pozzuoli).Con ogni probabilità all’epoca dell’edificazione alla fontana voluta dal Borbone fu dato un nome latineggiante nell’intento di farla apparire piú antica di quel che fósse.
Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun altro  dei miei ventiquattro lettori e  chi  forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale



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