mercoledì 11 marzo 2020

IL VERBO MAGNÀ E LA SUA FRASEOLOGIA


IL VERBO MAGNÀ E LA SUA FRASEOLOGIA
Nell’intento di contentare alcuni miei lettori che me ne ànno fatto richiesta illustro qui di sèguito alcune delle piú comuni locuzioni costruite sul verbo magnà/magnare. Premetto che
il verbo MAGNÀ (magnare) = mangiare   etimologicamente è una forma metatetica del francese manger→magner a sua volta   originata dal latino manducare incrociata con una voce popolare (gnam, gnam) di tipo onomatopeico e passo alle locuzioni:
1. MAGNÀ ‘E ‘RASSO
Ad litteram: Mangiare di grasso. Id est: avere o contentarsi degli scarti. Espressione usata a sarcastico commento delle azioni di chi pensi di ottenere dal suo operato risultati positivi  ed invece, quasi certamente, ne ricaverà poco o niente o addirittura i risultati saronno fallimentari. Nella locuzione si fa riferimento al fatto che per solito nel cibarsi di alimenti è d’uso  assumerne le parti migliori scartando quelle meno pregiate, tra le quali il grasso; chi invece, come nell’espressione, lo dovesse assumere dimostrerebbe di preferire scioccamente gli scarti  o di doversene  contentare.
2.'E MACCARUNE SE MAGNANO TENIENTE TENIENTE
I maccheroni vanno mangiati molto al dente: è questa la traduzione letterale dell'adagio che, oltre a dare una indicazione di buon gusto, sta a significare che occorre avere sollecitudine nella conduzione e conclusione degli affari.

teniente  è il plur. di  tenente = tenente( che è il part. pres. del verbo tenere e non l’omofono ed omografo grado militare che è dal fr. [lieu]tenant), e  con l’iterativo teniente,teniente ci si riferisce al modo di cottura della pasta che occorre far lessare brevemente, senza che si disfaccia  e nell’iterazione quasi superlativa teniente teniente vale molto pronti, quasi duretti come cosa che abbia tenuto la cottura evitando di ammollarsi eccessivamente; letteralmente il sg. tenente ed il pl. teniente sono, come ò detto, il participio presente del verbo tené (tenere) che è dal latino teníre, corradicale di tendere 'tendere'.
3.MAGNARSE ‘A REZZA D’ ‘O CORE

L’espressione in epigrafe che ad litteram vale: Mangiarsi la rete del cuore, nutrirsi del pericardio è un’icastica quantunque iperbolica locuzione usata in riferimento all’incresciosa situazione psicologica, interiore  di chi esacerbato, irritato, da qualcuno  a cui non riesca a rispondere, rendendogli pan per focaccia,  o di cui non riesca o non  si possa  liberare o ancóra in riferimento all’incresciosa situazione di chi sia  arrabbiato, stizzito per  qualcosa a cui non possa  porre o sia  incapace di porre rimedio e nell’un caso e nell’altro      si macera,  si tormenta, affligge o  angustia nel proprio essere quasi consumandosi e  sino quasi  ad iperbolicamente nutricarsi del proprio pericardio;  il tutto per significare quanto (per colui che si sente quasi costretto ad agire come nell’espressione in epigrafe) siano insopportabili, fastidiosi, irritanti, indisponenti, seccanti, molesti, fastidiosi gli avvenimenti o la persona che lo affliggono, lo tormentano lo angariano    al segno che l’oppresso, incapace di trovare una soluzione positiva  che lo soddisfi  finisce per sfogare la propria rabbia repressa su se stesso nutrendosi addirittura, iperbolicamente del proprio  pericardio.
In coda a tutto quanto détto preciso che la locuzione in epigrafe non va confusa con altra, a prima vista simile, ma che è – come dirò – molto diversa e che suona:
3bis. MAGNARSE ‘O CORE A PPEZZULLE; questa ultima che vale: Mangiarsi il cuore a pezzetti  infatti non fa riferimento alla situazione  di chi si tormenta, affligge o  angustia nel proprio essere perché non riesce a contrastare qualcuno o qualcosa che lo irriti, incollerisca, stizzisca, indispettisca o  sdegni ma – al contrario – configura il proponimento di quell’esacerbato che invece di macerarsi subendo inerte ,   intenda reagire e minacci l’antagonista vero o figurato di volersene  iperbolicamente  mangiare il cuore ridotto dapprima a pezzettini per comodità di deglutizione.
magnarse è l’infinito riflessivo  del verbo magnà (magnare).  
rezza  s.vo f.le 1 rete a maglie fittissime, usata per lavori di ricamo 2 rete da pesca.3 (come nel caso che ci occupa) pericardio,membrana sierosa che riveste il cuore,  omento, peritoneo, membrana sierosa che avvolge  la massa gastrointestinale con riferimento in primis a quello del maiale. voce dall’acc. lat.  retia  neutro pl. del sg. rētĕ( =rete);

core s.vo m.le cuore 1 (in primis.)  organo muscolare cavo a forma di cono, situato nella parte mediana della cavità toracica, con l'apice rivolto a sinistraè centro motore dell'apparato circolatorio;
2 (estens.) la parte del petto dove sta il cuore
3 (fig.) la sede degli affetti, dei sentimenti e delle emozioni; la parte più intima dell'animo;
4 (fig.) ardimento, coraggio;
5 qualsiasi oggetto a forma di cuore: core ‘e Maria [cuore di Maria], (bot.) pianta ornamentale con fiori rossi a forma di piccoli cuori (fam. Papaveracee)
6 il centro, la parte centrale o più interna di qualcosa (anche fig.)
voce dal nom. lat. cor
pezzulle = pezzetti s.vo m.le pl. del sg. pezzullo =pezzetto; pezzullo è il diminutivo del s.vo piezzo 1quantità, parte non determinata, ma generalmente piccola, di un materiale solido; 2   parte, porzione di un tutto, frammento;3 pezzo, parte,rattoppatura (piú spesso però, in tal senso al femm. pezza); etimologicamente pezzullo è ottenuto partendo  dal maschile piezzo che al  f.le è  pezza  ambedue   dal lat. medioevale pettia  di origine celtica, attestata nel lat. parlato  anche come petia e pecia; da notare che la forma maschile comporta rispetto al femminile la dittongazione popolare e→ ie  in sillaba seguita da due consonanti come altrove cappiello←cappello, castiello←castello etc.;al s.vo m.le piezzo è aggiunto il suffisso –ullo;  ollo/a –ullo   sono suffissi diminutivi di s.vi ed aggettivi; ambedue continuano il lat. ullus/a suffisso nato aggiungendo –ulus a termini in ur ottenendo dapprima urulus poi contratto in
-ullus; l’esito fu –ollo/-olla in Toscana ed –ollo/-olla oppure ullo in Campania ed Abbruzzo  ed –ullu/-uddu nell’estremo mezzogiorno.
4.E PPOVERA VIGNA MIA, CHI COGLIE E MMAGNA!
:
L’espressione esclamativa, da intendersi quasi ad litteram: Povera vigna mia (preda di) chi raccoglie e mangia (senza averne diritto) è un’espressione di rammarico che olim veniva colta sulle labbra di chi dovesse dolersi di veder le proprie sostanze reali [beni, denaro] o figurate [tempo, dedizione,affetto e/o amore] sprecate, se non dilapidate da congiunti prossimi o remoti o preda di profittatori ed opportunisti quando non speculatori ed addirittura avvoltoi, sciacalli adusi a trarre vantaggio  dalla bontà o insipienza altrui al segno di spoliarlo saccheggiando e razziando nei suoi beni veri o figurati.
Va da sé che la locuzione nacque in àmbito georgico, rurale, rusticano, rustico con riferimento a tutti coloro che profittando di poter facilmente accedere in una vigna incustodita ne godessero   dell’uva ivi ladronescamente raccolta.
pòvera agg.vo f.le =malagiata, meschina, misera, ridotta a mal partito voce dal lat. pop. pauper -a -um,  per il class. pauper -ĕris, composto  di paucus "poco" e parĕre "procacciare, produrre"; propr. "che produce poco" (detto, in origine, della terra).
vigna s.vo f.le =1 (in primis) terreno coltivato a viti, vigneto,pergola, pergolato. 2 (per metinomia anche) uva.
voce dal lat. vīnea, der. di vinum "vino".
còglie voce verbale 3ª p.sg. ind. pres. dell’inf. cògliere  1(in primis)tirare via dal terreno o da una pianta un frutto, spiccare, staccare, svellere dal terreno, sradicare,prendere, raccogliere.  2(figurato) trarre giovamento da una circostanza favorevole, da  un'occasione, approfittare (di), avvantaggiarsi (di), giovarsi (di), sfruttare. voce dal lat. collĭgĕre.
magna voce verbale 3ª p.sg. ind. pres. dell’inf. magnare/magnà alimentarsi (con), assumere, cibarsi (di), ingerire, nutrirsi (di), assumere cibo, pappare, rifocillarsi (con), sfamarsi (con), sostentarsi...Etimologicamente forma metatetica del francese manger  originata dal latino manducare incrociata con una voce popolare (gnam, gnam) di tipo onomatopeico.
5.MAGNARSE ‘E MACCARUNE
Ad litteram: mangiare i maccheroni id est:capire l’antifona, fiutare il pericolo prossimo, mettendosi in guardia.
Alibi, il medesimo concetto lo si esprime dicendo: addurà ‘o fieto d’‘o miccio id est: subodorare il puzzo della miccia accesa; in coda di questa esplicazione, mi soffermerò sui singoli vocaboli in epigrafe o richiamati; per intanto dico che la  locuzione  in epigrafe,   nasce dalla considerazione che gli abitanti del circondario partenopeo, (villici e cafoni)  accreditati di scarso acume, erano detti mangiafoglie, mentre i cittadini che si ritenevano piú scaltri  erano detti mangiamaccheroni ; per cui mangiarsi i maccheroni  equivaleva, nell’inteso cittadino, ad essere scaltri,  capaci di accorgersi  di ciò che stesse per accadere,   non facendosene  cogliere di sorpresa. Interessante notare come  il medesimo senso della locuzione in epigrafe sia reso in italiano con la locuzione mangiare la foglia  quasi volendo richiamare quello che altrove si afferma  dicendo che è il contadino (il mangiafoglie) quello ad aver il cervello fine, ad esser scaltro, certamente piú del cittadino (mangiamaccheroni). Per quanto riguarda l’espressione addurà ‘o fieto d’‘o miccio  e cioè annusare il puzzo del lucignolo o meglio  annusare il puzzo della miccia rammenterò che con la parola miccio (etimologicamente  dal fr. mèche, che è dal lat. volg. micca, per il class. myxa 'luminello, stoppino') , in napoletano si indica sia il lucignolo della candela che la miccia di un ordigno e nella fattispecie è questa seconda valenza che bisogna considerare  giacché l’espressione nel suo significato nascosto sta per: fiutare un pericolo, accorgersi  dell’approssimarsi di un danno; orbene il lucignolo della candela puzza quando da acceso diventi  spento, ma  allora non è foriero di alcun  pericolo, mentre la miccia di un ordigno quando è accesa e sprigiona un suo greve olezzo, allora prospetta un prossimo, pericoloso scoppio.
Ciò détto, ritorniamo all’espressione in epigrafe, ricordando ancóra  súbito  che magnarse è l’infinito riflessivo  del verbo magnà (magnare).  
maccarune/i plurale metafonetico del singolare maccarone = generica pasta alimentare, piú nota con varie specifiche denominazioni  giusta il formato di détta pasta: lunga o corta, bucata e non; etimologicamente il termine maccarone deriva,secondo alcuni, dal greco makaría= piatto di fave e fiocchi di avena, o da makariòs= beati o pasto funebre; a mio avviso però  è molto piú convincente l’etimologia che chiama in causa il  latino maccare = impastare e comprimere (rammenterò infatti che originariamente i maccaruni latini  furono essenzialmente della pasta casalinga (gnocchi) ricavata dall’impasto di farina, sale ed acqua; tale impasto veniva  schiacciato (maccatus) e tagliato in pezzetti poi compressi tal quale i greco - napoletani strangulaprievete  (vedi alibi).
 Rammenterò ora i piú noti formati  di détta pasta secca alimentare, cominciando da quella lunga e doppia:
Maccarune ‘e zite = maccheroni da ragazze da marito; in effetti tali lunghi e doppi maccheroni di formato cilindrico a sezione circolare di ca un cm. di diametro venivano e talvolta vengono ancora usati , spezzati a mano in pezzi di ca 4 cm. di altezza, variamente e sontuosamente conditi, nei pranzi di nozze  delle cosiddette zite (etimologicamente collaterale  popolare del toscano citta= ragazza nubile)  e cioè le ragazze da marito; faccio notare come la voce zite plurale di zita nel significato di nubile da sposare è voce femminile  e come tale al plurale preceduto dall’articolo ‘e, in napoletano va scritta con la geminazione della z iniziale: ‘e zzite laddove se è preceduta dalla preposizione ‘e (di) va scritta con la zeta scempia: maccarune ‘e zite;  passata ad indicare, nel comune parlar napoletano , un tipo di pasta secca alimentare  la voce zite à finito per essere intesa, come la maggioranza degli alimenti ( ‘o ppane, ‘o vino, ‘o ppepe, ‘o cafè etc.)  neutro  da scriversi e leggersi scempio, anche se preceduto dall’articolo ‘e : ‘e zite;
bucatine – pirciatielle = bucatini – foratini; bucatino = s. m.pasta alimentare consistente in un grosso spaghetto piuttosto doppio,  cavo e bucato per tutta la sua lunghezza, va da sé che il nome bucatino  è da collegarsi al fatto che tale tipo di pasta è bucata; la medesima bucatura centrale che percorre la pasta per tutta la sua lunghezza  la si ritrova nei pirciatielle grossi spaghetti piú doppi dei precedenti bucatini; poiché la voce verbale bucare (perforare) non è napoletana, se ne deduce che tra bucatine e pirciatielle la pasta piú tipicamente partenopea sia la seconda, atteso che il verbo bucare (perforare)  è reso in napoletano con la voce pircià (che è dall’antico francese percer) da cui derivano ‘e pirciatielle  che ci occupano;
ancòra, trattando di pasta doppia, abbiamo:
mezzane tipo di pasta cilindrica doppia e corta: 4 – 5 cm. di altezza, ampiamente forata a superficie liscia o rigata (per trattener meglio il sugo) etimologicamente da un  lat. medianu(m), deriv. di medi°us 'mezzo' atteso che tale formato di pasta fa quasi da mediano tra i formati lunghi e quelli corti;
maltagliate tipo di pasta simile alla precedente dalla quale si differenzia per aver, questa a margine le estremità tagliate, non perpendicolarmente rispetto all’asse minore, ma in maniera obliqua, tal quale le antiche penne d’oca usate per la scrittura: per tale taglio diagonale e non perpendicolare la pasta parrebbe quasi mal tagliata  donde il nome; taluni rammentando il taglio a becco obliquo delle antiche penne d’oca, usano chiamare tale formato di pasta penne, ma è voce piú moderno rispetto alla classica maltagliate;
mezzanelle/mezzanielle con tale formato di pasta molto simile ai pirciatielli, sebbene di calibro piú doppio ci troviamo di fronte al formato che fa da trait d’union tra i formati doppi e lunghi e quelli di transito come i mezzani, da cui con un pretestuoso vezzeggiativo diminutivo  traggono il nome sia che lo si intenda femminile (mezzanelle) sia che lo si intenda maschile (mezzanielle) rammenterò che mentre i perciatelli possono esser cotti e serviti, per come sono lunghi, questi a margine, per esser di calibro maggiore devono essere ridotti in pezzi di altezza di ca 3 cm.
Affrontiamo ora la vasta  qualità dei formati lunghi, ma sottili e di diverso calibro; abbiamo:
spavette id est: spaghetti =  pasta alimentare, di forma cilindrica lunga e sottile, che si mangia generalmente asciutta: spaghetti al...etc. la voce napoletana  è un derivato di spavo = spago che è dal tardo latino  spacu(m) con normale caduta della gutturale ed epentesi di un suono  di transizione v.
vermicielli id est: vermicelli (dim. di verme) =  pasta alimentare secca del tipo degli spaghetti, ma di calibro leggermente piú spesso;
linguine – lengue ‘e passere sia le prime che le seconde sono un tipo di pasta alimentare secca,  lunga e sottile, simile a tagliatelle (che vedremo) molto strette; ambedue i tipi (ma segnatamente il secondo traggono il nome dall’accostamento alla voce lingua (di passero) cui – per lo spessore – assomigliano;alibi (Liguria) le linguine son dette trenette (dim. del genov. trena 'cordoncino, passamano'; cfr. trina);
tagliarelle – tagliuline ecco due formati di pasta alimentare secca fettucce – fettuccine   che corrispondono ad un dipresso alle tagliatelle e tagliolini  che invece son paste alimentari fresche, all’uovo ricavate da una cosiddetta pettola (la voce napoletana pettola è quella che rende l’italiana sfoglia; dirò súbito che con il termine pettola si indica innanzi tutto l'ampia falda posteriore delle camicia,quella che dentro o fuori i pantaloni insiste sul fondoschiena; estensivamente, con il medesimo termine – come ò accennato - , si indica  quella  che in toscano è detta sfoglia, che si ottiene con l’ausilio del matterello ( rammento che la voce matterello, che è diminutivo di mattero, etimologicamente deriva da un antico latino mattaris o mataris= bastone, randello, voci probabilmente di origine gallica; talvolta nell’italiano televisivo/mediatico s’usa in luogo di matterello,  la voce mattarello,ma è uso errato in quanto mattarello è voce regionale (laziale));  con il  matterello  su  di una apposita spianatoia si stende e si assottiglia, portandolo ad un consono spessore,  l’impasto di farina, uova  e/o altri ingredienti, per ottenerne, opportunamente tagliata o riempita, pasta alimentare e/o altre preparazioni culinarie; la sfoglia ripiegata su se stessa e tagliata a nastro piú o meno largo dà le tagliatelle o i piú stretti tagliolini che derivano il loro nome dal verbo tagliare che è da un tardo lat.taliare, deriv. del class. talea 'piantone, bastoncino'; cfr. talea;
Tornando alla voce pettola  dirò che etimologicamente si fa derivare da un acc. latino: petula(m)con consueto raddoppiamento espressivo popolare  della dentale T in parole sdrucciole, con derivazione radicale dalla radice pet  di peto (lat.:peditum);e non se ne faccia meraviglia: si pensi a su cosa insiste la  originaria pettola!
Altra ipotesi, ma forse meno convincente, è che la pettola/pettula si riallacci al basso latino: pèttia(m)=pezza,nella forma diminutiva pettúla(m) e successivo cambio di accento che abbia dato péttula: questa etimologia può solleticare, ma è lontana dalla sostanza della péttola napoletana che non indica una piccola pezzuola quale appunto è la pettúla, ma, al contrario, un’ampia falda di stoffa  o una congrua sfoglia di pasta.
Riprendiamo il ns. excursus sui varî formati lunghi di pasta  alimentare secca; abbiamo:
lagane e  laganelle  che sono delle fettuccine piú o meno larghe; esse derivano il loro nome dal matterello con il quale si ricavano nella versione  domestica all’uovo; in napoletano il matterello, cosí come il tagliere per la sfoglia  è detto laganaturo (che è da un originario greco laganon, latinizzato nel neutro plurale lagana poi inteso femminile.
Un tipo particolare di laganelle larghe circa due cm. ed andulate  per tutta la lunghezza  dei due bordi sono le manfredi  un tipo di pasta molto datata, originaria pugliese e precisamente della città di Manfredonia donde il nome in onore del re Manfredi di Svevia (n. 1232ca - † 1266) che  fondò la città  nel XIII sec.
E passiamo ad illustrare i formati corti delle paste alimentari secche; abbiamo:
don Ciccillo ‘ncruvattato letteralmente: don Franceschino con la cravatta  che sono dei grossi tubettoni  cosí chiamati con riferimento a taluni antichi alti e duri colletti da camicia usati  quando si indossassero  ampie e congrue cravatte (che è dal fr. cravate, adattamento del croato hrvat 'croato'; propr. 'croata', poiché designava all'origine la sciarpa portata al collo dai cavalieri croati del sec. XVII);
tubbette  e tubbettielle pasta corta cilindrica piú o meno grande con derivazione diminutiva e/o vezzeggiativa dalla voce tubo  (che è dal lat. tubu(m); rammenterò che tali tipi di pasta assumono, secondo le varie industrie produttrici di  paste alimentari, i piú svariati nomi sui quali non mi  soffermo, mentre nel popolare parlare partenopeo tubbette  e tubbettielle  vengon detti paternoste o avemmarie  secondo che siano piú grossi (paternoste)  o piú piccoli (avemmarie)  con riferimento – quanto al nome – non alle omonime preghiere, ma ai grani della corona  del  Rosario  nella quale i grani per contare le avemarie sono piú minuti di quelli che segnalano il padrenostro;
elenco ora, infine, i principali formati minuti di paste alimentari secche  usate per esser cotte in brodo o in minestre; e sono:
anellette cosí chiamati per aver la forma di piccoli anelli;
semmenze ‘e mellone cosí chiamati per aver la forma dei semi del melone (dal lat. tardo melone(m), nom. mílo, forma abbr. di melopepo -onis, che è dal gr. mílopépon -onos, comp. di mêlon 'melo, frutto' e pépon 'popone) che è frutto ovoidale a pasta bianca o gialla dolce e profumata, ricchissimo di semi giallastri, frutto  da non confondere con il cocomero (che è dal lat. cocumere(m) dalla polpa rossa ed acquosa con semi radi, piccoli e neri;
sturtine il cui nome deriva dal fatto che detta pasta à la forma di un tubicino di piccolissimo calibro, piegato a mo’ d’archetto  tal d’apparire storto/stuorto (p.pass. del verbo storcere che è dal lat. torquére 'strappare a forza girando o piegando, con tipica prostesi di una S intensiva);
rosamarina cosí chiamati per aver la forma degli aghi del rosmarino ( di cui la voce partenopea rosamarina è corruzione), pianta arbustiva con piccole foglie lineari persistenti e fortemente aromatiche e fiori in spiga violacei, profumati; detta pianta  viene coltivata per le foglie, usate come aromatizzante in cucina, e per le infiorescenze, da cui si estrae un olio essenziale impiegato in profumeria.   (etimo: ros marinu(m), propr. 'rugiada di mare', cosí detto perché cresce spontaneo nelle zone costiere mediterranee);
ponte d’aco = punte di ago: è un tipo di pasta secca alimentare di  formato piccolissimo, lanceolato tal quale le punte degli aghi donde trae il nome;
acene ‘e pepe  altro tipo di pasta secca alimentare di  formato piccolissimo usato soprattutto per l’alimentazione di bambini piccoli e sdentati, non necessitando, per esser deglutito, di lunga e faticosa masticazione; va da sé che il nome gli deriva dal fatto di somigliare quasi ai piccoli acini/acene (dal lat. acinu(m)) di pepe (che è dal lat. piper piperis, dal gr. péperi, voce di orig. orientale) la notissima pianta tropicale rampicante le cui bacche rotonde, nere, di forte aroma, sono usate intere o opportunamente macinate come condimento.
E fermiamoci qui con l’elencazione dei formati della pasta secca alimentare, facendo un passo all’indietro per rammentare che con la voce generica maccarone, nella parlata napoletana si intende per traslato ed estensivamente la persona sciocca, il babbeo, lo stupido, anche se in tale accezione il napoletano suole dire: maccarone senza pertuso, e cioè maccherone non bucato nella convinzione che la pasta secca alimentare migliore sia quella lunga doppia, ma forata come zite, perciatelli etc., mentre spaghetti, vermicelli, fettuccine e similari siano di qualità inferiore; tanto è vero che s’usa dire: meglio unu maccarone ‘e zite ca ciente vermicielle ! di talché lo sciocco, il babbeo è ‘nu maccarone che sia però senza pertuso (= buco, foro da un lat. pertusiu(m) derivato di pertundere).
maccarone sàuteme ‘ncanna! = maccherone saltami in gola!  detto di chi sia cosí tanto inetto, svogliato ed incapace di fare alcunché al segno di non sapersi o volersi nutrire da sé ed attendersi, addirittura!, che il cibo (maccherone) gli piova in gola  per modo che gli sia evitato il fastidio di portare il cibo alla bocca;
 sàuteme = salta a me; voce verbale dell’infinito sautà (che sia pure attraverso il francese  sauter  donde è pervenuto al napoletano è riconducibile al lat. volgare saltare  frequentativo di salire; normale il passaggio di al→au;
‘ncanna = in gola; da in +    canna  (che è dal lat. canna(m), dal greco kanna) di per sé nome di vari oggetti di forma tubolare: canna di un'arma da fuoco; canne dell'organo; canna della bicicletta:  il tubo orizzontale del telaio; canna fumaria, il condotto del camino, qui sta per gola, esofago, condotto respiratorio, tubo digerente;
maccarune vierde vierde o teniente teniente = maccheroni verdissimi  o molto tenenti (che abbiano retto la cottura senza diventar molli) cioè pronti, duretti, di giusta cottura; a Napoli i maccheroni non vanno eccessivamente lessati, soprattutto quando si tratti di pasta lunga e non doppia!
vierde letteralmente verde, ma nell’espressione richiamata e nell’iterazione superlativa vale molto pronto, quasi duretto  come un frutto che fosse non del tutto maturo e fosse perciò quasi verde ( che è dal lat. viride(m), deriv. di viríre 'verdeggiare'.
teniente o tenente = tenente, ma  nell’ espressione e nell’iterazione
 superlativa vale molto pronto, quasi duretto  come cosa che abbia tenuto la cottura evitando di ammollarsi eccessivamente, cosí come ò già détto antea; letteralmente le voci a margine sono il participio presente del verbo tené (tenere)  che è dal latino teníre, corradicale di tendere 'tendere'.

‎ In tema di consigli teorici e pratici sul modo di assumere i maccheroni rammento l’antichissimo:
6.'E MACCARUNE SE MAGNANO GUARDANNO 'NCIELO! Id est: i maccheroni si mangiamo tenendo il viso rivolto verso l’alto (con la bocca spalancata). E ciò ovviamente per favorire l’immissione nella medesima bocca di una piccola porzione di pasta che olim veniva prelevata dal piatto, tenuto in grembo,senza aggomitolarla con una forchetta ma con l’ausilio di pollice indice e medio, sollevata verso l’alto e di lí calata nella bocca. Ò parlato di espressione/consiglio antichissima perché essa nacque tra la fine del ‘700 ed i princípi dell’ ‘800 e tenne campo fino a tutto il 1870 quando con l’invasione piemontarda (coadiuvata dalle bande garibaldesche) e la fine del Reame delle Due Sicilie si dismise l’abitudine di mangiare per istrada la pasta venduta da maccaronari girovaghi che servivano di preferenza pasta a trafila lunga e sottile (vermicelli) lessata al dente, cosparsa di pecorino e pepe e consegnata a gli avventori in piccoli piatti di banda stagnata; tale pietanza dal costo di due grani fu détta ‘o doje allattante(in bianco) in quanto pasta semplicemente lessata; dopo l’avvento del masnadiero nizzardo accanto al doje allattante si prese a servire a richiesta una pasta non piú semplicemente lessata e guarnita di formaggio e pepe, ma condita altresí con una cucchiaiata di salsa di pomidoro e tale pietanza fu détta ‘o tre ccalibbarde in riferimento al rosso delle camície (in origine camisacci da lavoro usati dagli operai nei macelli d’Argentina)indossate, quale divisa,  dalle bande garibaldesche ed il  costo di détta pietanza  fu appunto di tre grani.
Il grano napoletano fu una moneta di modicissimo valore corrispondente a 4,365 lire italiane;nel medesimo periodo vi fu una moneta détta tornese che corrispondeva al valore di due grani cioè a 8,73 lire italiane per cui con solo un tornese ci si poteva sfamare con un piatto di pasta in bianco, mentre con appena dieci lire ed ottanta si poteva consumare un piatto di vermicelli con sugo di pomidoro.
màgnano voce verbale 3ªpers. pl. ind. pres. dell’infinito magnare/magnà = mangiare.
In chiusura di tutto quanto trattato rammenterò altre due tipiche icastiche espressioni partenopee che chiamano in causa i maccheroni; e sono:
È ccaruto ‘o maccarone dint’ ô ccaso  letteralmente: È cascato il maccherone nel cacio id est: si è verificata una circostanza estremamente favorevole ed inattesamente proficua: per solito e normalmente è il cacio  ad esser cosparso sui maccheroni, qui invece il maccherone casca e si rotola addirittura nel formaggio  che viene per ciò ad essere attinto cosí tanto copiosamente  da risultare cosa eccessiva quantunque gradevole e gradita; caruto = caduto voce verbale (part. pass.) dell’infinito cadé (cadere) che è dal  lat. volg. cadíre, per il class. cadere con tipica alternanza mediterranea D/R; caso = cacio, formaggio (dal lat. caseu(m));
- Mmità a ccarne e mmaccarune letteralmente: Invitare a (desinare) carne e maccheroni, ma per traslato: Fare una proposta molto allettante, invitare qualcuno a partecipare ad un avvenimento oltremodo gradevole; un tempo, stante la grande miseria popolare dei napoletani, satollarsi improvvisamente  – magari a sbafo – di carne e maccheroni  fu ritenuto una gran fortuna; la carne ed i maccheroni furono, un tempo il pasto domenicale dei napoletani, pasto che ben difficilmente poteva venir consumato nei giorni feriali, se non per elargizione munifica di qualcuno.
‘Mmità voce verbale, infinito del verbo ‘mmità (‘mmitare) che è invitare
l’/etimo è dal latino  invitare  composto dalla particella in + vitare (dove vitare dovette significare volere  e cioè: invitare qualcuno = voler qualcuno in un (consesso) in un (banchetto) etc.
La strada seguíta per pervenire  a ‘mmità partendo da invitare  è quella che prevede l’aferisi della vocale nella sillaba d’avvio e la successiva assimilazione progressiva che da nv porta ad mm come altrove che da invece  portò a ‘mmece, inventare  che condusse ad ammentà  e poi ‘mmentà  etc. In coda aggiungo l’espressione
'NU MACCARONE, VALE CIENTO VERMICIELLE. ppure MEGLIO ‘NU MACCARONE CA CIENTO VERMICIELLE
Letteralmente: Un maccherone, vale cento vermicelli.oppure  meglio un solo maccherone, che cento vermicelli Ma le locuzioni non si riferiscono alle pietanze in sé. Il maccherone delle locuzioni adombra la prestanza fisica ed economica che la vincono sempre sulle corrispondenti gracilità, quantunque strictu sensu un maccherone (pasta doppia) sia veramente preferibile per gusto  a cento vermicelli (pasta sottile).
7.PARÉ ‘A GATTA D’ ‘O STURENTE CA MAGNA E S’ALLAMENTA 
Letteralmente: Sembrare la gatta dello studente che mangia e si lamenta;locuzione usata  per sarcasticamente bollare la pessima,incomprensibile abitudine  delle persone [soprattutto donne] che tengono, per partito preso, un ingiustificato comportamento  immotivatamente lagnoso, uggioso  e piagnucoloso anche in occasioni del tutto gradevoli, quale quello  del mangiare. Protagonista della locuzione è una gatta (presumibilmente femmina) atteso che  - la locuzione viene di preferenza riferita ad una donna ed al suo comportamento;nell’ espressione in esame  però la gatta non è piú la strana bestiola [cfr. alibi] della  sié Maria di altra locuzione adusa a lamentarsi se felice ed a ridere se scontenta,  ma è la bestiola [forse tenuta come domestico animale di compagnia] d’un non meglio identificato studente che entra nella locuzione soltanto per fornire una rima al verbo allamenta,tenendo presente che nell’idioma napoletano, quando non siano parole tronche accentate sull’ultima sillaba,  le vocali finali delle parole son tutte pronunciate in modo evanescente e/o debole per cui un’acconcia rima con allamenta  può esser fornita da qualsiasi parola terminante ovviamente in ènta, ma pure in ènte o ènto  e sturente può rimare tranquillamente con allamenta!
E qui penso di poter far punto convinto se non  d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto almeno gli amici, tra i quali  P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente  chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
 Raffaele Bracale






Brak




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