PRIÉZZA
L’amico A.M. (che i consueti problemi di riservatezza mi impongono
di identificare con le sole iniziali) mi à chiesto di illustrargli la parola in
epigrafe.
Gli ò cosí risposto: La voce napoletana a margine, attestata anche
come prejezza
antica e desueta come che soppiantata
indegnamente da termini quali: alleria,
allerezza, addecrio [che però non riescono semanticamente a coprire l’ampio
ventaglio dei suoi significati] si può
rendere con le voci italiane:contentezza,grande
gioia,letizia,e persino tripudio;
piú in generale essa voce, usata al singolare indica una manifestazione
rumorosa d’allegria, di gioia, di soddisfazione; quando è usata
al plurale (priézze) sta ad indicare
anche le moine,le
smancerie, i gesti d’affettuosità dei bambini, e talvolta degli adulti nei confronti dei proprî genitori;circa l’etimo della voce in epigrafe c’è gran
confusione: qualcuno, come l’amico C.
Iandolo pensa ad un deverbale di priarse= gioire, rallegrarsi forse da un tardo latino precari sibi= pregare per sé(con fiducia e speranza), qualcun altro, come il Cortelazzo lesse in priézza/prejezza
un ant. francese presier .Infine l’amico Renato de Falco
rifacendosi al REW [Romanisches Etymologisches Wörterbuch] propende
per un lat. pretium. Non trovo sufficientemente convincente nessuna ipotesi e, nel dubbio,
meglio, a mio avviso,affidarsi al
D’Ascoli, che sulla scorta di Rohlfs,
optò per una derivazione dal catalano prehar da collegarsi ad un basso latino *pretiare [sibi]= allegrarsi E qui penso di poter far punto
convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A.M. ed interessato
qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in questa
paginetta.Satis est.
Raffaele
Bracale
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