SPANNE ‘STI PPENNE E PPO
VALL’ÂRRECUCCHIÀ
Mi è stato chiesto, via e-mail, dal
caro amico A. A. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad
indicare solo le iniziali di nome e cognome) di spendere qualche parola per
illustrare significato, portata ed origine della locuzione in epigrafe.
Mi sbrigo súbito
dicendogli che si tratta di un’icastica, datata locuzione, di origine contadina,
trasmigrata nella città bassa a far tempo dal 1764 circa,nel periodo del
passaggio dei Padri Passionisti, come predicatori e missionari della parola
della Croce, ovunque, nelle piccole o grandi città dove si recavano a predicare in uno o più gruppi di missionari passionisti per evangelizzare,
per dare conforto e speranza, per riavviare un processo di impegno pastorale,
spesso segnato dalla stanchezza o dall’abitudine, oppure potenziare il cammino
spirituale e apostolico delle singole parrocchie o di intere città e vi
portavano con l’esempio prima e con la parola poi la catechesi sistematica a tutte
le ore, l’amministrazione del sacramento della riconciliazione, di incontri
pastorali per gruppi o per categorie di persone, di visita agli ammalati, di
visite pastorali alle famiglie del territorio servendosi nel loro eloquio,
anche di aneddoti o raccontini semplici ed istruttivi che esemplificassero
quanto anche in confessione venivano dicendo ai penitenti. Nella fattistispecie
dell’espressione in esame, da rendersi ad litteram: “Spargi queste penne e poi
va’ a raccoglierle!” che si usa per significare quanto sia difficile porre
riparo ad una maldicenza profferita, che – una volta uscita dalla bocca di un
diffamatore è quasi impossibile fermare nel suo espandersi, cosí come le penne sparse in giro – non possono
essere piú raccolte, per cui è buona norma morale oltre che civica astenersi da
qualsivoglia calunnia che si sa donde parte, ma non dove può giungere. L’aneddoto
sotteso all’icastica locuzione si riferisce alla penitenza che un confessore
impose ad una sua penitente, una contadina che s’era accusata di aver
spettegolato ingiustamente di una sua vicina di casolare: Il confessore le
impose come penitenza di spiumare un’oca e di spargerne le penne all’aperto
dell’aia, cercando súbito dopo di recuperarle senza che nessuna sfuggisse alla
raccolta. Si narra che la contadina non vi riuscisse e tornata[stanca
dell’immane fatica senza frutto], piú pentita che mai dal confessore, solo piangendo calde lacrime ottenne che la
penitenza fosse mutata in offerta di cibo e danaro per il convento.
Ârrecucchià voce verbale
tr. Inf.
raccogliere,raccorre, recuperare, riprendere.Eimologicamente:
intensivo di accucchià attraverso Ad + r + copul-are > arrecopplare>arrecocchià/arrecucchià.
E qui penso di poter
far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A. A. ed interessato qualcun altro dei miei
ventiquattro lettori e piú genericamente
chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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