VOTTA ‘A PASTA, VO’!
Il caro amico A. V. (i consueti problemi di riservatezza mi
costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) di spendere qualche
parola per illustrare significato e portata dell’espressione napoletana in
epigrafe. Gli ò cosí risposto:
Caro amico la locuzione di cui mi chiedete [talora
riscontrabile, nella città alta, anche nella forma: Mena ‘a pasta, me’! non so
cosa vi faccia supporre che sia di
recente conio. Infatti è piuttosto datata e non è legata ad un particolare episodio.Essa tradotta ad
litteram recita: Butta la pasta, butta! Ed al di là del perentorio invito alla
cottura della pasta per il desinare giornaliero è locuzione usata per
sollecitare qualcuno [in genere un perditempo]ad attendere con maggior solerzia
ad un compito affidatogli quasi che lo stomaco reclamasse quella pasta che il
perdigiorno tarda a lessare.Si tratta insomma in origine di un’espressione
icastica tipica della città di Napoli dove, già da tempo remoto, allo scoccare
delle quindici [piú semplicente delle tre] il desco doveva essere imbandito e
la pasta scodellata e gli uomini di casa per nulla al mondo avrebbero derogato
dal suddetto orario collimante
anticamente all’ora nona [vintun’ora] cioè a quella successiva all’ora
del termine del lavoro [ cioè alle 14 dette vint’ora] e pertanto, considerata
ad abundantiam un’ora quale tempo
occorrente per tornare a casa dal posto di lavoro, l’ora nona fu quella consona
e momento adatto per il desinare. E qui penso di poter far punto convinto
d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A. V. ed interessato qualcun altro dei miei
ventiquattro lettori e piú genericamente
chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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