SÎ ‘NA ZUPPA ‘E CACHISSE ‘NZUARATE
Questa volta è stato il
caro amico P. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad
indicare solo le iniziali di nome e cognome) a
chiedermi via e-mail di chiarirgli
significato e portata dell’ icastica espressione partenopea in epigrafe.
Ò principiato con il dirgli che si tratta di
un’espressione relativamente vicina a noi nata prendendo a riferimento il
frutto del cachi che originario dell’ Asia, si diffuse intorno alla metà
dell'Ottocento in America ed in Europa;
in Italia fu introdotto nel 1880 e il successo fu subito straordinario
ed i primi impianti specializzati in Italia sorsero nel Salernitano, in
particolare nell'Agro Nocerino, a partire dal 1916, estendendosi poi in
Sicilia, dove fu selezionata una
particolare varietà, mentre la cultura si
diffuse su tutto il territorio, soprattutto in Campania ed Emilia con vaste produzioni. A Napoli, ma anche nella
provincia tale frutto autunnale è
tutt’ora molto apprezzato soprattutto
nelle zone piú popolari della città bassa dove nacque [intorno al 1950]
l’espressione in esame che venne e
talora viene usata ad iperbolico,
sarcastico dileggio di ogni individuo che risultasse o risulti carente di una qualsivoglia dote umana, vuoi avvenenza,vuoi
istruzione,vuoi acume sollevando addirittura, nelle sue
manifestazioni, l’ilarità degli astanti che furono e sono facultati a deriderlo definendolo “zuppa di
cachi allappanti ; ò parlato di
iperbolico,(sarcastico) dileggio perché il frutto del cachi non si consuma
sotto forma di zuppa, men che meno quando sia insorbato cioè allappante ,
allegante i denti,ma direttamente a
morsi[la varietà piú morbida] o a fettine [la varietà piú soda]; rinvio ad
ultra la spiegazione dell’uso traslato dell’aggettivo ‘nzuvarato/’nzuarato.
A questo punto conviene ch’io dica che il termine cachisso è la resa in
napoletano della voce cachi o kaki [agg. e s.vo m.le che è dall’indostano khākī, der. del pers.
khāk «polvere»], marcata però sulla forma plurale kakis. Quanto al termine ‘nzuvarato/’nzuarato
mi limito a riportare qui quanto scrissi, reputo esaurientemente alibi tempo
fa: si
tratta di due forme leggermente diverse
di un unico part. passato del verbo ‘nzuvarà/’nzuarà = allappare, allegare i
denti (riferito a della frutta( e su tutta rammenterò appunto il cachi) che non
avendo raggiunto la dovuta maturità, risulti alla masticazione aspro e legnoso
tale appunto da allappare, allegare i denti; da notare che stranamente le voci
in epigrafe pur essendo un participio passato, si traducono come se si
trattasse di un participio presente per cui ‘nzuvarato, ‘nzuarato si rendono
non (come sarebbe corretto) con
allappato, allegato ma con allappante,
allegante i denti, mentre in senso traslato valgono che rende poco apprezzabile
o addirittua del tutto trascurabile
cosa che semanticamente si spiega con il fatto che un frutto non maturo
poco si presta ad esser gustato rendendosi cosí non solo pregevole, rilevante,
degno, meritevole, ma risulta insignificante, dozzinale, spregevole. quindi , trascurabile da parte di chi evita di
mangiarne.Passando alla questione
morfologica ed etimologica comincerò col dire che due dei piú consultati
calepini della parlata napoletana ( il D’Ascoli e l’ Altamura) stranamente (ma
non mi meraviglierei se si fossero
copiati pedissequamente l’un l’altro...) accanto alle corrette voci in epigrafe, elencano uno scorretto e –
reputo - inesistente infinito ‘nzuvarí/‘nzuarí
donde deriverebbero (che pretese!) nzuvarato, ‘nzuarato laddove chi
appena appena mastichi di idioma napoletano può cogliere l’incongruenza di
voler ottenere un participio
passato in ato da un verbo della terza
coniugazione cioè in ire che al massimo
avrebbe potuto generare nzuvarito, ‘nzuarito, non certamente nzuvarato,
‘nzuarato che son figli dell’infinito ‘nzuvarà/‘nzuarà della 1° coniugazione. Quanto
all’etimologia una comune corrente di pensiero
(cui peraltro aderí un tempo il
D’Ascoli (parce sepulto!) e pure l’amico prof. Carlo Iandolo, (anche lui
passato nel mondo dei piú...) parla di una derivazione dal lat.in (illativo) +
suber = sughero, arzigogolando che un sughero addendato produca sui denti e
tutta la bocca una sensazione spiacevole, tal quale quella che produce un
frutto non maturo se addentato. Mi spiace per l’amico Iandolo, ma la strada
semantica che propone mi pare impervia e perciò non percorribile. chi o perché
mai dovrebbe addentare (per assaporarlo) un sughero?; reputo che sia piú
corretto e semanticamente vicino al vero pensare per ‘nzuvarà/‘nzuarà, una
derivazione dal lat.in (illativo) + una lettura metatetica di sorbum = sorbo il
cui frutto sorba raccolta ancòra acerba è messa a maturare su di un letto di
paglia e qualora questo frutto venga addentato prima della dovuta maturazione
risulta (questo sí!) allappante ed allegante denti e bocca. Comunicai, per le
vie brevi, all’amico Iandolo questa mia ipotesi e la riconobbe piú corretta e
semanticamente vicina al vero di quella sposata oggi da lui ed un tempo dal D’Ascoli.
Un ultima precisazione; se mi si chiedesse quale delle due voci in epigrafe
sia la piú corretta direi che nel
linguaggio popolare sono usatissime ambedue, epperò la prima: ‘nzuvarato la si
ritrova maggiormente nello scritto e mi
appare quella morfologicamente piú rispondente all’etimo (sia pure con la
tipica alternanza partenopea b/v) , laddove la seconda: ‘nzuarato è dell’àmbito
del parlato con sincope della v ritenuta pleonastica e retaggio forse di
un’antica epentesi eufonica.
E qui penso di
poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G.
ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú
genericamente chi dovesse imbattersi in
queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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