mercoledì 6 dicembre 2017

VARIE 17/1238



1.NUN TENÉ PILE 'NFACCIA E SFOTTERE Ô BARBIERE
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che, mancando degli elementi essenziali per fare alcunchè, ci si erga ad ipercritico e spaccone.È l’atteggiamento tipico dei saccenti e/o supponenti.
2.NUN TENÉ VOCE 'NCAPITULO.
Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione non à nè l'autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla, per cui è buona norma che taccia e non esprima giudizi o pareri.
3.NUN VULÉ FÀ CARTE
Cominciamo con il dire che l’espressione è mutuata ovviamente dal giuoco delle carte e che l’espressione è da tradursi con Non voler distribuire le carte e non con un inconferente Non voler fabbricare le carte come – inorridendo – mi occorse di cogliere sulle labbra di uno spocchioso, ma sprovveduto docente universitario, sedicente cultore esperto [a sentir Lui] di proverbi e/o locuzioni partenopee. In effetti l’espressione fare le carte è usata anche fuor dell’àmbito napoletano e vale distribuire le carte o talora, se riferito ad un/una cartomante, sta per leggere le carte, ma in nessun caso fabbricare le carte Tanto premesso partendo come détto dall’esatta traduzione Non voler distribuire le carte è facile cogliere che con l’espressione ci si riferisce ad un soggetto che prepotente ed arrogante non intende mai assumersi il còmpito di cartaro,sia cioè restio a farsi carico di svolgere il còmpito che invece in ògni giuoco di carte deve essere svolto per avvicendamento da tutti i giocatori,; il soggetto di cui dico invece pretenderebbe di esser sempre servito di carte, piuttosto che farle, per poter aprire il giuoco a suo piacimento e non esser costretto (da cartaro) a chiuderlo accodandosi al giuoco altrui. In tal senso colui che non vuol far carte è il soggetto che in ogni occasione non intende addivenire ad alcuna proposta e si dimostra riottoso ad accodarsi alle altrui idee o iniziative, recalcitrante persino a discuterne; è il soggetto che presuntuoso e supponente si pone davanti la realtà contigente con la boria di avere Lui le soluzioni adatte ad ògni tipo di problema mostrandosi indocile all’accoglimento di proposte che abbiano fatto altre persone e senza distinguere se si tratti di cattive o di buone, di perseguibili o campate in aria. Vengono da altri? Ed allora, per il saccente che non vuol far carte, non sono accettabili e non mette conto neppure discuterne!
In senso esteso infine l’espressione in epigrafe si attaglia a qualsiasi persona sia restia ad addivenire ad alcunché; per cui ad es. nu’ vvo’ fà carte una ragazza che rifiuti le avances di un corteggiatore, nun vo’ fà carte un genitore che rifiuti di soddisfare le richieste pecuniare d’un figliolo, nun vo’ fà carte una mamma che opponga un rifiuto al desiderio d’ una figliola che vorrebbe un abito nuovo, nu’ vvo’ fà carte una moglie che respinga l’istanza di preparare un’elaborata pasta al forno o che opponga alle richieste del coniuge, un improvviso mal di capo e cosí via.
4.NUN VULÈ NÈ TTIRÀ, NÈ SCURTECÀ...
Non voler né tendere, né scorticare - Cioè: non voler assumere alcuna responsabilità; locuzione mutuata dall’atteggiamento di taluni operai conciatori di pelli quando non volevano né mantener tese le pelli, né procedere alla relativa scuoiatura.
5.NUNN’ ACCUCCHIÀ NIENTE
Letteralmente Non accoppiare nulla, id est non sapere o non riuscire mai a concludere nulla di positivo, non essere mai in grado di far collimare pensiero ed azione giungendo a risultati concreti. L’espressione è usata appunto nei confronti di chi impreparato, inetto ed incapace non possa mai addivenire concretamente ad un risultato frutto dell’unione di una esatta teoria con la operosa pratica.Il verbo accucchià = accoppiare, unire mettere insieme è un denominale del s.vo cocchia(da un lat. volg. cop(u)la(m)→copla(m)→cocchia con il tipico passaggio del gruppo pl a chi, come in pluere→chiovere, plaga→chiaja, platea→chiazza, plumbeum→chiummo, plattu-m→chiatto etc. ) = coppia attraverso un ipotizzato *adcopulare→accoplare→accucchiare.
BRAK

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