sabato 11 gennaio 2020

VARIE 154



VARIE 154
1.'A CERA SE STRUJE I 'A PRUCESSIONA NUN CAMMINA.
Letteralmente: le candele si consumano, e la processione non cammina. La locuzione viene usata quando si voglia con dispetto sottolineare una situazione nella quale, invece di affrontare concretamente i problemi, ci si impelaga in discussioni oziose, vani cavilli e dispersive chiacchiere che non portano a nulla di concreto.
2.‘O PATATERNO DÀ PANE A CCHI NUN TENE  DIENTE!
Dio dà spesso il pane a chi non à i denti per mangiarlo!
Id est: a volte accade che iperbolicamente,  persino  l’Onnipotente erri concedendo benefici a chi non li meriti e non ne sappia godere.
3.TUTTO PO’ ESSERE, FORA CA LL'OMMO PRIÉNO.
Tutto può essere, fuorchè l'uomo incinto. La cosa è ancóra vera anche se l'alchimie della moderna scienza non ci permette di esserne sicuri... La locuzione viene usata per sottolineare che non ci si deve meravigliare di nulla, essendo, nella visione popolare della vita, una sola cosa impossibile.
4.È FERNUTA 'A ZEZZENELLA!
Letteralmente: è terminata - cioè s'è svuotata - la mammella. Id est: è finito il tempo delle vacche grasse, si appressano tempi grami!
La voce zezzenella è un s.vo f.le collaterale di zezzella s.vo f.le diminutivo di zizza= mammella (dal lat. titta(m)→zizza.
5.È MMUORTO 'ALIFANTE!
Letteralmente: È morto l'elefante! Id est: Scendi dal tuo cavallo bianco, è venuto meno il motivo del tuo sussiego, della tua importanza, non conti piú nulla. La locuzione, usata nei confronti di chi continua a darsi arie ed importanza pur essendo venute meno le ragioni di un suo inutile atteggiamento di comando e/o sussiego , si ricollega ad un fatto accaduto nel 1742,  sotto il regno di  Re Carlo di Borbone[Madrid, 20/1/1716 –† Madrid, 14/12/1788)] al quale il Sultano della Turchia regalò un elefante che venne esposto nei giardini reali e gli venne dato come guardiano un vecchio caporale che annetté al compito una grande importanza mantenendo un atteggiamento spocchioso per questo suo semplice compito. Morto l'elefante, il caporale continuò nel suo spocchioso atteggiamento e venne beffato dal popolo che, con il grido in epigrafe, gli voleva rammentare che non era piú tempo di darsi arie...
6.    FÀ A UNO ‘NZOGNA E PUMMAROLA.
Ad litteram:  fare (cucinare) uno con sugna e pomodoro Icastica espressione  usata per indicare  che si intende maltrattare qualcuno,percuotendolo violentemente, riducendolo a cattivo stato  fino ad iperbolicamente cucinarlo  in forno dopo averlo schiacciato a dovere come si farebbe  con  una pizza condita, a maggior disdoro, non con il tenue olio d’oliva, ma con la greve sugna  e la classica salsa di pomodoro.
‘a pizza ‘nzogna e pummarola fu anticamente uno dei piú classici modi di approntare la pizza che veniva appunto condita con sugna,  pomidoro ed abbondante pecorino prima d’esser cotta in forno; successivamente il condimento per questa pizza napoletana mutò e venne usato olio d’oliva, pomidoro aglio ed origano e la pizza cosí condita non ebbe piú il nome di napoletana,  ma divenne â marenara.
7.    FÀ ‘O MANTESENIELLO
Letteralmente: fare il grembiulino. Id est: comportarsi come chi indossi il grembiulino; locuzione  usata a dileggio di certi uomini che, dimenticando la loro (supposta) mascolinità, si comportino da donnetta  mostrandosi pettegoli e linguacciuti,  ciarlieri al punto di propalare notizie apprese:  fatto di per sé disdicevole, ma che lo è ancora di piú quando  le notizie (che ci si diverte a portare in giro) sono state apprese  in “camera caritatis” per le pubbliche funzioni che svolge il manteseniello della locuzione.
manteseniello= grembiulino  s.vo m.le diminutivo  (cfr. il suff. iello) di mantesino= grembiule, zinale; la voce mantesino  è dal tardo lat. mantu(m)+ ante+ sinu(m)→mantesinu(m).
8.    FÀ ‘O MASTO ‘E FESTA.
Ad litteram: fare il maestro della festa Locuzione da intendersi  sia in senso strettamente letterale che in senso figurato;  intesa in senso letterale  si fa riferimento a chi, sia pure dispoticamente,  si impegna ad organizzare  feste pubbliche o private  conferendo spesso il proprio danaro oltre che il proprio tempo ed impegno;in senso traslato  la locuzione si usa con dispetto nei confronti di chi, senza esserne né invitato, né delegato a farlo   pretende di organizzare l’altrui esistenza; costui  con incredibile faccia tosta si presenta non richiesto in casa altrui  e disponendosi ad agire  tamquam un fac-totum dispensa sgraditi consigli  sul modo migliore di comportarsi ed agisce quasi alla medesima stregua del tipo detto spallettone o mastrisso(cfr. ultra).
9.    FÀ ‘O GALLO ‘NCOPP’Â MMUNNEZZA
Ad litteram: fare il gallo sull’immondizia  Id est: assumere gratuitamente arie di superiorità, montare saccentemente  in cattedra   cercando di imporsi su tutti gli altri che però a ragion veduta non sono altro che un cumulo di rifiuti  di talché, solamente messo al loro confronto, il gallo può primeggiare; altrove non conterebbe nulla,  potendosi quasi definirlo: monoculo in terra coecorum.
10. FÀ ‘O NNACCHENNELLO
Ad litteram: fare il cicisbeo
Il vocabolo in epigrafe è oggi fra i napoletani piú giovani  quasi sconosciuto, mentre persiste nella memoria e nell’uso di quelli piú avanti negli anni. Con tale vocabolo si indica il lezioso, lo svenevole, lo eccessivamente complimentoso, il vagheggino, il manierato cicisbeo; è chiaro che in un’epoca come la nostra che à  statuito la parità dei sessi sarebbe impensabile un uomo che si comportasse verso il gentil sesso in maniera tale da esser  paragonato a quei settecenteschi cavalier serventi che solevano portare lunghe capigliature spartite sulle fronte e  portate  sul volto a coprire un occhio, mentre con l’altro, attraverso un occhialetto,spesso colorato, sogguardavano le dame ; tale postura faceva pensare che i suddetti cavalieri non avessero che un occhio;in francese la cosa suonava: il n’à q’un oeil che letto rapidamente diveniva  il n’à che n’el da cui i napoletani trassero nnacchennello.
11. FÀ ‘O PRUTUSENIELLO
Ad litteram: fare il prezzemolino; id est: fare il ficcanaso, voler partecipare ad ogni  conversazione esprimendo la propria opinione, specialmente se non sollecitata o richiesta; comportarsi cioè come fa il prezzemolo erba aromatica  largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; è chiaro che la locuzione in epigrafe si riferisce agli uomini  ed è usata a mo’ di dileggio, ritenendosi che normalmente un uomo  non debba   tenere simili comportamenti, piú consoni alle donne.
Prutuseniello = prezzemolino s.vo ed ag.vo m.le diminutivo (cfr. il suff. iello) di prutusino s.vo neutro = prezzemolo, come détto famosissima erba aromatica  largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica  del tardo lat *petrosinu(m) che è  dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
12. FÀ ‘O PORTAPULLASTE.
Ad litteram: fare il porta pollastri  Id est: agire da mezzano, da ruffiano che rechi messaggi alternativamente all’ amoroso o all’amorosa; per traslato  fare il propalatore di notizie, per il solo gusto di portarle in giro senza neppure  riceverne alcun sia pure piccolo vantaggio  quale ad es.  una mancia che si è soliti dare ad un garzone di macellaio che rechi effettivamente dei polli acquistati e non bigliettini amorosi. Interessantissima l’etimologia del sostantivo ricavato con traduzione pedissequa dell’espressione francese porte-poulet (portapolletto) ma che in realtà non si riferiva a qualcuno che realmente portasse dei polli, bensí a chi favorisse,recandoli, lo scambio di bigliettini amorosi   tra gli innamorati; la particolare piegatura dei foglietti li faceva assomigliare a dei piccoli polli con le alucce donde il nome di poulet (polletto) ed ovviamente chi recava quei bigliettini fu détto porte-poulet (portapolletto); originariamente tale scambio di bigliettini amorosi   avveniva tra innamorati della medio-alta borghesia partenopea adusa alla lingua francese usata anche nella corte per cui  il mediatore fra innamorati, piú che esser détto semplicemente portabigliettini, fu détto alla francese  porte-poulet; quando poi la medesima abitudine passò tra gli innamorati del popolo che non avevano dimestichezza con la lingua d’oltralpe, ma solo con l’idioma partenopeo ecco che porte-poulet (portapolletto)diventò portapullaste restando acquisito come sostantivo per indicare il mezzano, il ruffiano etc.

13. FÀ ‘O PÍRETO  CCHIÚ GGRUOSSO D’’O CULO.
Ad litteram: fare il peto piú grande del culo. Versione piú prosaica, ma quanto piú icasticamente viva dell’algido italiano: fare il passo piú lungo della gamba; in effetti il massimo danno che potrebbe derivare dall’operare secondo la locuzione italiana sarebbe  quello di  dover sopportare il dolore di uno strappo muscolare;  nel caso della locuzione napoletana  i danni sarebbero  ben piú gravi ed ignominosi.
14. FÀ ‘O VIAGGIO D’’O MISCHINO
Ad litteram: fare il viaggio del Meschino Id est: impegnarsi in una faticosissima attività, un’improba impresa, ma totalmente inutile  vuoi per le ragioni che la promuovono, vuoi per i risibili risultati che si raggiungono; la locuzione in epigrafe richiama le avventure di uno degli eroi del ciclo carolingio : Guerino  detto il Meschino  protagonista di numerose dure ma inutili avventure  narrate dallo  scrittore italiano  Andrea da Barberino e riprese oltr’ alpi da narratori francesi.
15. FARNE CCHIÚ ‘E CATUCCIO.
Ad litteram: farne piú di Catuccio Id est: comportarsi, per iperbole,  in maniera piú truffaldina e delittuosa  di quel tal Luigi Filippo Bourguignon celebre bandito parigino (La Courtille, Belleville, 1693 -† Parigi 1721); tale noto masnadiero francese fu soprannominato Cartouche  corrotto nel napoletano Catuccio, e sin da giovanissimo operò in Francia  e  prima di finire i suoi giorni  sulla forca  ne combinò di tutti i colori, compiendo scelleratezze e nefandezze efferate.
16. FÀ ‘O PUCCHIACCHIELLO
Espressione analoga a quella sub 7.(cfr. antea) da riferirsi per dileggio ad un uomo che si comporti come una donnetta quasi che fósse provvisto non del membro maschile, ma dell’organo riproduttivo femminile che nel napoletano, tra i tanti (cfr. alibi),è indicato con il s.vo purchiacca/pucchiacca donde l’improprio diminutivo maschile  pucchiacchiello dell’epigrafe. il s.vo f.le purchiacca/pucchiacca  è voce derivata  dal greco pyr(fuoco) + koilos(faretra, vagina)+ il  suff. dispreg. acca (femminilizzazione del maschile acco/accio suffisso che continua il lat. -aceu(m), usato per formare sostantivi e aggettivi alterati con valore peggiorativo . ),secondo un percorso morfologico che da koilos, attraverso un *koleaca  porta a cljaca→chiaca e dunque: pyr+cliaca+acca= purcliacca→ puccliacca→pucchiacca con tipica assimilazione regressiva rc→cc.
Brak




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