IL RADDOPPIAMENTO DELLE CONSONANTI NELLA PARLATA NAPOLETANA
Premesso che a mio
avviso la questione del RADDOPPIAMENTO détto pure GEMINAZIONE
iniziale o interno delle consonanti,
quantunque rappresenti, soprattutto per
i non addetti ai lavori o per chi sia alle prime armi,ma pure (purtroppo) per
taluni spocchiosi studiosi o sedicenti tali che ne negano l’utilità e/o
l’obbligatorietà (e evito di fare nome, per carità di patria...sorvolando sui
troppi strafalcioni morfologici di cui brulicano alcuni calepini antichi e
moderni, quantunque – dicevo - la
questione rappresenti, una delle
maggiori difficoltà nel rendere per iscritto i vernacoli centro meridionali e segnatamente la
parlata napoletana,ma che comunque non presenti difficoltà insormontabili, rammenterò che già intorno al 1780 in ordine a tale questione ed altre
similari s’erano scontrati letterati del calibro di Luigi Serio e dell’abate
Ferdinando Galiani. Luigi Serio letterato e patriota (Massa Equana, Napoli,
1744 † Napoli 1799), allievo di A. Genovesi, prof. di eloquenza all'univ. di
Napoli, dopo il 1790 fu repubblicano, e morí combattendo i sanfedisti.
Improvvisatore ed autore di melodrammi
propugnò (in un'arguta risposta polemica
[Lo Vernacchio] all'abate Galiani), propugnò e giustamente una scrittura
dialettale quanto piú prossima possibile alla lingua parlata, servendosi perciò
senza lesinare di geminazioni,accenti e segni diacritici, nonché di apocopi,
aferesi etc. )Di parere
diametralmente opposto fu il cosiddetto abate
Ferdinando Galiani economista e letterato (Chieti 1728 † Napoli 1787). A
16 anni scriveva dissertazioni di argomento politico, economico, archeologico
etc. pubblicò poi un trattatello sul Dialetto napoletano (1779) ed un
vocabolario del medesimo dialetto (post., 1789)).
Rammentato lo
scontro tra letterati del calibro di
Luigi Serio e dell’abate Ferdinando
Galiani, preciso súbito ch’io mi schiero con Lugi Serio e son dalla sua
parte e non per simpatie politiche!
Tutt’altro! Sono un convinto filoborbonico e sanfedista… e tuttavia in campo
letterario mi schiero con lui e non son dalla parte del cafoncello F. Galiani che aveva la pretesa di dissertar
di napoletano,a malgrado che in realtà fosse
solo un chietino!
Dirò altresí che
comunque sulla questione del
raddoppiamento o geminazione iniziale o interno
delle consonanti, occorre essere
cauti, ma fermi, dando poche, ma
sufficienti e nitide dritte e/o
indicazioni.
Inizio perciò con il chiarire che diversa è la questione del A)RADDOPPIAMENTO
CONSONANTICO INIZIALE da quella del
B) RADDOPPIAMENTO CONSONANTICO INTERNO
A)Raddoppiamento
Consonantico Iniziale
Per quanto
riguarda il raddoppiamento consonantico iniziale, occorre fare una prima, basilare
considerazione: anche in italiano ci
sono tante consonanti iniziali che, precedute da vocale, si pronunciano forti e raddoppiate, ma la
loro scrittura (per una scelta dei padri fondatori della lingua nazionale,
scelta che non condivido) è sempre
scempia; ad esempio: in italiano “a poco a poco”, di fatto vien pronunciato a ppoco a ppoco, “a me”
lo pronunciamo di fatto a
mme, “vado a casa” lo pronunciamo di fatto vado a ccasa. Ma, ripeto, la loro scrittura
(cosí vollero, ahi loro, i padri della lingua nazionale…) è sempre scempia
e non si capisce proprio in base a quale
criterio si evitò di scrivere quelle parole le cui consonanti
iniziali son pronunciate in maniera forte e raddoppiata, con la consonante iniziale geminata. Ebbene, prendendo a modello l’italiano, qualcuno (e
non faccio nè nomi,nè
cognomi!..., si chiede (ma
erroneamente), perché mai in napoletano
si dovrebbero avere o si ànno per iscritto tanti raddoppiamenti di consonanti iniziali.
Sarebbe piú giusto, a mio avviso,
chiedersi il contrario: perché mai l’italiano eviti la scrittura delle consonanti geminate e
non si capisce proprio in base a quale criterio si debbano
scrivere scempie le consonanti iniziali pronunciate doppie!
D’altro canto se anche esistesse un criterio o una regola
dell’italiano chiara e codificata e non dovuta all’uso, che affermasse l’inutilità dell’indicazione
per iscritto della consonante iniziale
geminata, non vedo perché la cosa dovrebbe valere per l’idioma napoletano
scritto che è linguaggio autonomo, rispondente a regole proprie e non è
tributario di quelle della lingua
nazionale. Ma quel qualcuno ed altri
suoi pari tra i quali un notissimo medico/letterato uso ai teleschermi
regionali ed un altrettanto noto
cattedratico del principale ateneo partenopeo
intignano ed insistono con il sostenere che a loro
avviso, il lettore (sia esso
partenopeo che di diversa origine) non à bisogno di essere guidato graficamente
alla pronuncia doppia, dal momento che è
già abituato (se è italiano) a
pronunciare raddoppiate tante consonanti iniziali che si appoggiano ad una
vocale precedente.Ebbene vorrei chiedere
a quei dessi come si comporterebbe, a
parer loro, uno straniero che non avesse
frequentato corsi d’italiano e/o napoletano, qualora dovesse leggere un testo napoletano scritto alla maniera del Galiani o
dei suoi epigoni che osservano inoltre che il non napoletano non saprà mai
ben pronunciare il dialetto (sic!)
partenopeo neppure se fosse guidato dai piú accurati e puntigliosi
segni diacritici e fonetici.Ognuno vede che si tratta d’una sciocca petizione
di principio priva di conclamata prova. Né mette conto dar risposta a colui che scioccamente si
chiedesse perché utilizzare per (o abbondare in ) il napoletano scritto combinazioni grafiche del tutto estranee
alle regole ed alla tradizione della
lingua madre nazionale? Non mette conto
dar risposta a costui che dimostrerebbe chiaramente d’ignorare che
l’idioma napoletano scritto o orale è
un linguaggio autonomo, che risponde a regole proprie e non è tributario di
regole d’altro linguaggio, men che meno
della lingua nazionale. Non è
dato sapere da cosa un sedicente professore,
che mostra piú di tutti d’ignorare talune regole linguiste e
scioccamente intigna, trasse il
convincimento che è superfluo raddoppiare graficamente le consonanti iniziali
se non in quei pochi casi che possano ingenerare confusioni o incertezze e giunse a fare l’esempio di un
raccapricciante ccà (qui)[scritto con
un inutile accento ] rispetto a ca (che,
perché).Ed aggiunse che peraltro anche in tale esempio sarebbe agevole
osservare che la doppia “c” è superflua in quanto come discrimine
diacritico sarebbe sufficiente la sola
accentazione della vocale “a”
per la voce avverbiale; quanta supponente sciocca asinaggine!Gli
rintuzzo infatti che è erroneo e sciocco accentare l’avverbio napoletano di luogo cca corrispondente dell’italiano
qua;
infatti l’avverbio
cca (qua) etimologicamente deriva dal latino (e)cc(um h)a(c) ed un professore
universitario dovrebbe sapere (e se non lo sa è un asino calzato e vestito…e
conferma la regola che quando non si conosce qualcosa, bisogna insegnarla!...)
che la caduta finale d’una consonante e non d’una sillaba non lascia alcun
residuo in segni diacritici: accenti o apostrofi come càpita nel
napoletano con mo←mo(x), pe←pe(r),
cu←cu(m),e nell’italiano con re←re(x)
esiti tutti che non richiedono accento o apostrofe, e chi li ponesse
sbaglierebbe!
La cosa grave è che il sedicente prof. à fatto proseliti (purtroppo è nella natura
umana seguire chi erra piuttosto che chi stia nel giusto…) e nel suo medesimo
senso si è espresso anche un altro
letterato napoletano che da sodale del cattedratico
evita di contraddirlo e suggerisce di
raddoppiare graficamente la consonante iniziale “soltanto quando ciò rivesta
un’utilità grammaticale”, ricordando un
po’ troppo semplicisticamente che vanno pronunziate doppie - anche se si scrivono semplici - le consonanti iniziali delle parole che sono
precedute da: a (moto a luogo), e/’e,,
cchiú, tre, cu,
nu’ (non), sî (tu
sei), è,
à, so’ (io/essi sono), sto’
(io sto), accussí, ògne,
quarche; nonché quelle che sono precedute dai pronomi
dimostrativi plurali maschili e femminili.
Già Pirro
Bichelli (altro addetto ai lavori, ma di nessuna affidabilità stante la
cervelloticità di certe sue proposte o soluzioni grammaticali) , nel 1974,
aveva affermato nella sua Grammatica
del dialetto (sic!)napoletano che
il “raddoppiamento grafico… non si verifica generalmente per le
consonanti in posizione iniziale, in
base al principio della uniformità della parola, dato che esse, nella détta posizione, per alcuni casi si pronunziano col suono
forte, per altri col suono normale:
a ssecuzzune=a schiaffoni, ma ‘e secuzzune.Il Pirro semplicisticamente pretese di considerare regola una
particolarità o un’ eccezione!
Infine vorrei far notare che non mi pare sia giusto
suggerire una corretta pronuncia d’un idioma solo a coloro che
frequentano un corso di napoletano e non si debba supportare tutti gli altri
anche un supporto della pagina scritta. E non mi si porti ad esempio il
francese o l’inglese che si scrivono in un modo e si pronunciano in un altro; è
chiaro che per quelle lingue è necessario un supporto della scuola, ma per il
napoletano è tutta un’altra musica!
Tanto premesso e chiedo scusa d’essermi dilungato (ma era
necessario), torniamo al nostro assunto e parliamo del
A)Raddoppiamento Consonantico Iniziale
1 - In generale si usano nello scritto e nell’orale
doppie le consonanti iniziali di monosillabi che abbiano un monosillabo analogo
scritto con consonante scempia ma di significato diverso (ad es. l’avverbio cca
(= qua )e non ccà come asinescamente scritto da qualche sedicente letterato o
professore, cca da non confondere con la
congiunzione ed il pronome ca (=che); l’avverbio di luogo lla (corrispondente
all’italiano là) pur non confondendosi nel napoletano con nessun altro
monosillabo la (articolo che in napoletano è dal ‘600 in poi sempre ‘a, tranne nell’unico caso di quel
disinformato Salvatore Di Giacomo che
scrisse La luna nova…) dicevo l’avverbio di luogo lla (corrispondente
all’italiano là) si scrive con la doppia per rispettare l’etimologia (i)lla(c)
ed in napoletano non è necessario accentarlo (llà) giacché in napoletano la o lla non si confonde con nulla.
2- si leggono e
scrivono altresí doppie le consonanti iniziali di parole precedute o da vocali non evanescenti (cfr. scenne ‘o cchiummo ma
scenne chiummo , damme tuorto ma damme ‘o ttuorto famme sèntere, ma stamme a
ssèntere etc.) oppure dall’ articolo neutro ‘o (il) (es. ‘o ppane, ‘o ppepe, ‘o
ppecché, ‘o cchiummo etc.), ma se l’art. ‘o (il) è maschile (es. ‘o pesce, ‘o
cinema etc.) la consonante iniziale torna ad essere scempia perché si pronunzia
debole;
3 - come pure si leggono e si scrivono ugualmente doppie
le consonanti iniziali di parole precedute dall’ articolo femm. ‘e (le) (es. ‘e
ffiglie (=le figlie), ma ‘e figlie(=i figli).
Vado oltre e preciso altresí che il raddoppiamento
iniziale delle consonanti nel napoletano
1)può dipendere da un aferesi che lascia una doppia (ad
es.: ‘a cchiesa/cchiesia←(e)cclesia(m)
– ll’/llu/lle(art.)←(i)ll(e)/ (i)ll(a) –
lloro ←(i)lloru(m); di lla (là)←(i)lla(c) ò già détto;
2) le
consonanti iniziali b, p e g (palatale) sono sempre geminate (ad
es.:bbuccaccio, bbuttone, bbutteglia,bbuvero, gGiorgio,ggente, ggioverí etc.;
non si opera il raddoppiamento se la consonante g, di voci maschili ma non le altre comprese le
esplosiva (p,b) è seguita dai dittonghi
uo, ua (es.: ‘e guante etc.,ma ‘e
gguallere, ma ‘o bbuono, ma a cquanno);
il raddoppiamento invece avviene se la consonante g di voci maschili e le
altre comprese le esplosiva (p,b) è seguita dai dittonghi ie, ia, iu (es.: a ppiede, a
Ggiesú, ‘o ggiaccone, ‘a ggiuventú, ‘o ggiuvinotto etc.)
3) la
geminazione della consonante iniziale può dipendere ancóra da assimilazione
regressiva in + parole comincianti per m→mm (ad es.: in mezzo→ ‘mmiezo etc.),
da assimilazione regressiva con parole introdotte da termini che conservano una
sorta di consonante finale etimologica funzionale: cfr. a←ad,
tre←tres,cchiú←plus che producono raddoppiamenti del tipo vaco a mmare – tre
ccose – cchiú ccurto etc. o pure la
geminazione della consonante iniziale può dipendere da assimilazione
progressiva m+b/m+v→mm (cfr.
‘mmocca←in+bucca→’nbucca→’mbucca→mmocca;
‘mmidia←invidia(m)→’nvidia(m)→’mvidia(m)→mmidia;’mmitare/’mmità
←invitare)→’nvitare→’mvitare→’mmitare/’mmità);
4) si verifica
altresí la geminazione della consonante iniziale di parole che seguono gli aggettivi femminili ati(altre), bbelli(belle),bbrutti (brutte)
chelli (quelle) chesti/’sti(questi) cierti(talune) quanti (quante) tanti(tante)
(cfr. ad es.: ati ccose, bbelli ffemmene, bbrutti scarpe,
chelli/chesti/’sti ccarte, cierti vvote, quanti/tanti ggunnelle ma quanti/tanti
cavalle etc.)
5) si verifica altresí la geminazione della consonante
iniziale z (seguíta da a, i,,o,u) di
parole che sono o sono intese neutre mentre la consonante iniziale z
(seguíta da a, i,,o,u) di parole di
altro genere resta scempia;
6) si verifica infine
la geminazione della consonante iniziale dei lemmi usati in funzione
di esclamazione:
Ggiesú, Ggiesú! Uh Mmaronna!
7)ecco infine un elenco di lemmi con raddoppiamenti
iniziali derivanti da aferesi non segnalata graficamente
e da successiva assimilazioni regressive
cchiú ← *(i)nplu(s) →nchiú→cchiú
dDio ←*(oh) Dio→oddio→(o)ddio→dDio –
ggenio ← *(i)ngeniu(m) –
lloco non da
*illoloco→illoco→lloco, ma piú verosimilmente da un *hoc (oppure in) loco donde
*oc-loco→olloco→(o)lloco oppure *in-loco→illoco→(i)lloco; mmaje (forma
alternativa della scempia maje; mmaje è spiegabile sempre come assimilazione regressiva con una partenza da
un
*(ia)m magis→*(ia)mma(gi)s→*(ia)mmaj(s)→ (ia)mmaje;
di per sé maje = mai, in nessun tempo, in nessun caso
derivato dal latino magi(s)= piú con
caduta della sibilante finale e della g
intervocalica sostituita da una j di transizione e con paragoge della semimuta
finale e al posto della i ;
mme e tte ( = mi e
ti) forme collaterali di me e te; il raddoppiamento consonantico riporta ad una
base (a)d me, (a)d te nel valore sintattico
di compl. oggetto o di termine; tale raddoppiamento però non è tassativo e può
essere talora usato in funzione di rafforzamento espressivo.
E veniamo al
B) Raddoppiamento Consonantico Interno
Premesso che tutte le consonanti interne esplosive che formano sillaba con una vocale
tonica si pronunziano e si scrivono
doppie (cfr. ad es. tabacco in italiano ma in napoletano tabbacco, abete in
italiano, ma in napoletano abbete etc.); e premesso che ugualmente si leggono e scrivono doppie,
oltre le esplosive b e p, anche il
gruppo br→bbr e quello bl→bbl, la zeta , e
la g palatale soprattutto nelle
parole che in italiano terminano in zione o gione ed in napoletano vanno rese,
in zzione/zziona e ggione/ggiona; tanto
premesso entriamo in altri dettagli.
1) son sempre
doppie le consonanti interne in parole derivanti da assimilazioni regressive
(cfr. abbasta← ad+basta);
2)una serie di
geminazioni è dovuta (sulla scia di esito osco ) all’assimilazione
progressiva dei foni –mb-, -nd – che
evolvono nelle doppie delle rispettive nasali: mb→mm, nd→nn [cfr. cchiummo←plumbeu(m), palummo←palumbu(m),
fronna←fronda, unnece←undeci(m)];
3) si à sempre il raddoppiamento consonantico di tipo
espressivo in parole derivate da lemmi in cui la consonante originariamente ed
etimologicamente è scempia (cfr. cammurista←camorra – cannottiera ←canotto
etc.);
4) si à ugualmente
sempre il raddoppiamento consonantico di tipo espressivo in parole in cui la consonante originariamente ed
etimologicamente è scempia, raddoppiamento dovuto all’intensità dell’accento
tonico e dai suoi riflessi su sillabe caratterizzate da liquide o nasali (cfr.
ad es.:melòne→mellone ,amóre→ammóre, innamorato→nnammurato,
varechína→varrechina/varricchina etc.)
5) altri casi di raddoppiamento interno soprattutto nella
seconda sillaba risalgono ad un originario prefisso ad- che à subíto una
normale assimilazione regressiva con la consonante iniziale successiva
producendo esiti del tipo:ad+b→abb, ad+c→acc, ad+d→add,etc.
6) consueti casi
di raddoppiamento interno riguardano le consonanti b,br,g (palatale) che se
intervocaliche vanno sempre soggette alla geminazione scritta ed orale (cfr.
debiti→diebbete,diabete→diabbeto, libro→libbro, aprile→abbrile, cugino→cuggino
etc.).
Come penso di aver sufficientemente espresso, si tratta
di poche e chiare norme alle quali occorre attenersi, norme che non m’appaiono
né difficili , né complesse il tutto con buona pace dei paludati studiosi e/o
sedicenti professori che pretenderebbero, cassando n’atu rigo ‘a sott’ ô
sunetto di banalizzare ciò che di per sé è già semplice e facilmente
comprensibile.
In coda a tutto quanto già détto,sulla scia di quanto mi
suggerí l’amico prof. Carlo Iandolo,
preciso quali sono le voci che comportano il raddoppiamento consonantico
iniziale della parola che le segue; si tratta innanzi tutto di una piccola schiera di diciassette
monosillabi speciali costituiti dalla sola vocale oppure da una consonante + vocale, a cui vanno aggiunti
i due aggettivi bisillabi ògne e quacche, nonché l’avverbio trisillabo accussí:
esse voci, poste avanti ad una parola con avvio consonantico, ne causano il
raddoppiamento in modo del tutto particolare. Tale fenomeno à una sua
giustificazione nel fatto che il
napoletano come altri idiomi/dialetti
specchio del “latino
volgare possono avérconservato –specie ed almeno nei
monosillabi– le caratteristiche forme originarie conservando
sia pure nascosta nel
loro sottofondo una loro antica consonante finale( cfr. a ← “a-d”, è ←
“e-st”, e ← “e-t”, né ← “ne-c”, so’ ← “su-m oppure su-nt”, tre ← “tres”…), che
risulta ancóra talmente vitale e funzionale da procurare
un’assimilazione regressiva, fenomeno fonetico per cui
essa diventa eguale alla
successiva consonante iniziale.Seguiamo l’iter di
quell’antica consonante che in un primo
momento diventò uguale a quella iniziale della parola successiva pur rimanendo
nelle rispettive sedi; ma in seguito avvenne che la consonante finale del
monosillabo
si staccò andandosi
ad agganciare all’inizio della parola successiva, procurando appunto il
raddoppiamento anche scritto:ess.: tu e-t nuje → tu en
nuje →tu e nnuje; tre-s vote → trev vote
→tre
vvote;e-st guaglione → eg- guaglione → è gguaglione…;etc.
Ora non ci rimane,
a mo’ di riepilogo che l’elencazione dei A) diciassette “monosillabi
speciali”del napoletano:
a (← a-d), che (qui-d), cchiú (← plu-s), cu (← cu-m), è
(← e-st), e (← e-t), formula
à dda + infinito (← *hat da), né (← ne-c), nu’ (= nu-n),
l’articolo neutro (il-l)u(-d) →’o(-d), l’articolo plur. femminile (*l)e(-s)→’e,
il pronome (*l)e(-s)→’e + verbo, pe (← pe-r), po’
+ infinito (← *po-test), tu sî (← si-s), so’ (← su-m opp.
su-nt), sto’ (← *stom: come “su-m” ), tre (← tre-s).
Rammento a margine che, per eccezione, non vanno soggetti
al raddoppiamento consonantico iniziale pur trovandosi a seguire uno dei
summenzionati “monosillabi speciali” il pronome relativo CA[=che], pronome che
se raddoppiasse la consonante ingenererebbe confusione con l’avv. di luogo CCA
[=qui,qua] e gli articoli indeterminativi ‘NO, ‘NU, ‘NA.
Tornando alla consonante nascosta ma attiva, rammento che
una seconda conferma è
rappresentata anche nel “qui-d” latino = “che”
napoletano voce che addirittura
conserva
ancóra l’originaria “-D” nell’espressione
interrogativa ched’è / cher’è?(cosa
è?)che riproduce esattamente il lat. quid e(st);faccio notare in questo
caso che) pur non esistendo
ragioni grammaticali per
usarlo, l’apostrofo di ched’è è
posto solo per soddisfare il senso
estetico dell’occhio che non apprezzerebbe un ched è!
B) Ancóra poi
anche dodici aggettivi terminanti in i, pur senz’avere la consonante
finale
nascosta ed operante, procurano egualmente il
raddoppiamento de quo, ma soltanto se la parola successiva è di genere
femminile:
ati, bbelli, bboni, bbrutti, chelli, chesti, cierti,
(antico articolo) li, quali, quanti,
’sti, tanti, troppi (che per giunta –in quanto proclitici,
cioè posti prima, ma intimamente legati
alla
parola successiva– ànno pronunzia piena, anche se la loro
“-i” finale risulta atona).
Ess: ati ffemmene, cierti ssartulelle, chesti ssignore,
quanti vvote, ’sti mmane, li ccerase rosse, tanti ffessarie, troppi ccose…
Quando però i medesimi aggettivi, ad eccezione di ati,
chelli, chesti, cierti, quanti, ’sti, tanti, troppi [che son sempre
proclitici] seguono il sostantivo
femminile assumono la classica
morfologia in “-e” finale di tono evanescente e sono: bbelle,
bbone, bbrutte che sono i medesimi
bbelle, bbuone, bbrutte posposti usati
per il m.le plurale e non v’à ragione di usare per gli agg.vi m.li pl. le forme
bbelli, bbuoni, bbrutti con la pronunzia piena della “-i” finale atona. È mia convinzione che la desinenza
femminile “-I” di suono pieno altro non
sia che una “-e” camuffata per dare alla parola suono pieno. ancorché atono e
non quello evanescente della “-E”.
C) Diverse le ragioni del raddoppiamento iniziale di voci
quali ‘o rre (il re) ‘o rraú (il ragú) ‘a rrobba (la roba); vediamole
analiticamente: nel caso del sg. ‘o
rre (il re) con ogni probabilità il
raddoppiamento è dovuto ad una sorta di analogia con la voce pl. li rre (i re)
nella quale, temporibus illis, si
procedette alla geminazione della consonante iniziale ad imitazione di quella dovuta all’ art. f.le li di cui antea; la geminazione della voce
plurale fu poi mantenuta nell’uso comune
anche per il sg. ‘o rre; nel caso della voce rraú il raddoppiamento è da riferirsi all’
articolo neutro (ill)u-d →’o onde
l’assimilazione regressiva di cui già dissi; nel caso di rrobba (roba) come per
altri lemmi quali rraggia (rabbia), rricietto (sistemazione, riposo) bisogna
rammentare che nei lessici ottocenteschi i lemmi sono registrati come arrobba,
arraggia, arricietto per cui non fa meraviglia se nel corso del tempo la A
iniziale fu intesa come articolo e
disglutinata lasciando lemmi con la geminazione della consonante iniziale. In
coda ed in aggiunta a tutto quanto qui détto rammento e preciso che in napoletano la “B” nonché la “G” palatale (soprattutto +
“i”) di termini preceduti da articolo
(cosí da propiziare una posizione intervocalica) propendono al raddoppiamento
consonantico iniziale per un fenomeno
popolare naturale.Con ogni probabilità si tratta d’un influsso toscano sul napoletano
(reiterato nei secoli), cosí come congetturò il grande grammatico Alfredo
Schiaffini (Sarzana, 16 marzo 1895 – †Viareggio, 26 luglio 1971), che individuò
condizioni d’origine di tale raddoppiamento nell’area senese, poi piattaforma
di diffusione : ad es.: il giovane [pronunciato il ggiovane], il bicchiere
[pronunciato il bbicchiere]; nel napoletano aduso, come ò piú volte rammentato,
a ripetere graficamente i raddoppiamenti fonetici avremo quindi ’ o bbicchiere, ’o bbabbà, ‘o
ppanecuotto e via via ‘o ggiovane, ‘a
ggiuventú, ‘o ggiurnale ‘o ggiuvinotto etc.
Del resto anche il maiuscolo glottologo professor Gerhard Rohlfs (Berlino, 14 luglio 1892 – †Tubinga,
12 settembre 1986) nel suo: Fonetica della lingua italiana e dei suoi dialetti
a pag. 211 (paragrafo 156) precisa che nell’Italia meridionale “questa G
palatale viene pronunciata con un appoggio piuttosto forte della voce, per cui
è quasi una gg; alle volte si forma una vocale d’appoggio, per es. in romanesco
ggente, brindisino ‘a ggènda, napoletano ‘a ggente, calabrese ‘a ggenti = “la
gente” (dove per vocale d’appoggio l’illustre studioso intendeva l’articolo
’a…) ecc. Ciò a riprova della precisazione ben valida dello Schiaffini, che
delineò l’origine locativa del fenomeno.
E giunto a questo punto potrei pure far punto fermo qui, ma preferisco
rammentare che sempre per il fenomeno di cui ò detto precedentemente è buona
norma operare il raddoppiamento consonantico inizione di ogni termine che segua
un monosillabo o una voce apocopata
oppure accentata sulla vocale finale. Satis est
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