venerdì 7 febbraio 2020

CINQUE ANTICHE LOCUZIONI NAPOLETANE


CINQUE ANTICHE LOCUZIONI NAPOLETANE
Ancóra  una  volta tenterò di dare adeguata risposta ad una  richiesta dell’amico P.G. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di  riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di mettere a fuoco portata, significato e valenza di cinque    antiche espressioni napoletane , molto usate un tempo e che ancóra si possono cogliere sulle labbra dei napoletani d’antan. Prima di esaminarle analiticamente, le elenco qui di sèguito:1)FESSARIA ‘E CAFÈ - 2)PARÉ ‘A SCIGNA ‘NCOPP’Ô RUCCHIELLO - 3)ESSERE FIGLIO ‘E VIECCHIE - 4) PÍGLIALO CU ‘A PEZZA - 5) FÀ COMM’Ê TURRUNARE.
E cominciamo ad esaminarle singolarmente:
1)Fessaria ‘e cafè Ad litteram: Sciocchezza di caffé o da caffè; id est cosa da nulla, sciocchezzuola , inezia, tutte cose  che possono esser rappresentate ugualmente dalla inconferente fessurina che insiste sul chicco di caffé [ed in tale accezione si parla esattamente  di fessaria ‘e cafè  dove la ‘E è la preposizione DE aferizzata che introduce un complemento di specificazione] oppure da altro. Infatti  con fessaria ‘e cafè    talora  non si intende la fessurina che insiste sul chicco di caffé, ma l’ inconferente chiacchiera, il vuoto discorrere  tra gli  sfaccendati avventori di un caffé (locale dove si sorbisce la bevanda di caffé) [ed in tale accezione  pur  parlandosi  di fessaria ‘e cafè , la ‘E  non è la preposizione DE aferizzata che introduce un complemento di specificazione, ma è un’utilizzazione  impropria della medesima preposizione usata al posto della corretta da→ ‘a che avrebbe dovuto introdurre un complemento di fine o scopo ed avrebbe dovuto essere espresso con fessaria ‘a cafè (sciocchezza da caffé) ]
fessaría s.vo f.le  cosa da nulla, sciocchezza, inezia e per traslato bugia macroscopica; etimologicamente  da fesso (rotto, spaccato e poi sciocco)  p.pass. del verbo findere (rompere, spaccare) + il suff. di pertinenza arius→ar addizionato della   desinenza tonica ía; rammenterò che la stessa parola con i medesimi significati si ritrova pure nella lingua ufficiale sebbene  in quest’ultima l’originaria ed etimologica A  ovviamente aperta, la si sia sostituita con una  pretestuosa  E chiusa (ritenuta forse, ma scioccamente, piú consona dell’aperta  A  all’ elegante (sic?) dialetto di Alighieri Dante, ottenendo cosí in luogo di fessaría  una per certo  non migliore fessería.
cafè s.vo m.le o neutro Con la medesima parola, una volta di genere maschile, un’altra di genere neutro si indica in napoletano i chicchi interi o macinati della pianta di caffé e la bevanda che se ne ricava [ed in tal caso il s.vo è di genere neutro e comporta nel caso sia preceduto dall’art. ‘o, comporta la geminazione della consonante iniziale, per cui occorerà scrivere ‘o ccafé comportante la pronuncia forte come avviene sempre allorché in napoletano esistono delle voci  che possono avere una doppia forma grafica: o con la geminazione della consonante d’avvio o con la consonante scempia; quando la grafia e quindi la lettura  di tipo forte presenta la geminazione iniziale, ci si trova difronte  ad una voce neutra  e solitamente son voci che si riferiscono a generi alimentari o inanimati ovvero che non contemplano l’intervento umano (ad. es.: ‘o ccafè, ‘o ppane, ‘o ssale, ‘o ppepe, ‘o ffierro(inteso come metallo)]; allorché invece la parola presenta la consonante scempia: ‘o cafè si à a che fare con una voce maschile usata per significare la  mescita o negozio dove viene servita la  bevanda di caffè.
  Etimologicamente la voce cafè è   dal turco kahve, e questo dall'ar. qahwa, orig.  bevanda eccitante'.
Proseguiamo con
Paré ‘a scigna ‘ncopp’ô rucchiello
Ad litteram: Sembrare la scimmia sul rocchetto.Locuzione ironica quando non sarcastica usata per dileggiare  coloro che, in palese difficoltà di argomentazione per difendere il proprio operato o le proprie idee spesso errati,  si arrampicchino  sugli specchi dialettici nel tentativo, spesso vano, di trovare ragioni, prove,assunti, asserti attendibili, stringenti e decisivi a supporto del proprio dire, comportandosi ad un dipresso, in questo loro annaspare loico,  come quelle bestie da circo: scimmie platirrine o catarrine che si esibiscono in numeri di funambolismo o in numeri acrobatici tenendosi in precario equilibrio su rotanti rocchetti.
scigna s.vo f.le = scimmia; 1(in primis come nel caso che ci occupa)  nome generico di mammiferi superiori, per lo piú arboricoli, con quattro o due estremità prensili, dentatura completa, occhi frontali, arti anteriori piú lunghi dei posteriori; si distinguono in catarrine e platirrine (ord. Primati) 2 (fig.) persona brutta, dispettosa e maligna: è ‘na vera scigna! | fà m’a scigna ‘e quaccuno, imitarlo in quello che fa, che dice; scimmiottarlo
3 (region.) ubriacatura, sbornia ed anche rabbia:pigliarse ‘na bbrutta scigna,ubriacarsi di brutto – adirarsi;
voce  derivata dal lat. simia→simja, con un consueta risoluzione/passaggio di s+ vocale a sci: (cfr.  alibi semum→scemo) e con passaggio di  mj a gn (come in ca(m)mjare→cagnà).
‘ncopp’ô = sullo;  una delle locuzioni articolate  formate da ‘ncoppa  a   addizionato degli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) dando esattamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê  che rendono rispettivamente sul/sullo,sulla,sugli/sulle e  dove ô, â,ê sono rispettivamente le crasi [scritture contratte] di a +’o, a +’a ed a +’e.
rocchiello/rucchiello s.vo m.le di doppia morfologia di cui la seconda, con la vocale chiusa velare [u], usata maggiormente nel parlato =   rocchetto, arnese per incannare la seta, gruccia/trespolo con sostegno superiore  cilindrico e rotante;
voce diminutiva di rocchio che è dal lat. rotulu-mroculu-m roc(u)lu-mroclu-mrocchio addizionato del suffisso ello  che continua il lat. ellus/ella,  suffisso alterativo di sostantivi ed aggettivi, con valore diminutivo e spesso vezzeggiativo.
Proseguiamo con
Essere figlio ‘e viecchie.
 Ad litteram: Essere figlio di vecchi Id est: Essere figlio nato da genitori vecchi.Locuzione usata per complimentarsi di chi, messo al mondo da genitori non piú giovani,si appalesi e sia ritenuto come persona di grande intelligenza, di notevoli capacità operative e che sappia sbrigarsela in ogni evenienza  e tutto ciò nella convinzione che costui abbia ereditato dai suoi genitori le conoscenze e le esperienze che son proprie [o lo dovrebbero essere] delle persone mature ed avanti negli anni.
viecchie s.vo m.le pl. di  viecchio  vecchio,persona avanti negli anni; voce  etimologicamente da un acc. lat. vetulu(m) (diminutivo di vetus) che diede il tardo lat. vĕclu(m)viecchio con la vocale tonica breve che  dittonga in  ie.Da notare che il s.vo pl. a margine, pur essendo il plurale  solo del maschile (infatti il f.le che è vecchia à il pl. in vecchie) nella locuzione esaminata è onnicomprensivo dei due generi e deve essere inteso come riferito ai vecchi ed alle vecchie.
Passiamo ora a
Píglialo cu ‘a pezza! Ad litteram:Prendilo con una pezzuola!Locuzione assolutamente  ironica ed addirittura  sarcastica usata per dileggiare chi sia  cosí tanto schifiltoso ed ostinato nelle sue eccessive  manie igieniche da rifiutarsi, per iperbole, di toccare il proprio membro per procedere alla minzione, se non proteggendo la mano con una pezzuola. Estensivamente l’espressione è riferita oltre che a chi abbia manie di tipo igienico, anche  a chiunque prenda eccessive ed inutili preacauzioni ogni volta che debba fare alcunché.
 píglialo = prendilo voce verbale imperativo [2ª pers. sg.] dell’infinito piglià, addizionata in posizione enclicitica del pronome lo (che nella fattispecie è usato per indicare furbescamente il membro maschile, l’organo  deputato e alla minzione e alla riproduzionedella specie); rammento che  il verbo napoletano piglià (prendere, pigliare) sebbene abbia il medesimo etimo (lat. volg. piliare, dal class. pilare rubare, saccheggiare, sottrarre ) del corrispondente pigliare  della lingua italiana, si differenzia da quest’ultimo  per un molto piú ampio ventaglio di significati; infatti l’italiano pigliare quanto ai significati non va oltre il prendere, specialmente in modo energico e rapido;afferrare; mentre il napoletano piglià  sta per: prendere, comprare, comprendere, attecchire, arrestare, catturare, confondere   oltre altri numerosi significati giusta il complemento  cui sia legato e per la esemplificazione rimando ad altrove.
pezza  s.vo f.le =1(in primis e come nel caso che ci occupa) cencio, straccio, brandello di stoffa ;2(per traslato giocoso) ducato/scudo/piastra napoletana, moneta di argento massiccio popolarmente détto alternativamente  piezzo janco o pezza (corrispondente a  436,5 lire it. del 1850), pari a   100 grani/grana; ogni grana era   corrispondente a 4,365 lire italiane;  voce dal lat. volg. *pettia(m)pezza , di origine celtica = pezza; normale nel napoletano la risoluzione di tti in zz.
E prendiamo infine in cosiderazione l’espressione:
Fà comm’ê turrunare.
Ad litteram: fare come i venditori di torroni. Ancóra una locuzione ironica usata contro gli inguaribili scrocconi, contro gli incalliti presidenzialisti  che son soliti  presenziare, anche quando non invitati,feste o ricorrenze  domestiche  comportanti  il piú delle volte distribuzione, spesso grande, di cibi e bevande; la locuzione è altresí riferita a tutti coloro che abbiano l’abitudine di  presentarsi, senza preventivamente annunciarsi,addirittura tra i primi   in casa di amici e/o semplici conoscenti     all’orario del desinare nell’intento di scroccare un invito alla  tavola   imbandita.Tutti costoro sono oltre tutto gli stessi che lasciano per ultimi le case dove ànno... onorato il desco scroccando a sbafo pasti e/o rinfreschi.Di tali sbafatori presenzialisti s’usa dire che facciano come i venditori di torroni che sono tra i primi ad invadere con le loro mercanzie piazze e strade dove si svolgono feste popolari per accaparrarsi tra  i primi gli  avventori e sono tra gli ultimi a lasciar piazze e strade al termine della festa, quando ànno lucrato abbastanza dopo avere esaurite le leccornie    poste in vendita.
turrunare s.vo m.le e f.le pl. di turrunaro  artigiano produttore e venditore al minuto (durante le feste rionali) di dolciumi vari e di torrone,dolce duro o morbido a base di zucchero, miele, mandorle tostate, pistacchi o nocciole, confezionato per lo piú a stecche; voce denominale di turrone addizionato in posizione enclitica del suffisso aro
suff. di competenza per sostantivi o aggettivi derivati dal latino o formati in italiano, che indicano oggetti,ma soprattutto  mestieri (putecaro/bottegaio,rilurgiaro/orologiaio) oppure luoghi(lutammaro/letamaio), ambiente pieno di qualcosa o destinato a contenere o accogliere qualcosa suffisso che continua il lat. arius→aro/ero; lo stesso latino a(r)iu(s) à dato l’italiano aio che in napoletano è spesso nei  suffissi composti ajo; la voce turrone è dallo sp. turrón, deriv. di turrar 'arrostire', che è dal lat. torríre.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente  chi dovesse imbattersi in queste  sette paginette.Satis est.
 Raffaele Bracale

  



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