domenica 19 febbraio 2017

VARIE 17/214

1.PARE PASCALE PASSAGUAJE. Letteralmente: sembra Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti. Il Pasquale richiamato nella locuzione fu un tal Pasquale Barilotto lamentoso personaggio di farse pulcinellesche del teatro di A. Petito. 2.PARLÀ ‘NFIJURA Ad litteram: parlare in figura, profferir parole figurate id est parlare non chiaramente, ma con tropi,allusioni, metafore esprimersi con circospezione e con vaghezza e ciò soprattutto in presenza di minori affrontando argomenti delicati. L’espressione a lato è una sorta d’invito rivolto ad adulti che si trovassero a parlare in presenza di minori di argomenti non consoni all’età di costoro; la medesima esortazione la si ritrova nell’espressione Mantenímmoce pulite, ca ce stanno 'e ccarte janche! Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci son presenti dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere. 3.PARLÀ A CCOCORICÒ Espressione del parlato e solo del parlato a cui però è quasi impossibile dare una traduzione letterale atteso che la voce cocoricò nell’inteso comune si presta ad una doppia interpretazione; a) pappagalo, b) matto, folle; Intendendo cocoricò come pappagallo (dandole cioè un etimo onomatopeico che si riallaccia al verso del pennuto uccello esotico addomesticabile, con caratteristico becco adunco e colori smaglianti) l’espressione varrebbe parlar pappagallescamente imitando l’altrui eloquio; intendendo invece, come io penso e ritengo, ntendendo cocoricò una voce derivata dal turco curuk→cucuruco→cocoricò (agg.vo che vale in primis marcio e per traslato folle, matto) ecco che l’espressione parlà a cocoricò acquista la medesima valenza della precedente parlà a spaccastrommole cioè in maniera concitata, a ruota libera senza nesso o senso, quasi alla maniera dei matti,valenza che semanticamente s’attaglia benissimo al curuk→cucuruco→cocoricò = folle, matto. 4.PARLÀ A SCAMPULE ‘E MELE COTTE Ad litteram: parlare alla maniera (dei venditori) di scampoli di mele cotte id est parlare per tropi ed immagini spesso menzognere e/o fasulle in maniera suadente, ma falsa ed ingannevole nell’intento di convincere l’ascoltatore/cliente ad acquistare scampoli residuali di mele cotte probabilmente invendute per cattiva qualità delle medesime.Analogamente ai venditori di scampoli di mele cotte chiunque usasse, soprattutto a fine illusorio,e/o ingannevole, un eloquio suadente, ma menzognero potrebbe essere accreditato di parlà a scampule ‘e mele cotte. 5.PARLÀ A SCHIOVERE Ad litteram: parlare a vanvera, quasi a pioggia battente. Détto di chi, non avendo nulla di serio e costruttivo da comunicare, dà libero sfogo alla propria lingua ed a mo' di pioggia inonda il prossimo di vuote parole senza significato e/o costrutto , a ruota libera ed inopportunamente. Preciso qui che il termine schiovere significa per solito: smettere di piovere, ma - in napoletano - spesso la prostesi di una S ad un termine à funzione intensiva e rafforzativa, non sottrattiva ed è il caso dello schiovere della locuzione qui annotata dove con l’anteporre la S alla parola chiovere (piovere) non si è inteso indicare la cessazione del fenomeno atmosferico, ma al contrario si è inteso aumentarne la portata! Il verbo chiovere è dal lat. tardo plovere, per il class. pluere con il tipico passaggio del gruppo lat. pl al napoletano chi (cfr. plu(s)→chiú – plumbeu(m)→chiummo – plaga→chiaja etc...). BRAK

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