domenica 19 febbraio 2017

VARIE 17/217

1.PARLÀ SULO Ad litteram: parlar da solo, senza relazionarsi Détto di chi,accreditato d’essere folle o tendente alla pazzia venga isolato negandogli la possibilità di relazionarsi con gli altri e lo si costringa al vuoto ed inconferente soliloquio, al parlar da solo con se stesso che è proprio – per l’appunto – l’atteggiamento irrazionale di chi sia o faccia le viste d’esser pazzo, demente, folle, dissennato, squilibrato, forsennato, irragionevole, malato di mente, mentecatto. Sulo agg.vo e talora anche avv. (sulo/sulamente) , ma qui aggettivo: isolato, senza compagnia,abbandonato, trascurato, accantonato, reietto, derelitto quanto all’etimo è dal lat. solu(m). 2.PARLA SULO QUANNO PISCIA 'A GALLINA! Ad litteram: Parla solo quando orina la gallina! Perentorio icastico monito rivolto a chi (e segnatamente arroganti, saccenti o supponenenti) si voglia indurre al silenzio e a non metter mai lingua nelle faccende altrui; monito che è rivolto, prendendo (però erroneamente) a modello la gallina che pur non possedendo uno specifico organo deputato all’uopo, non è vero che non orini mai, ma compie le sue funzioni fisiologiche in un'unica soluzione attraverso un organo onnicomprensivo détto cloaca. Analizziamo le singole parole, cominciando da quanno: avverbio = in quale tempo, in quale momento; dal latino quando con tipica assimilazione progressiva nd→nn; gallina: tipico animale da cortile, femmina del gallo, piú piccola del maschio, con piumaggio meno vivacemente colorato, coda piú breve, cresta piccola o mancante, speroni e bargigli assenti; viene allevata per le uova e per le carni (ord. Galliformi); nell’immaginario comune è inteso animale stupido e di nessuna intelligenza e ciò forse perché – avendo testa piccola – si pensa che abbia poco cervello; etimologicamente il nome è dal lat. gallina(m), deriv. di gallus 'gallo'; 3.PARLÀ TOSCO L’antica, desueta espressione napoletana a margine (peraltro assente in tutti i numerosi lessici napoletani antichi e moderni,in mio possesso ma viva e vegeta fino a tutti gli anni cinquanta del 1900 sulla bocca degli abitanti della città bassa partenopea) fu usata in due diverse accezioni: a) per significare un parlare eccessivamente forbito e ricercato che eccedesse una normale comprensibilità, come accadeva quando in un dialogo uno degli interlocutori invece di usare la comprensibile parlata locale, s’azzardasse ad adoperare la poco comprensibile lingua nazionale infiorando o tentando di infiorare l’eloquio con parole rifinite, limate, ripulite tali da risultare oscure ed incomprensibili; di costui si diceva che parlasse tosco dove con l’agg.vo tosco non si voleva intendere, con derivazione dal lat. tuscu(m), toscano , ma ci si riferiva ad altro agg.vo tosco quello che con derivazione dall'albanese toske, indica l’astruso linguaggio di una popolazione albanese di religione musulmana, stanziata a sud del fiume Shkumbi.Chi cioè parlasse non in napoletano, ma in un italiano forbito e rifinito veniva accreditato nell’immaginario popolare comune d’usare, quasi per certo, a fini truffaldini un linguaggio volutamente incomprensibile, simile appunto all’astruso linguaggio dialettale tosco di una popolazione albanese; b) la seconda accezione del parlar tosco era riferita a chi, sempre a fini truffaldini fosse eccessivamente esoso nelle sue richieste di compenso per un lavoro fatto o da farsi; di costui si diceva che parlasse tosco non perché adoperasse la poco comprensibile lingua nazionale infiorando o tentando di infiorare l’eloquio con parole rifinite, limate, ripulite tali da risultare oscure ed incomprensibili, ma perché, pur parlando magari in istretto napoletano,con parole chiare e comprensibili, fosse cosí esoso nelle sue richieste d’apparire disonesto o truffaldino se non addirittura ladro tale da sconsigliare di tener mercato con Lui, quasi che parlasse un incomprensibile, sibillino linguaggio gergale da consorteria e perciò tosco= astruso. Rammento, per completezza, che anche nei linguaggi iberici: spagnolo, portoghese (dai quali talora il napoletano à attinto) esiste il termine tosco ma vale grossolano, approssimativo, poco fine, di esecuzione poco accurata; ordinario, dozzinale ed in tali accezioni non è mai usato nel napoletano per cui il termine partenopeo tosco non è stato marcato nè sullo spagnolo, nè sul portoghese, ma sull’albanese. Quando poi un interlocutore non solo parlasse in italiano piú o meno forbito, ma sconfinasse nella lingua francese veniva accreditato di parlare cu ‘o scio’-sciommo; 4.PARLARE CU ‘O SCIO’-SCIOMMO è infatti un’espressione intraducibile ad litteram che viene ancóra usata per canzonare il risibile modo affettato e falsamente raffinato dell'incolto che pensando erroneamente di esprimersi in corretto toscano, in realtà si esprime in modo ridicolo e falso con un idioma che scimmiotta solamente la lingua di Dante, risultando spesso piú simile ad una lingua francese malamente appresa però, della quale vengono colti essenzialmente molti fonemi intesi come sci (←ch); da tale suono è stato tratto l’onomatopeico sciommo che reiterato nella prima parte (sciò) à dato lo scio’-sciommo inteso sostantivo neutro. 5.PASSA 'A VACCA Ad litteram: passa la vacca In realtà l'espressione che di solito è usata assieme all'altra: fa acqua 'a pippa (vedi alibi) viene usata per indicare un chiaro, inequivocabile stato di indigenza, una incommensurabile inopia quando manchi tutto e non si abbiano mezzi per procurarsi alcunché.Come facilmente intuibile, i bovini non c'entrano nulla con la locuzione che è piú semplicemente corruzione di un latino medioevale: passant vacua/passat vacua espressione usata dai doganieri medioevali per segnalare quel/quei carro/i transitante/i vuoto/i di merci e dunque non soggetto/i al pagamento di balzelli. BRAK

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