1.PARÉ N’AUCIELLO ‘E MALAURIO
Ad litteram: sembrare
un uccello del malaugurio
Détto di chi pessimista di natura profetizzianche
velatamente o sommessamente per sé e/o per gli altri,guai e disgrazie
continuate; costui a cui spesso il malaugurio si legge in volto viene
assomigliato a quegli uccelli notturni quali gufi e civette, barbagianni e
consimili ritenuti apportatori di disgrazie; rammento che già anticamente
quando i presagi venivano tratti dagli àuguri dal volo degli uccelli, un
inatteso passaggio di volatili notturni era ritenuto di cattivo auspicio.
auciello s.vo m.le = uccello, volatile voce dal lat. tardo
aucĕllu(m)→auciello, accanto ad aucella(m), da *avicellus (*avicella), dim. del
class. avis 'uccello'
malaurio s.vo m.le = cattivo presagio, spiacevole auspicio;
voce formata dalla agglutinazione dimalo(cattivo,spiacevole,triste dal lat.
malu(m)) + aurio (augurio, auspicio, presagio, pronostico, vaticinio dal lat.
au(gu)riu(m)→aurio 'presagio'.
2.PARÉ 'NA LUNA 'NQUINTADECIMA.
Ad litteram: sembrare una luna nel quindicesimo giorno.
Cosí in tono scherzoso,simpatico ma non offensivo ci si
suole rivolgere alle donne incinte di parecchi mesi che inalberino un pancione
grosso e sferico paragonato, nella divertente locuzione alla luna che solo nel
quindecesimo giorno dal novilunio è completamente piena; per traslato il
paragone è usato a mo' di sfottò anche nei confronti di uomini vistosamente
grassi e panciuti.
A margine rammento che al proposito della forma del pancione
delle donne incinte prossime a condurre al termine la gestazione, un tempo vi
fu un simpatico modo di dire che sostanziava un curioso, ma quasi sempre
veridico metodo di conoscenza del sesso del nascituro, senza la necessità di
ricorrere ad esami medici ed ecografie: panza tonna (cioè sferica) appronta ‘a
scionna,panza a pponta,spunto e bbasso appronta (pancia sferica, prepara la
fionda (gioco/arnese destinato ad un maschio) pancia a punta prepara fuso e
gonna (destinate alle donne).
‘nquintadecima (jurnata) = nel quindicesimo giorno;
tonna agg.vo f.le metafonetico del m.le tunno lett. rotonda;
che presenta una forma piena, rotondeggiante; ma qui piú esattamente, sferica;
tunno/tonna derivano dal lat. lat. (ro)tundu(m)/*(ro)tunda, (deriv. di rota
'ruota') con normale assimilazione progressiva nd→nn:
(ro)tundu(m)/*(ro)tunda→tunno/tonna.
scionna s.vo f.le = fionda, 1 arma da getto costituita da
due strisce di corda o di cuoio collegate da una tasca entro cui si colloca il
proiettile; si usa facendola roteare al di sopra della testa e lasciando poi
una delle due strisce
2 arnese/giocattolo per lanciare sassi, formato da una
forcella con un elastico assicurato alle due estremità.voce dal lat. flunda(m)
con tipico passaggio del digramma lat. fl + vocale al napoletano sci (cfr.
flumen→sciummo – flore-m→sciore – flamma(m)→sciamma – flaccare→sciaccà etc.;)
ed assimilazione progressiva nd→nn.
spunto = fuso, spuntone s.vo m.le da non confondere con
l’omografo ed omofono spunto agg.vo m.le di tutt’altro etimo (da ponta con
protesi di una esse intensiva) e significato (acre, pungente,inacidito); invece
questo s.vo a margine derivato dal lat. expunctu(m), part. pass. di expungere,
vale fuso, arnese di legno, panciuto al centro ed assottigliato alle
estremità,ma privo di vere punte, arnese che nella filatura a mano serve per
torcere il filo e per avvolgerlo sulla spola; spuntone;
bbasso/basso s.vo m.le lunga ed ampia gonna; in napoletano
il termine basso,(termine peraltro ampiamente desueto e che si può solo trovare
in poeti e scrittori dal ‘600 al tardissimo ‘800 e fino ai principi del ‘900
cfr. Ernesto Murolo (Napoli, 4 aprile 1876 – † Napoli, 30 ottobre 1939)) fu
usato per indicare un tipico indumento femminile: un’ampia e lunga gonna,
quella che partendo dalla vita non si limitava a coprir le ginocchia (cfr.
l’etimo di gonna che piú che dal lat. tardo gunna(m) 'veste di pelliccia', di
orig. gallica, pare sia da collegare al basso greco gouna= ginocchia (=veste
che scende e copre le ginocchia ed a tal proposito mi pare di poter dire che
non à senso chiamare gonna sia pure mini taluni risicatissimi pezzi di stoffa
che coprono non le ginocchia, ma neppure le cosce!) dicevo non si limita a
coprir le ginocchia, ma prosegue fino alle caviglie; tale lunga ed ampia gonna
fu détta basso perché pare si indossasse non sollevandola, passandola sulla
testa e facendola scivolare fino alla vita, ma inforcandola dal basso id est:
dal di sotto ed ugualmente veniva tolta sfilandola dal basso : dal di sotto.
Questa è l’opinione mia che mi son dovuto formar senza aiuti
( ma che à ricevuto l’approvazione dell’amico prof. C.Iandolo) atteso che non ò
trovato indicazioni precise circa la voce basso=gonna in nessuno dei numerosi
calepini (anche etimologici) del napoletano, in mio possesso e che ò potuto
consultare.
appronta voce verbale qui imperativo 2ª pers. sg. altrove
anche 3ª pers. sg. ind. pres. dell’infinito apprunt-are/à = preparare, tener
pronto allestire, verbo che è un denominale del lat. ad+promptu(m) part. pass.
di promere 'trarre fuori' con assimilazione regressiva dp→pp.
3.PARÉ 'NU PÍRETO ‘NCANTARATO
(o con riferimento ad una donna: paré 'na péreta
‘ncantarata).
Letteralmente: Sembrare un peto esploso in un pitale, cioè
sembrare un rumoroso peto che esploso in un pitale (che gli fa da cassa di
risonanza) risulta fragorosissimo. Anche in questo caso con l’espressione a
margine ci si intende riferire ad una donna (con la versione al femminile) o –
piú spesso – con la primaria versione al maschile - ad un uomo saccente,
supponente, vanesio, arrogante, presuntuoso, altezzoso, superbo, tracotante,
protervo e sentenzioso che si dia, ma ovviamente a sproposito, le arie di
valente superuomo, parli a casaccio ed a vanvera, dia consigli non
richiesti,propugni per sé l’infallibilità papale ed essendo in realtà privo di
ogni concreto supporto e fondamento alle sue pretese ed inesistenti virtú,
mancante com’è di scienza o conoscenza può solo esser paragonato ad un peto
che, sebbene risuonante e ridondante, rimane pur sempre la stomachevole, fetida
cosa che è.
Per píreto vedi antea sub 33; péreta ne è il metafonetico
femminile usato non solo come sinonimo maggiorato del maschile (ricordo che nel
napoletano un oggetto o cosa che sia, è inteso se maschile piú piccolo o
contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande
rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o
tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú
piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno
eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a
caccavella; nella fattispecie dunque una péreta è intesa piú vasta o rumorosa
del maschile píreto); péreta è usato dicevo non solo come sinonimo accresciuto
di píreto, ma per traslato è usato anche per riferirsi offensivamente ad una
donna… di scarto, quale è ritenuta una donna becera, villana, sciatta,sguaiata,
volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo
chi sia una demi vierge o che voglia apparir tale… una donna cioè dalle pessime
qualità fisiche e/o morali che goda a strombazzare le sue pessimi qualità,
comportandosi alla medesima stregua di un peto, manifestando cioè rumorosamente
la sua presenza, donna che ben si può meritare con icastico, seppur crudo linguaggio,
l’appellativo di péreta.
Per completezza dirò poi che tale donna becera e volgare,
altrove, ma con medesima valenza è anche détta alternativamente lòcena, lumèra
o anche lume a ggiorno; chiarisco: lòcena = di scarto;la voce è nel suo
precipuo significato di vile, scadente è forgiata come il toscano ocio ed il
successivo locio (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino
volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di
scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una
consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a lòcena che
nel napoletano indica in primis un taglio di carne che pur essendo
gustosissimo,forse il piú gustoso, è un taglio che ricavato dal quarto anteriore
della bestia, (il taglio meno pregiato e meno costoso) è da ritenersi di
mediocre qualità, quasi di scarto); lumèra o anche lume a ggiorno atteso che
una donna becera e volgare abbia nel suo quotidiano costume l’accendersi
iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello
simile del lume a gas (lumera) o di quello a petrolio ( lume a giorno) ambedue
altresì maleolenti tali quale una péreta.
Ciò che vengo dicendo è tanto vero che addirittura questo
tipo di donna è stato codificato nella Smorfia napoletana che al num. 43
recita: donna Péreta for’ ô balcone per indicare appunto una donna… di scarto
che faccia di tutto per mettersi in mostra; ed addirittura nella smorfia il
termine péreta da nome comune è divenuto quasi nome proprio.
‘ncantarato/a agg.vo m.le o f.le letteralmente: contenuto in
un càntaro (pitale); agg.vo formato, come se fosse una voce verbale, quale
part. pass. masch./f.le sing. aggettivato di un inesistente ’infinito
*incantarà = contenere in càntaro;in pratica si ipotizza l’esistenza d’un verbo
denominale di càntaro con prostesi di un in→’n illativo; a sua volta càntaro o
càntero è un s.vo m.le che indica un antico, desueto alto e vasto cilindrico
vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere,vaso atto a
contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal
basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non
confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea cantàro (che è
dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda
infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= circa un
quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu
cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un
quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre
spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani (e tra costoro spiace
trovare persino supponenti ed applauditi autori sedicenti esperti d’usi e costumi
oltre che dell’idioma napoletani…) sprovveduti e poco informati confondono la
faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè:
meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è
incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro)
piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
4.PARÉ 'NU PÍRETO ANNASPRATO
(o, ma raramente, con riferimento ad una donna: paré 'na
péreta annasprata).
Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato. Lo
si dice salacemente quasi esclusivamente(è rarissima
l’espressione coniugata al femminile) di tutti quegli uomini che arroganti,
boriosi, superbi, presuntuosi e supponenti si diano troppe arie, atteggiandosi
a superuomini, pur non essendo in possesso di nessuna dote fisica o morale atta
all'uopo. Simili individui vengono ipso facto paragonati ad un peto che, ma non
si sa come, risulti inzuccherato,o piú esattamente glassato di naspro, ma che -
per quanto coperto di ghiaccia dolce - resta sempre un maleodorante, vacuo
flatus ventris.
píreto s.vo m.le = peto, emissione rumorosa di gas dagli
intestini. (dal lat. pēditu(m), deriv. di pedere 'fare peti' con alternanza
osco mediterranea di d→r onde pēditu(m)→piritu(m)→píreto);
annasprato/a agg.vo
m.le o f.le =coperto di naspro voce verbale part. pass. masch. sg. aggettivato
dell’infinito *annasprà=coprire di naspro;
la voce naspro ed il conseguente denominale *annasprà (a
quel che ò potuto indagare) sono espressioni in origine del linguaggio
regionale della Lucania, poi trasferitosi in altre regioni meridionali
(Campania, Calabria, Puglia) ed è difficile trovarne un esatto corrispettivo
nella lingua nazionale; si può tentare di tradurre naspro con il termine
glassa, ghiaccia atteso che nel linguaggio dei dolcieri meridionali la voce
naspro indicò ed ancóra indica una spessa glassa zuccherina variamente
aromatizzata e talora colorata, usata per ricoprire e migliorare dei biscotti
in origine dall’impasto abbastanza semplice o povero; in sèguito si usò il
naspro colorato per ricoprire delle torte dolci e quelle nuziali con un naspro
rigorosamente bianco; a Napoli non vi fu festa nuziale che non si concludesse
con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa ghiaccia zuccherina bianca:
la voce gattò mariaggio nel significato di torta del matrimonio fu dal francese
gâteau (de) mariage.
Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non
trattandosi di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove
risulta sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a
riferire l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensarono ad un greco
àspros=bianco, ipotesi che quando ne venni a conoscenza poco mi convinse ed
ancóra poco mi convince in quanto morfologicamente non chiarisce l’origine
della n d’avvio che certamente non à origini eufoniche; penso di poter a
proporre una mia ipotesi tuttavia non supportata da nessun riscontro; l’ipotesi
che formulo (peraltro accolta con un sí convinto dall’amico glottologo prof.
Carlo Iandolo) è che trattandosi di una preparazione molto dolce per naspro si
potrebbe pensare ad un latino (no)n+ asperum→nasperum→naspro, piuttosto che ad
un (n?)àspros.
5.PARÉ 'NU SÓRECE 'NFUSO 'A LL' UOGLIO
Letteralmente: Sembrare un topo bagnato (id est: unto)
dall’olio. Cosí, con icastica rappresentazione ci si riferisce a chi abbia il
capo abbondantemente impomatato, lustro ed eccessivamente profumato, tanto da
poter essere appaiato ad un sorcio che introdottosi in un contenitore d’olio,
ne emerga completamente unto e luccicante; rammento che altrove l’uomo che
appaia cosí tanto pettinato, lustro ed impomatato vien bollato con l’aggettivo
alliffato (unto, impomatato, imbellettato) che è etimologicamente dal greco
aléiphar = unguento, pomata e per estensione belletto;
sórece s.vo m.le = topino domestico, sorcio, dal lat.
sorice(m);
'nfuso = bagnato,
intriso, inzuppato e qui unto voce verb. part. pass. aggettivato dell’infinito
‘nfonnere =bagnare, aspergere,intridere etc. voce dal lat. in→’n+fúndere con la
consueta assimilazione nd→nn;
uoglio s.vo neutro = olio; voce dal lat. oleu(m) dal greco
élaion; dal lat. class. oleu(m) derivò il lat. volg. ŏlju(m) donde uoglio con
tipica dittongazione della ŏ→uo e passaggio del gruppo lj a gli come per
familia→familja→famiglia – filia→filja→figlia;
rammento in coda all’esame dell’espressione che talora i
napoletani meno esperti la usano anche in riferimento a chi, vittima d’un
improvviso acquazzone, a cui non sia sfuggito, risulti del tutto inzuppato ed
intriso d’acqua; per la verità si tratta di un riferimento improprio: i
napoletani d’antan ed amanti della propria cultura sanno che in caso di
acquazzone il paragone da farsi e che meglio regge non è con un topo, ma con un
polpo: cfr. farse/paré comme a ‘nu purpetiello id est: Bagnarsi fino alle ossa
come un piccolo polpo tirato su grondante d'acqua.
BRAK
Nessun commento:
Posta un commento