1.SPAGNOLA o SEGA
SPAGNOLA
Spagnola (trattasi
del di coito intermammario): piú
esattamente occorrere dire SEGA SPAGNOLA in quanto che spagnola è soltanto un
aggettivo; ad ogni buon conto la masturbazione (sega) intermammaria prende il
nome di spagnola in quanto metodo di soddisfazione sessuale maschile ideato ed
attuato dalle prostitute partenopee di stanza in bassi e fondaci presso quelli
che sarebbero stati gli acquartieramenti dei soldati spagnoli (XVI sec.), ma
che già nel XV sec. ospitavano (1495)i soldati francesi di Carlo VIII (Amboise,
30 giugno 1470 – † Amboise, 7 aprile 1498) che fu Re di Francia della dinastia
dei Valois dal 1483 al 1498. Salí alla ribalta cominciando la LLUnga serie di
guerre Franco-Italiane; Carlo entrò in Italia nel 1494 con lo scopo preciso di
metter le mani sul regno napoletano e la sua avanzata scatenò un vero terremoto
politico in tutta la penisola. Incontrò nel viaggio di andata timorosi
regnanti, che gli spalancarono le porte delle città pur di non aver a che fare
con l'esercito francese e marciò attraverso la penisola, raggiungendo Napoli il
22 febbraio 1495. Durante questo viaggio assediò ed espugnò il castello di
Monte San Giovanni, trucidando 700 abitanti, e assediò, distruggendone i due
terzi e uccidendone 800 abitanti, la città di Tuscania (Viterbo).Incoronato re
di Napoli, fu oggetto di una coalizione avversa che comprendeva la Lega di
Venezia, l'Austria, il Papato e il Ducato di Milano. Sconfitto nella Battaglia
di Fornovo nel LLUglio 1495, fuggí in Francia al costo della perdita di gran parte
delle sue truppe. Tentò nei pochi anni seguenti di ricostruire il suo esercito,
ma venne ostacolato dai grossi debiti contratti per organizzare la spedizione
precedente, senza riuscire a ottenere un sostanziale recupero. Morí due anni e
mezzo dopo la sua ritirata, per un banale incidente, sbattendo la testa contro
l’architrave d’ un portone.) ; i quartieri spagnoli, o pi ú semplicemente i
quartieri, presero questo nome intorno alla metà del XVI secolo (1532 e ss.)
per la vasta presenza delle guarnigioni militari spagnole, voLLUte dal viceré
don Pedro di Toledo, destinate alla repressione di eventuali rivolte della
popolazione napoletana. All'epoca, come già precedentemente al tempo di Carlo
VIII, comunque tali quartieri siti a Napoli a monte della strada di Toledo
erano un Luogo malfamato dove prostituzione e criminalità la facevano da
padrone, con malgrado del viceré di Napoli, Don Pedro di Toledo (Pedro Álvarez
de Toledo y Zuñiga (Salamanca, 1484 –† Firenze, 22 febbraio 1553) che fu
marchese consorte di Villafranca e dal 1532 al 1553 viceré di Napoli per conto
di Carlo V d'Asburgo , da cui il nome della strada; questo viceré emanò alcune
apposite leggi tese a debellare il fenomeno,senza riuscirvi; torniamo dunque
alla cosiddetta sega spagnola che fu un accorgimento adottato [al tempo(1495)
della discesa di Carlo VIII e delle sue truppe] dalle meretrici allorché si
diffuse nella città un pericoloso morbo: la LLUe o sifilide (détto comunemente:
mal francese o morbo gallico) e si ritenne che tale morbo fosse stato portato e
propagato nella città, attraverso il contatto con le prostitute locali,appunto
dai soldati francesi al sèguito di Carlo VIII ; da notare che – per converso –
i francesi dissero la LLUe: mal napolitain nella pretesa che fossero state le prostitute
partenopee a diffonderlo fra i soldati carlisti; fosse francese o napoletano le
prostitute invece di soddisfare i clienti soldati con un normale coito, si
limitarono ad un contatto superficiale con quell’esercizio che successivamente
[all’epoca cioé dell’arrivo ed acquartieramento dei soldati spagnoli]fu detto
(sega) spagnola in quanto le prostitute esercitavano in tuguri (bassi e
fondaci) di quei quartieri dapprima francesi, ma poi, nel XVI sec. détti
spagnoli.
2.TENÉ ‘MMANO
nell’esortazione TIENE ‘MMANO!= aspetta, non precipitare
nell’azione quasi che l’azione che si stia per eseguire, possa esser cosa da
trattenere con le mani;
3.TENÉ ‘NA BBELLA MANA A FFÀ ZEPPE
Antica espressione partenopea usata in genere coniugata alla terza persona
“TENE ‘NA BBELLA MANA A FFÀ ZEPPE!”, espressione da taluno riportata
erroneamente come: Tené ‘na bbella mana a ffà zeppole stravolgendone
conseguentemente significato e riferimento semantico. Infatti cosí come
riportata da taluno che probabilmente, come dimostrerò, riporta un modo
scorretto usato temporibus illis popolarmente(con bisticcio di lemmi tra zeppe
e zeppole) in luogo dell’esatta espressione in epigrafe. Confermo che l’espressione in esame esatta è quella
riportata in epigrafe che è da tradursi: Avere una bella mano a far biette
[cunei di legno o di metallo che serveno a rincalzare un mobile, a turare alla
meglio un buco, o in genere a sostituire o surrogare qualche parte mancante] e
va intesa in senso ironico e furbesco, atteso che è espressione riferita a
dileggo di chi usi abitualmente metaforiche zeppe cioè puntelli giustificativi
posti da chi intende rincalzare le proprie azioni o affermazioni palesemente
zoppicanti e lo faccia in maniera continuativa,anche con argomentazioni non
confacenti, con una buona dose di faccia tosta. Ben altro significato assume
l’espressione quando venga stravolta in Tené ‘na bbella mana a ffà zeppole nel
qual caso ci si intende riferire, sia pure ancòra ironicamente, a chi per
abitudine è aduso ad esser scorretto e disonesto nei confronti degli altri,
prendendo a modello un ipotetico pasticciere (ma non rosticciere) che scorretto
e sleale lesini sul quantitativo d'impasto conferito nell’approntare le famose
zeppole, che è un dolce in uso nella festività di san Giuseppe, dolce da non
confondere con la preparazione rustica nota popolarmente sí come zeppulella, ma
che in realtà è da chiamarsi, vedi ultra, correttamente pastacresciuta!
Quanto è bello, icastico e complesso l’idioma napoletano;
basta aggiungere un semplice suffisso [qui il sg. f.le ola o il corrispondente
pl. ole] ad un medesimo tema [qui zepp] per alterare un termine,mutando zepp-e
in zepp-ole e con ciò stravolgere l’intero significato d’una espressione!
Per ciò che riguarda la voce verbale TENE (3ª pers. sg. indicativo
pres. dell’infinito tené)rimando alibi; qui mi soffermo sull’ agg.vo f.le
BELLA [ dal lat. bĕll-am «carina, graziosa»,del m.le bell-us
da *due-nŭLLUs, dim. di duenos, forma ant. di bonus] che nell’espressione in
esame non vale attraente, avvenente, benfatta, chi/che desta nell’animo, per lo
piú attraverso i sensi della vista o dell’udito, un’impressione esteticamente
gradevole, ma vale (con riferimento semantico all’originario significato
dell’agg.vo bonus/bona) adeguata, appropriata, atta, capace (di), confacente,
conforme, conveniente, giusta, idonea, opportuna.
La voce ZEPPOLA s.vo f.le, che in italiano, (con ogni
probabilità con derivazione dal napoletano) indica escLLUsivamente quale sost.
femm. (spec. pl.) una ciambella o frittella dolce tipica di alcune regioni
dell'Italia meridionale, è presente nel lessico della parlata napoletana dove
indica oltre che una tipica ciambella o frittella dolce (zeppola di san
Giuseppe), anche una frittella rustica (‘a zeppulella) ed estensivamente un
particolare difetto di pronuncia, una sorta di balbuzie che impedisce di
esprimersi correttamente e chiaramente (tené ‘a zeppula ‘mmocca= avere la
zeppola in bocca, come chi parlasse male masticando un pezzo di quella
frittella(zeppola) dolce o rustica.
Chiarito però che con l’originaria voce zeppola deve
intendersi la ciambella dolce, e che, a mio sommesso, ma deciso avviso, l’uso
di zeppola per la frittella rustica è un semplice adattamento di comodo, e che
per tale frittella rustica sarebbe piú esatto (come vedremo trattando alibi
della preparazione di tale frittella) parlare di pasta cresciuta o
pastacrisciuta come mi sembra piú acconcio scrivere aggLLUtinando sostantivo ed
aggettivo, dirò che quanto all’etimologia di zeppola (ciambella dolce) una non
confermata scuola di pensiero fa riferimento ad un tardo latino *zipula(m)
peraltro(si noti l’asterisco) non attestato, laddove io reputo invece che
zeppula (letteralmente zeppola) sia voce che abbia una derivazione dal latino
serpula→seppula→zeppula/zeppola e debba indicare innanzi tutto e quasi
escLLUsivamente il caratteristico dolce partenopeo, in uso per la festività di
san Giuseppe(19 marzo) , di pasta bigné disposta, con un sac a poche, a mo’ di
ciambella, poi fritta due volte: la prima in olio bollente e profondo, la
seconda nello strutto o (meno spesso) cotta al forno, spolverizzata di zucchero
e variamente guarnita con crema pasticciera ed amarene candite; il dolce à
origini antichissime quando intorno al 500 a.C. si celebravano a Roma le
Liberalia, che erano le feste delle divinità dispensatrici del 'vino e del
grano nel giorno del 17 marzo. In onore di Sileno, compagno di bagordi e
precettore di Bacco, si bevevano fiumi di vino addizionato di miele e spezie e
si friggevano profumate frittelle di frumento; le origini del dolce dicevo
furon dunque antichissime , anche se pare che la ricetta attuale delle
napoletane zeppole di san Giuseppe (peraltro già riportata in un suo famoso
manuale di cucina da Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino(2 settembre 1787 †
5 marzo 1859)) sia opera di quel tal Pasquale Pintauro(1815 ca) che fu anche,
come vedemmo alibi, l’ideatore della sfogliatella, il quale rivisitando le
antichissime frittelle romane di semplice fior di frumento,ed ispirandosi ai
consigli del Cavalcanti diede vita alle attuali zeppole arricchendo l’impasto
di uova,strutto ed aromi vari e procedendo poi ad una doppia frittura prima in
olio profondo e poi nello strutto; la tipica forma a ciambella della zeppola
rammenta – ò detto - la forma di un serpentello (serpula) quando si attorciglia
su se stesso da ciò è quasi certo che sia derivato il nome di zeppola (
morfologicamente nel napoletano è normale il passaggio di S a Z e
l’assimilazione regressiva rp→pp).
ZÉPPA s.vo f.le [voce di origine longob.]. – 1.in primis
pezzo di legno che serve a rincalzare un mobile, o per turare alla meglio un
buco, o in genere per sostituire o surrogare qualche parte mancante. 2. bietta,
calzatoia, 3. fig. come nel caso che ci occupa puntello,rimedio improvvisato,
pezza, taccone,toppa....
4.TENE ‘NA MEZA LENGUA
Ad litteram : Avere
una mezza lingua Id est : non parlar correttamente o chiaramente come chi non
fosse provvisto di un’intera lingua ma solo della metà ; antica espressione
ancóra utilizzata in primis per celiare bonariamente ed affettuosamente gli
infanti che tardino a parlare e lo facciano stentatamente ; espressione usata
altresí per dileggiare gli adulti che balbuzienti non riescono a parlar
correttamente o chiaramente risultando ridicoli, comici, buffi.
meza agg.vo f.le = mezza,metà di qualcosa, poco meno di,
quasi; etimologicamente voce dal lat. media(m)
lengua s.vo f.le =
lingua, organo mobile della bocca, che compie i movimenti necessari alla
masticazione, alla deglutizione e (come nel caso che ci occupa)
all'articolazione della voce; etimologicamente voce dal lat. língua(m)→lengua.
5.TENÉ ‘NCANNA E PPURTÀ ‘NCANNA
Anche questa volta faccio sèguito ad un quesito rivoltomi
dall’amico M.M. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar
solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche)
occupandomi delle due espressioni partenopee in epigrafe che ad un profano non
meridionale parrebbero indicare la medesima azione, atteso che qualche
impreparato iconoclasta potrebbe rendere in italiano con un unico avere alla
gola che non chiarirebbe nulla circa le esatte valenze delle due espressioni
che in realtà sono affatto diverse e sono addirittura antitetica l’una
dell’altra. Entro in medias res e preciso súbito che la napoletana tené ‘ncanna
à da rendersi in italiano con un tenere alla gola, mentre l’espressione purtà
‘ncanna deve rendersi in italiano con un portare alla gola. Si tratta cioè di
due cose molto diverse e qui di sèguito preciso. Con la prima espressione, tené
‘ncanna costruita con il verbo tenere mantenere, reggere,serrare, stringere si
connota un’azione sgradevole, quasi súbita, sopportata facendosi riferimento a
qualcosa e/o qualcuno che molto poco amabilmente ci serri, ci stringa alla gola
quasi come una corda, un cappio cosa cioè tutt’altro che piacevole. Al
contrario con l’espressione purtà ‘ncanna costruita con il verbo portare,
reggere, sorreggere, sostenere, supportare,avere si connota un’azione
gradevole, non tollerata, ma quasi cercata,voluta e di cui si è contenti
facendosi riferimento a qualcosa e/o qualcuno che gradevolmente si porti, si
regga, figuratamente sospeso al collo e o gola a mo’ di prezioso monile. Si
tratta, ripeto di due cose molto diverse di cui la prima rappresenta un tedio,
un fastidio, mentre la seconda rappresenta un piacere,un diletto.
BRAK
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