1.TU ME CIECHE E I' TE FOCO nella locuzione FACIMMO TU ME
CIECHE E I’ TE FOCO.
Ad litteram: Tu mi accechi ed io ti strangolo nella
locuzione facciamo tu mi accechi ed io ti strangolo.
Espressione usata, in ispecie con la locuzione indicata, per
significare che si intende rispondere per le rime ad ogni azione ricevuta,
ricambiando male con male, cattiveria con cattiveria, al segno che i rapporti
derivanti saranno di lotta perenne, atteso che nessuno dei contendenti à in
animo di voler recedere e di sopportare un torto subíto ; la locuzione un tempo
era normalmente usata a sapido commento dei rapporti turbolenti dei ragazzi di
casa in perenne contrasto tra di loro.
2.TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e
l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita
si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli
sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il
cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente
fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua
alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta
llà discende, quale patente corruzione, dal greco froutha-froutha col medesimo
significato di : allontanati, sparisci.
3.TU NUN CUSE, NUN FILE E NNUN TIESSE: TANTA GLIUOMMERE 'A
DO' T''E CCACCE?
Ad litteram: Tu non cuci, non fili, né tessi, tanti gomitili
da dove li tiri fuori?
E' questa l'ironica e chiaramente retorica domanda che si
suole rivolgere a chi, notoriamente non occupato a fare oneste attività
produttive, sia improvvisamente ed inspiegabilmente pervenuto ad accumulare
ingenti quantità di danaro; lo gliummero della locuzione, normalmente - con
derivazione dal lat. glomere(m) - significa gomitolo , ma talvolta sta per
peculio, ed in particolare per una somma pari a ca. cento ducati d'argento che
poteva esser messa insieme, senza lavorare , solo truffaldinamente.
4.TURNÀ A CCOPPE
Ad litteram: tornare a coppe id est: ribadire continuamente
ed ostinatamente i medesimi concetti, ritornare impudentemente sui medesimi
argomenti, già abbondandemente trattati e sceverati e farlo quindi inutilmente
se non irritantemente. Modo di dire richiamante una ipotetica fase del giuoco
del tressette, allorché un cattivo giocatore, contravvenendo i desideri del
compagno, ritornasse erroneamente a mettere in tavola il seme di coppe, seme di
cui il compagno sia sprovvisto di buone carte e dunque seme non confacente ad
un proficuo continuar del gioco.Difficile, se non impossibile stabilire perché,
dei quattro possibili: denari, spade, coppe e bastoni, per il modo di dire in
epigrafe si sia scelto il seme di coppe; azzardo l'ipotesi, sulla quale però
non son disposto a giurare, che sia avvenuto per un inconscio richiamo al
manuale del giuoco del tressette scritto in latino maccheronico e napoletano
arcaico da un giocatore del 1700, tale Chitarrella, il quale ebbe a scrivere:
si nun tiene che ghiucà, joca coppe(se non ài di che giocare, gioca coppe)
ammantando di immeritata importanza il seme ricordato; ma è solo un'ipotesi che
per quanto probabile, non è avvalorata da alcun riscontro storico.
5.TURNÀ 'A STIMA A CQUACCUNO
Ad litteram: render la stima a qualcuno; id est:
riconfermare la fiducia o anche il rispetto a qualcuno cui, per errore o
transeunti, futili motivi erano stati tolti.
6.ABBASSO A
LL’ ACQUAQUIGLIA
In un suo
famosissimo sonetto: GENTILHOMMERIE Libero Bovio scrive in un verso: ché se tu scendo abbasso all’Acquaquiglia,
ed il carissimo amico N.C. [al solito, motivi di riservatezza mi impongono
di riportar solo le iniziali di nome e
cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche] mi à chiesto, per le vie
brevi, di chiarirgli, quale fósse la zona di Napoli presa in considerazione dal
poeta, atteso che mi à detto di non aver mai saputo di una via o un quartiere
napoletano chiamato Acquaquiglia. Confesso che la ricerca è stata faticosa, ma
alla fine ne sono venuto a capo e posso dire, senza téma di smentite, che
allorché il poeta parlò di “abbasso all’Acquaquiglia”, intendeva riferirsi alla zona Porto Basso,tra il Mandracchio e la
vecchia Dogana del sale, posta cioè all'incrocio
tra via Conte Olivares e via Molo
Piccolo, zona nota tra il popolo della città bassa con il nome
riportato dal poeta e mutuato da quello di un’antichissima fontana: “AQUAQUILIA”
[fontana risalente al 1589, voluta dal fondatore della casata Borbone Enrico IV di Borbone, detto Enrico il Grande
(le grand) (Pau, 13 dicembre 1553 –†Parigi, 14 maggio 1610), fontana che
era ubicata all’altezza
dell’angolo sud dell’incrocio tra le attuali Via Marchese Campodisola e Via
Conte Olivares e che fu una di quelle demolite, al tempo del presidente del
consiglio itagliano Agostino De Petris, dalla furia iconoclasta degli addetti allo
sventramento di Napoli, ipotizzato sin dalla metà dell'Ottocento, e portato a compimento
a seguito di una epidemia di colera, avvenuta nel 1884, sotto la spinta del sindaco
di allora, Nicola Amore; e cosí nel 1885, allo scopo – si disse - di risolvere il problema del degrado di alcune
zone della città che era stato, secondo il sindaco Amore, la principale causa
del diffondersi del colera, si decise l'abbattimento di numerosi edifici tra i
quali appunto la Fontana
dell'Aquaquilia. È chiaro che l’originario nome latino Aquaquilia
fu storpiato dal popolo della città bassa in ACQUAQUIGLIA e cosí conservato nella memoria di poeti d’antan.
Quanto all’origine del nome
AQUAQUILIA bisogna partire da “Aqua
Aquilia”, con l'idronimo aqua
determinato da un aggettivo derivato da un antroponimo, come è per la romana Acqua Marcia (lat. aqua Marcia, dal
pretore del 144 a.C Quinto Marcio Re). Da
un Aquilius prendono analogamente il nome la via Aquilia (fatta costruire da Manlio Aquilio
Gallo nel 65 a.C., da Capua a Reggio
Calabria) e la antica lex Aquilia, voluta probabilmente da un tribuno della plebe. Il nome Aquilius è
sicuramente attestato in Campania dalle
iscrizioni (Paestum, ma anche Capua, Ercolano, Miseno, Pozzuoli).Con ogni probabilità all’epoca
dell’edificazione alla fontana voluta dal Borbone fu dato un nome latineggiante
nell’intento di farla apparire piú antica di quel che fósse.
Non mi pare
ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato
l’amico N.C. ed interessato qualcun altro
dei miei ventiquattro lettori e
chi forte dovesse imbattersi in
queste paginette. Satis est.
Raffaele
Bracale
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