1.PARLÀ CU ‘O CHIUMMO E CU ‘O CUMPASSO
Icastica espressione
che ad litteram è: parlare con il(filo a) piombo ed il compasso id est:
esprimersi ed agire in ogni occasione con estrema attenzione, cautela e
prudenza,non disgiunte da accortezza, circospezione, avvedutezza, ponderazione,
avvertenza, precauzione e precisione alla stregua del muratore che, se vuole
portare a termine a regola d’arte le proprie opere, non può esimersi dal far
ricorso al filo a piombo, compasso, livelle ed altri strumenti consimili.
L’atteggiamento fotografato dall’espressione a margine è proprio del prudente,
spesso pusillanime e di chi sia cauto, accorto, attento, avveduto, giudizioso,
previdente, oculato, riflessivo, ponderato, misurato, controllato, vigile,
circospetto, guardingo.
chiummo s.vo neutro = piombo, ma qui filo a piombo
la voce è dal lat. plumbeu(m) con il tipico passaggio del
gruppo lat. pl al napoletano chi (cfr. plu(s)→chiú – plovere→chiovere –
plaga→chiaja etc.);
cumpasso s.vo m.le = compasso, strumento formato da due aste
collegate a cerniera, usato per disegnare circonferenze o misurare distanze;
la voce è un deverbale del lat. volg. *cumpassare, comp. di
cum 'con' e un deriv. di passus 'passo' = mantenere il medesimo passo.
2.PARLÀ CU ‘O REVETTIELLO
Ad litteram: parlare con la ribattitura id est: parlare con
doppiezza, esprimersi con equivocità, finzione, slealtà. Azione tipica di
coloro - in ispecie donne -che malevole e per vigliaccheria non aduse ad
esprimere apertamente il proprio pensiero, le proprie opinioni, parlano in
maniera ostile, sfavorevole, animosa, astiosa, avversa, esprimendosi mai
chiaramente ma per traslati, per sottintesi, per allusioni con la doppiezza
richiamante il revetto o revettiello s.vi m.li (il secondo è un diminutivo del
primo): doppia cucitura rinforzata posta agli orli di gonne e sottogonne per
impedirne il logoramento; l’etimo è dal fr. rivet dal verbo river= ribadire,
rafforzare.
3.PARLÀ GIARGIANESE/GGIAGGIANESE
L’espressione in esame si avvale di una vecchia parola (fine
19° sec) che quasi sparita nel corso del tempo, ricomparve d’improvviso, negli
anni ’40 del 1900, sia pure leggermente modificata quanto alla morfologia , ma
non nel significato; la parola in esame è giaggianese (che piú opportunamente
in corretto napoletano andrebbe scritta con la geminazione iniziale: ggiaggianese),
voce che poi divenne giargianese parola che nel significato estensivo di
imbroglione ed in quello primo di straniero dal linguaggio incomprensibile si
ritrovò e talvolta si ritrova ancóra nel salentino: giaggianese, nel pugliese:
giargianaise e qui e lí in molti altri linguaggi centro-meridionali dove è:
gjargianese, gjorgenese.
L’originaria voce ggiaggianése fu coniata sul finire del 19°
sec., modellata per corruzione sul termine viggianese e fu usata per indicare
alternativamente o taluni caratteristici suonatori ambulanti, o déi piccoli
commercianti lucani che arrivavano alle latitudini centro-meridionali per
acquistare uve e/o mosto semilavorato; di tali piccoli commercianti e/o
suonatori solo una piccola parte provenivano effettivamente da Viggiano centro
in prov. di Potenza, ma poiché tutti i commercianti che non fossero campani, e
soprattutto quelli provenienti dal nord, parlavano un idioma non molto
comprensibile si finí per considerarli tutti viggianesi e dunque ggiaggianise
plurale. metafonetico di ggiaggianese; fu cosí che con il termine ggiaggianese
si indicarono tutti gli stranieri che non parlassero un linguaggio noto o
comprensibile; va da sé che poiché, nell’inteso partenopeo, chi non parla in
modo chiaro e comprensibile lo fa per voler imbrogliare, ecco che ggiaggianese
estensivamente indicò l’imbroglione pericoloso ed in tali accezioni ( suonatore
ambulante, commerciante, straniero incomprensibile, imbroglione) la voce fu
usata a lungo nel parlato comune; a mano a mano poi quasi per naturale
consunzione essa sparí dall’uso e non se ne ritrova memoria neppure nei
calepini piú o meno noti od usati ( che ànno il torto d’essere compilati
basandosi esclusivamente sugli scritti dei classici che mai presero in
considerazione la voce di cui tratto). Come d’incanto la voce riapparve
nell’uso del parlato comune intorno agli anni ’40 del 1900, quando in Campania,
Puglia, Abruzzo etc. sciamarono le truppe alleate che parlavano un linguaggio
incomprensibile, ad un dipresso un linguaggio tale (per non essere
intellegibile facilmente) da potersi appaiare a quello tipico dei ggiaggianesi;
fu in questo periodo che la voce ggiaggianese subí una sorta di ammodernamento,
allorché (come nel 1961, con felice intuizione chiarí il grandissimo prof.
Rohlfs ) accostando a ggiaggianese il nome proprio George usatissimo fra gli
alleati si ottenne giargianese, nelle medesime accezioni surriportate.
4.PARLÀ MAZZECATO
Ad litteram: parlare masticato, profferir parole masticate
id est parlare con reticenza; esprimersi con riluttanza, con vaghezza ed
ambiguità sottacendo fatti o situazioni anche importanti di cui per timore o
per colpevole menefreghismo, sciatteria, indolenza, noncuranza non si voglia
far verbo come si comporterebbe chi da scostumato parlasse tenenendo la bocca
occupata da un boccone che stesse masticando, per cui sarebbe costretto a non
esprimersi con chiarezza e lo facesse quasi triturando le parole che
risulterebbe non intellegibili, quasi sbocconcellate.
mazzecato = masticato, mordicchiato, triturato con i denti;
etimologicamente è il p.p. aggettivato dell’infinito
mazzicare/mazzecare/mazzecà = mordere, masticare dal lat. tardo
masticare→mazzicare, che è dal gr. mastichân, deriv. di mástax -akos 'bocca'.
5.PARLÀ SPARO
Letteralmente: parlar dispari, caffo che sta per parlare
offensivamente oltraggiosamente ed addirittura minacciosamente; semanticamente
la cosa si spiega con il fatto che nel giuoco del paro e sparo (pari e
dispari/caffo)sorta di morra in cui si deve indovinare se il numero totale delle
dita che i giocatori apriranno sarà pari o dispari, il giocatore che
partecipasse al gioco con il massimo dei numeri dispari da lui giocabili cioè
il cinque,apriva completamente distendendolo il palmo della mano (in arabo kaff
donde l’italiano caffo=dispari ) per mostrare appunto le cinque dita assumendo
cioè una posizione quasi aggressiva come se volesse minacciare l’avversario di
percuoterlo a mano aperta;per cui chi parlasse offensivamente, minacciosamente
oltraggiosamente si disse che parlasse sparo come colui che distendendo
interamente la mano giocasse un numero ( il cinque) dispari/caffo = sparo.
sparo agg.vo ed avverbio = dispari, in modo diverso,
disuguale e per ampliamento semantico offensivo, oltraggioso, minaccioso etc.
per l’etimo si deve risalire al lat. dis+pare(m)→(di)spare(m)→sparo, comp. di
dis→s e par paris 'pari' cioè non pari .
BRAK
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