1.PARLÀ SULO
Ad litteram: parlar da solo, senza relazionarsi Détto di
chi,accreditato d’essere folle o tendente alla pazzia venga isolato negandogli
la possibilità di relazionarsi con gli altri e lo si costringa al vuoto ed
inconferente soliloquio, al parlar da solo con se stesso che è proprio – per
l’appunto – l’atteggiamento irrazionale di chi sia o faccia le viste d’esser
pazzo, demente, folle, dissennato, squilibrato, forsennato, irragionevole,
malato di mente, mentecatto.
Sulo agg.vo e talora anche avv. (sulo/sulamente) , ma qui
aggettivo: isolato, senza compagnia,abbandonato, trascurato, accantonato,
reietto, derelitto quanto all’etimo è dal lat. solu(m).
2.PARLA SULO QUANNO PISCIA 'A GALLINA!
Ad litteram: Parla solo quando orina la gallina! Perentorio
icastico monito rivolto a chi (e segnatamente arroganti, saccenti o
supponenenti) si voglia indurre al silenzio e a non metter mai lingua nelle
faccende altrui; monito che è rivolto, prendendo (però erroneamente) a modello
la gallina che pur non possedendo uno specifico organo deputato all’uopo, non è
vero che non orini mai, ma compie le sue funzioni fisiologiche in un'unica
soluzione attraverso un organo onnicomprensivo détto cloaca.
Analizziamo le singole parole, cominciando da
quanno: avverbio = in quale tempo, in quale momento; dal
latino quando con tipica assimilazione progressiva nd→nn;
gallina: tipico animale da cortile, femmina del gallo, piú
piccola del maschio, con piumaggio meno vivacemente colorato, coda piú breve,
cresta piccola o mancante, speroni e bargigli assenti; viene allevata per le
uova e per le carni (ord. Galliformi); nell’immaginario comune è inteso animale
stupido e di nessuna intelligenza e ciò forse perché – avendo testa piccola –
si pensa che abbia poco cervello; etimologicamente il nome è dal lat.
gallina(m), deriv. di gallus 'gallo';
3.PARLÀ TOSCO
L’antica, desueta espressione napoletana a margine (peraltro
assente in tutti i numerosi lessici napoletani antichi e moderni,in mio
possesso ma viva e vegeta fino a tutti gli anni cinquanta del 1900 sulla bocca
degli abitanti della città bassa partenopea) fu usata in due diverse accezioni:
a) per
significare un parlare eccessivamente forbito e ricercato che eccedesse una
normale comprensibilità, come accadeva quando in un dialogo uno degli
interlocutori invece di usare la comprensibile parlata locale, s’azzardasse ad
adoperare la poco comprensibile lingua nazionale infiorando o tentando di
infiorare l’eloquio con parole rifinite, limate, ripulite tali da risultare
oscure ed incomprensibili; di costui si diceva che parlasse tosco dove con
l’agg.vo tosco non si voleva intendere, con derivazione dal lat. tuscu(m),
toscano , ma ci si riferiva ad altro agg.vo tosco quello che con derivazione
dall'albanese toske, indica l’astruso linguaggio di una popolazione albanese di
religione musulmana, stanziata a sud del fiume Shkumbi.Chi cioè parlasse non in
napoletano, ma in un italiano forbito e rifinito veniva accreditato
nell’immaginario popolare comune d’usare, quasi per certo, a fini truffaldini
un linguaggio volutamente incomprensibile, simile appunto all’astruso
linguaggio dialettale tosco di una popolazione albanese;
b) la seconda
accezione del parlar tosco era riferita a chi, sempre a fini truffaldini fosse
eccessivamente esoso nelle sue richieste di compenso per un lavoro fatto o da
farsi; di costui si diceva che parlasse tosco non perché adoperasse la poco
comprensibile lingua nazionale infiorando o tentando di infiorare l’eloquio con
parole rifinite, limate, ripulite tali da risultare oscure ed incomprensibili,
ma perché, pur parlando magari in istretto napoletano,con parole chiare e
comprensibili, fosse cosí esoso nelle sue richieste d’apparire disonesto o
truffaldino se non addirittura ladro tale da sconsigliare di tener mercato con
Lui, quasi che parlasse un incomprensibile, sibillino linguaggio gergale da
consorteria e perciò tosco= astruso.
Rammento, per completezza, che anche nei linguaggi iberici:
spagnolo, portoghese (dai quali talora il napoletano à attinto) esiste il
termine tosco ma vale grossolano, approssimativo, poco fine, di esecuzione poco
accurata; ordinario, dozzinale ed in tali accezioni non è mai usato nel
napoletano per cui il termine partenopeo tosco non è stato marcato nè sullo
spagnolo, nè sul portoghese, ma sull’albanese.
Quando poi un
interlocutore non solo parlasse in italiano piú o meno forbito, ma sconfinasse
nella lingua francese veniva accreditato di parlare cu ‘o scio’-sciommo;
4.PARLARE CU ‘O SCIO’-SCIOMMO
è infatti un’espressione intraducibile ad litteram che viene
ancóra usata per canzonare il risibile modo affettato e falsamente raffinato
dell'incolto che pensando erroneamente di esprimersi in corretto toscano, in
realtà si esprime in modo ridicolo e falso con un idioma che scimmiotta
solamente la lingua di Dante, risultando spesso piú simile ad una lingua
francese malamente appresa però, della quale vengono colti essenzialmente molti
fonemi intesi come sci (←ch); da tale suono è stato tratto l’onomatopeico
sciommo che reiterato nella prima parte (sciò) à dato lo scio’-sciommo inteso
sostantivo neutro.
5.PASSA 'A VACCA
Ad litteram: passa la vacca In realtà l'espressione che di
solito è usata assieme all'altra: fa acqua 'a pippa (vedi alibi) viene usata
per indicare un chiaro, inequivocabile stato di indigenza, una incommensurabile
inopia quando manchi tutto e non si abbiano mezzi per procurarsi alcunché.Come
facilmente intuibile, i bovini non c'entrano nulla con la locuzione che è piú
semplicemente corruzione di un latino medioevale: passant vacua/passat vacua
espressione usata dai doganieri medioevali per segnalare quel/quei carro/i
transitante/i vuoto/i di merci e dunque non soggetto/i al pagamento di
balzelli.
BRAK
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