martedì 7 febbraio 2017

VARIE 17/158

1.JÍ CU ‘O SIDDIVÒ E CU ‘O SENZA PRESSA Ad litteram: andare con il se-dio-vuole e con il senza-fretta Locuzione di portata simile alla precedente, ma con una piú marcata sottolineatura della lentezza usata nell’agire; locuzione che è usata soprattutto per indicare la neghittosità di chi si dispone ad agire, che lo fa senza quasi porvi volontà, ma fidando esclusivamente nella spinta ed aiuto del Cielo. 2.JÍ DINTO A LL’OSSA Ad litteram: andare nelle ossa detto di tutto ciò che risulti ampiamente giovevole, utile e proficuo che faccia quasi assaporarne i benefici fin nelle ossa; la locuzione però non attiene escLLUsivamente al piano fisico , potendosi usare anche e forse soprattutto con riferimento morale. 3.JÍ FACENNO 'O GGIORGIO CUTUGNO. Letteralmente: andar facendo il Giorgio Cotugno. Id est: andare in giro bighellonando, facendo il bellimbusto, assumendo un'aria tracotante e guappesca alla stessa stregua di un tal mitico Giorgio Cotugno scolpito in tali atteggiamenti su di una tomba della chiesa di san Giorgio maggiore a Napoli. Con la locuzione in epigrafe il re Ferdinando II Borbone Napoli soleva apostrofare il duca Giovanni Del Balzo che era solito incedere con aria tracotante anche davanti al proprio re. 4.JÍ GIURGIULIANNO oppure JÍ ‘NZUNZULIANNO Ad litteram: andar bighellonando; id est: andare girozolando, ma farlo alla maniera del giurgio* cioé dell’ebbro, ciondolando, magari a rischio di cadere, andar senza meta e senza scopo; l’alternativa proposta in epigrafe esprime i medesimi concetti, ma è voce piú moderna coniata partendo dal termine zonzo. *Etimologicamente giurgio risulta essere non la corruzione del nome Giorgio inteso, partendo dalla figura del Santo guerriero, come un gradasso, uno spaccone dall’andatura presuntuosa ed altalenante, tal quale l’ ubriaco, ma pi ú esattamente una derivazione del fr. gorge= gola in riferimento all’organo deputato ad accogliere le bevute 5.JÍ METTENNO ‘A FUNE ‘E NOTTE Ad litteram: Andar mettendo la fune di notte. Locuzione che si usa pronunciare risentitamente, in forma negativa ( nun vaco mettenno ‘a fune ‘e notte) (non vado tendendo la fune di notte)oppure sotto forma di domanda retorica: ma che ghiesse mettenno fune ‘e notte?(forse che vado tendendo funi di notte?)per protestare la propria onestà, davanti ad eccessive richieste di carattere economico; a mo’ d’esempio quando un figlio chiede troppo al proprio genitore, costui nel negargli il richiesto usa a mo’ di spiegazione la locuzione in epigrafe, volendo significare: essendo una persona onesta e non un masnadiero abituato a rapinare i viandanti tendendo una fune traverso la strada, per farli inciampare e crollare al suolo, non ò i mezzi economici che occorrerebbero per aderire alle tue richieste; perciò règolati e mòderale ! BRAK

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