1.OMMO 'E CIAPPA.
Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo
importante, di vaglia. La locuzione à origini antichissime addirittura
seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cd
repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città.
Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che
formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta consorteria.
2.'ON SIMONE, STAMPA E CUMPONE.
Letteralmente: don Simone stampa e compone. Cosí,
furbescamente son apostrofati, a Napoli, coloro che per mera saccenteria, per
gratuita supponenza affermano di esser capaci di bastare da soli a far tutto,
rifiutando - per questo - aiuti o consigli da chicchessia; il don Simone della
locuzione assomma in sè l'abilità del tipografo stampatore e la capacità del
tipografo compositore.
3.ORAMAJE À APPISO 'E FIERRE A SANT' ALOJA.
Letteralmente: ormai à appeso i ferri a sant'Eligio. Id est:
ormai non à piú velleità sessuali,(à raggiunto l'età della senescenza ...)Il
sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese Alois) al mercato,
basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad appendere i ferri
dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di lavorare. Da questa
consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli anziani.
4.PARÉ ‘A CUCCUVAJA ‘E PUORTO
Letteralmente: Sembrare la civetta del Porto; icastica,
antica espressione usata a mo’ di dileggio riferita ad una donna molto poco
avvenente, arcigna e sgraziata, anziana, bassa, tracagnotta e grassa e che
incuta spavento o timore. L’espressione in origine (fine XVI sec.) faceva
riferimento alla civetta che accompagnava la statua della dea Minerva (dea
della filosofia e della saggezza oltreché protettrice delle acque) una delle
statue presenti sul basamento della Fontana degli Incanti: detta anche d’ ‘a
Cuccuvaja in Piazza dell'Olmo, nel Quartiere Porto; la fontana fu détta degli
Incanti perché (a voler credere ad una leggenda) una malefica, potente strega della
città, usava frequentemente l'acqua della fontana per i suoi incantesmi; ma piú
verosimilmente fu cosí chiamata prendendo a riferimento gli Incantatori
(venditori di merce ai pubblici incanti) che svolgevano il loro lavoro
all’aperto nei pressi della fontana che sorgeva nel mezzo della piazza
all'ombra di un grande olmo che dava il nome alla piazza.
La fontana disegnata da Giovanni da Nola (Nola 1488 –
†Napoli 1560) sorgeva, come ò détto, nel mezzo della Piazza su di una base
quadrangolare formata da un monte con 4 grotte, nelle quali vi erano le statue
di: Venere, Apollo, Cupido, Minerva; in cima al monte da una tazza rigurgitante
acqua si ergeva un aquila con le Armi dell'Imperatore Carlo V e sull'esterno,
in un tondo ortogonale alla grotta della Minerva, era scolpita una civetta (in
napoletano cuccovaja); come è risaputo la fontana fu costruita nel XVI secolo
nella piazza dell’ Olmo al Porto, quando il viceré Pedro Álvarez de
Toledo(Salamanca 1484 – †Firenze 22/02/ 1553) volle realizzare una struttura
idrica per l'approvvigionamento degli abitati del Luogo. Fu disegnata, ripeto
da Giovanni Merliano scultore noto come Giovanni da Nola, ma al rifacimento di
alcune parti andate distrutte partecipò anche lo scultore Annibale
Caccavello(Napoli 1515 – †Napoli 1570) che scolpí la statua di Venere.
Danneggiata nei tumulti (luglio 1647) di Masaniello (Tommaso
Aniello d'Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello (Napoli, 29 giugno 1620 –
†Napoli, 16 luglio 1647), la fontana venne riportata al nuovo splendore con i
rifacimenti di alcune parti realizzate da tali non meglio identificati
Francesco Castellano ed Antonio Iodice, sotto la supervisione di Francesco
Antonio Picchiatti(Napoli1619 – †Napoli 1694); riparata piú volte nel corso del
XVIII secolo, nel 1834, l'architetto Pietro Bianchi((Lugano 1787 -† Napoli
1849). ne ricostruí una buona parte;scampata alle demolizioni del Risanamento,
venne smontata ed all'inizio del XX secolo ricostruita in piazza Salvatore Di
Giacomo(Napoli 1860 -† ivi 1934) a Posillipo, ma per i napoletani d’antan
rimase e rimane ancóra ‘a funtana d’ ‘a cuccuvaja ‘e Puorto;rammento poi che
sul finire del 1800 ed i principi del 1900 con l’espressione ‘a cuccuvaja ‘e
Puorto , pur continuando ad usarla quale insolente espressione di irrisione, non
ci si riferiva piú all’antica tozza, brutta civetta che accompagnava la
Minerva, ma ci si riferiva con sarcastica, malevola impertinenza a Matilde
Serao(Patrasso 1856 - †Napoli 1927), la famosissima scrittrice e giornalista
napoletana fondatrice a Napoli de Il Giorno con sede in Angiporto della
Galleria, giornalista che per il vero era effettivamente una donna molto poco
avvenente, arcigna e sgraziata, anziana, bassa, tracagnotta e grassa, la cui
vista incuteva timore se non addirittura sgomento!
cuccuvaja s.vo f.le = 1.civetta e talora nottola, ed anche
2. donna brutta e sgraziata che incute timore; etimologicamente voce dal greco
kikkabâu.
5.PARÉ ‘A FUNA I ‘A TERÒCCIOLA
Letteralmente: Sembrare la fune e la carrucola; icastica,
antica espressione peraltro desueta preferendole l’uso della successiva (Paré
variante stà cazza e ccucchiara) ambedue usate per indicare due individui
(amici,consanguinei etc.) che stiano sempre insieme procedendo di pari passo
quasi inscindibilmente legati; nell’espressione a margine
gli oggetti presi a modello sono una fune ed una carrucola di pozzo, fune e
carrucola che solo in unione posson concorrere ad issare il secchio colmo
d’acqua; nell’espressione che segue gli oggetti presi a modello sono invece il
secchio della calcina e la mestola strumenti usati dal muratore sempre insieme.
funa s.vo f.le = fune, insieme di piú fili di canapa, d'acciaio o di altro
materiale ritorti e intrecciati fra di loro; corda, cavo,
etimologicamente dal lat.parlato *funa(m) per il cl.
fune(m); teròcciola s.vo f.le = carrucola,macchina per sollevare pesi
costituita da una ruota scanalata entro cui scorre una fune, paranco, girella
ed altrove per traslato (semanticamente spiegato con il continuo cigolio della
carrucola) anche viva parlantina, chiacchiera spesso fastidiosa; rammento
ancora che la voce teròcciola usata al pl. teròcciole indicò un tempo le
piccole carrucole metalliche che in tempi remoti regolavano le grosse bretelle
di cuoio, che sorreggevano le braghe. Etimologicamente la voce a margine è
forsedal lat. volg.torciola diminutivo di torcja variante di torca= collana, ma
trovo piú perseguibile l’idea del lat. trochlĕa marcato sul greco trochiléia.
BRAK
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