giovedì 30 novembre 2017

VARIE 17/1215



1.LL’AMMORE NUN VO’ PENZIERE!
Ad litteram: L’amore non vuol pensieri, seu preoccupazioni.
Stringata, perentoria locuzione che ricamando l’amore inteso nel senso materiale del coito intende rammentare che non c’è attività, soprattutto quelle dilettevoli, che si possa principiare o esser portata a compimento se non in presenza di una mente sgombra di ansie, apprensioni, inquietudini che possono risultare deterrenti ed inibitorie.
2.LL'ABBATE TACCARELLA.
Letteralmente: l'abate Taccarella. Con questo soprannome viene bollato, a Napoli, la malalingua, lo sparlatore, colui che, metaforicamente, tagliuzzi gli abiti addosso ad una persona; il nome Taccarella è chiaramente un deverbale desunto appunto dal verbo taccarià che significa tagliuzzare, ridurre in minuti pezzetti.
3.LL'ACQUA 'NFRACETA 'E BBASTIMIENTE A MMARE.
Letteralmente: l'acqua rende fradice le navi in mare. Cosí gli accaniti bevitori di vino sogliono respingere un bicchiere d'acqua che venga loro offerto, volendo significare che mutare le abitudini buone può essere pernicioso, se non deleterio.
4.LL'ARTE 'E TATA È MMEZA 'MPARATA.
Letteralmente: l'arte del padre è appresa per metà. Con questa locuzione a Napoli si suole rammentare che spesso i figli che seguano il mestiere del genitore son favoriti rispetto a coloro che dovessero apprenderlo ex novo. Partendo da quanto affermato in epigrafe spesso però capita che taluni si vedano la strada spianata laddove invece al redde rationem mostrano di non aver appreso un bel nulla dal loro genitore e finisce che la locuzione nei riguardi di tali pessimi allievi debba essere intesa in senso ironico ed antifrastico.
5.LL'AUCIELLE S'APPARONO 'NCIELO I 'E CHIAVECHE 'NTERRA.
Letteralmente: gli uccelli si accoppiano in cielo e gli uomini spregevoli in terra. È la trasposizione in chiave rappresentativa del latino: similis cum similibus, con l'aggravante della spregevolezza degli individui che fanno comunione sulla terra. Il termine: chiaveche è un aggettivo sostantivato, formato volgendo al maschile plurale il termine originario: chiaveca (dal lat. tardo clavica(m), per il class. clovaca(m))che è la cloaca, la fogna; tenendo ciò presente si può capire quale valenza morale abbiano per i napoletani, gli uomini detti chiaveche.
BRAK

VARIE 17/1214



1.LÈVATE 'A MIEZO, FAMME FÀ 'O SPEZZIALE.
Letteralmente: togliti di torno, lasciami fare lo speziale...Id est: lasciami lavorare in pace - Lo speziale era il farmacista, l'erborista, non il venditore di spezie. Sia l'erborista che il farmacista erano soliti approntare specialità galeniche nella cui preparazione era richiesta la massima attenzione poiché la minima disattenzione o distrazione generata da chi si intrattenesse a perder tempo nel negozio o laboratorio dello speziale avrebbe potuto procurar seri danni: con le dosi in farmacopea non si scherza! Oggi la locuzione è usata estensivamente nei confronti di chiunque intralci l'altrui lavoro in ispecie la si usa nei confronti di quelli (soprattutto incompetenti) che si affannano a dare consigli non richiesti sulla miglior maniera di portare avanti un'operazione qualsivoglia!
2.LINDO E PPINTO
Ad litteram: pulito e dipinto; modo di dire di diretta provenienza iberica (lindo= vezzoso, pinto=dipinto) con il quale si suole commentare il mostrarsi e ancor di piú l’incedere oltremodo elegante di chi, agghindato e ben messo, vada in giro pavoneggiandosi; la locuzione à però anche un non nascosto sapore di canzonatura del soggetto che incedendo lindo e pinto, si mostra artificioso ed affettato, quando non addirittura ridicolo.
3.LL' AMMORE DA LUNTANO È COMME A LL' ACQUA 'INT' Ô PANARO.
L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorio inutile che si tramuta in tormento.
4.LL' AVIMMO FATTO 'E STRAMACCHIO.
Letteralmente: l'abbiamo compiuto alla chetichella,- o anche di straforo, di soppiatto, quasi "alla macchia", ai margini della legalità. L'espressione di stramacchio deriva pari pari dal latino extra mathesis, id est: al di fuori dei retti insegnamenti, dalle buone regole di condotta e perciò clandestinamente.
5.LL’ACCIO SENZ’ACQUA SE SECCA
Letteralmente : il sedano privato dell’acqua si secca. Espressione da intendersi sia nel normale senso letterale, sia in un giocoso, furbesco senso traslato ; nel normale senso letterale è da intendersi quale consiglio pratico per la coltura del sedano (dal greco selinon), pianta erbacea con foglie aromatiche, dalle grosse costole commestibili bisognosa per la sua crescita rigogliosa di abbondante acqua; nel giocoso, furbesco senso traslato l’espressione, messa sulla bocca di un uomo, è usata quando costui intenda in maniera non esplicita, ma furbesca chiedere ad una donna prestazioni sessuali e comunque ben si comprende cosa si nasconda dietro il sedano titolare dell’espressione e quale sia l’acqua richiesta.
accio s.vo neutro = sedano (ma – per traslato furbesco - nell’espressione membro maschile) la voce accio etimologicamente è dal tardo lat. apiu(m) con normale evoluzione fono-morfologica di sapio→saccio.
BRAK

VARIE 17/1213



1.LÀSSEME STÀ CA STONGO 'NQUARTATO!
Lasciami perdere perché sono irritato, scontroso, adirato. Per cui non rispondo delle mie reazioni... La locuzione prende il via dal linguaggio degli schermidori: stare inquartato, ossia in quarta posizione che è posizione di difesa, ma anche di prevedibile prossimo attacco il che presuppone uno stato di tensione massima da cui possono scaturire le piú varie reazioni.
2.LEVÀ ‘A SOTTO
Ad litteram: togliere di sotto; id est: terminare di lavorare, cessare un’attività, smettere di operare, smobilitare, con riferimento ad ogni tipo di attività, ma soprattutto a quelle manuali; piú esattamente la locuzione in epigrafe in origine si riferí a ciò che facevano i carrettieri d’un tempo, i quali al termine della giornata di lavoro, liberavano i cavalli dai finimenti e toglievano le bestie di sotto le stanghe dei carri, e le conducevano, per rigovernarle, nelle stalle.Successivamente, per estensione, la locuzione venne riferita alla dismissione d’ ogni tipo d’attività.
3.LEVÀ ‘O FFRACETO ‘A MIEZO.
Ad litteram: togliere il fradicio di mezzo. Id est: mondare, far pulizia, dare un taglio netto per eliminare ciò che è corrotto e dunque corre il rischio di infettare il restante; per traslato la locuzione è usata quando in una situazione che corre l’alea di corrompersi, si prende il coraggio a due mani e si elimina ciò che possa compromettere il buon esito della situazione e l’eliminazione, magari, è fatta a proprio danno.
4.LEVARSE ‘E PÀCCARE ‘A FACCIA.
Ad litteram: togliersi gli schiaffi da faccia; poiché è impossibile fare materialmente ciò che è affermato nella locuzione,è chiaro ch’essa debba intendersi nel senso figurato di riscattarsi da un’onta subíta, lavarsene, in una parola: vendicarsi , fieramente ricambiando il male ricevuto.
5.LEVARSE ‘O SFIZZIO
Ad litteram: togliersi il gusto, nel senso di raggiungere, conquistandeselo, l’appagamento di una intensa voglia di un desiderio a lungo covato e finalmente raggiunto.
il termine sfizzio (correttamente scritto in napoletano con due zeta) è ritenuto  derivare, con qualche probabilità, dal latino satis -facio e ne conserva il sostrato di soddisfazione per raggiunger la quale occorre fare abbastanza; non mancano però coloro (ed io mi ci accodo) che propendono non a torto per un’etimologia greca da un fuxis(evasione) con tipica prostesi della S intensiva partenopea; adotto tale soluzione  atteso che lo sfizio è qualcosa che eccedendo il normale si connota come un’evasione dalla quotidianeità.
BRAK

VARIE 17/1212



1.LL’OMMO, P’ESSERE NU BBUÒNU PARTITO, À DDA TENÉ: ARGIÉNTO DINT’Ê CCHIOCCHE,DIAMANTE „DINT’ A LL’UÒCCHIE, ORO DINT’Ê SSACCHE E ‘O FIERRO DINT’Ô CAZÓNE!
Letteralmente ’uomo, per essere considerato un buon partito, deve avere le tempie imbiancate, (indice di maturità),gli occhi  luccicanti (indice di vivida intelligenza), oro nelle tasche (cioè ricchezza) ed un (attrezzo di) ferro nel calzone (cioè essere sessualmente dotato).
onna: s.vo f.le, onda. Voce dall‟accusativo latino unda(m), con assimilazione progressiva nd→nn, come in fronna e funnaco.
varche: s.vo f.le pl. di varca = barca.Voce dall’accusativo tardo latino *barca-m, con normale trasformazione di b→v, come basiāre e bíbere in vasà e vévere.
carca: voce verbale per carreca (3° p.sg. ind. pr. dell’inf. carrecà/carcà, nel senso di caricare, far sentire il proprio peso, montar su. Si tratta di un denominale di carrus: latinismo medievale,.
femmene s.vo f.le pl. di femmena 1 nome generico di ogni individuo umano o animale portatore di gameti femminili atti a essere fecondati da quelli maschili, e quindi caratterizzato dalla capacità di partorire figli o deporre uova;
2 come nel caso che ci occupa essere umano di sesso femminile; donna, bambina | usato anche con sfumatura spreg.: Lassa ‘a stà è ‘na femmena(non darle peso è una donna! | mala femmina, prostituta.
3 parte di un congegno destinata a riceverne un'altra nel suo interno:
|| In funzione di agg.vo
1 ricca, dotata di femminilità; desiderabile, attraente; | detto di animale, che è di sesso femminile;
2 che rappresenta la parte ricevente di un incastro;
voce dal lat. femina(m), voce connessa con fecundus 'fecondo' con raddoppiasmento espressivo della consonante nasale bilabiale (m).
crape s.vo f.le pl. di crapa = capra.Lettura metatetica dell’accusativo latino capra-m,
ciucce s.vo m.le o f.le (qui f.le) pl.del sg. ciuccio o ciuccia;
per l’etimo rinvio ad un mio lungo articolo alibi.
bbaccalà s.vo neutro = baccalà, merluzzo essiccato e conservato sotto sale: etimologicamente dallo sp. bacalao, e questo dal fiammingo kabeljauw.

sciorta: s.vo f.le = sorte, destino, ma qui buona sorte, fortuna. Voce dall’acc. lat. sorte-m, con normale evoluzione della sibilante (s) seguita da vocale nel gruppo palatale sci..
chiocche =meningi, tempie s.vo f.le pl. di chiocca = meninge, tempia e per ampiamento semantico anche testa.
Voce dal tardo lat. clocca(m)incrociato con cochlea(m).

Mazzià: voce verbale infinito = percuotere.Denominale di mazza( dal lat. mattea(m)). Derivati: mazziata. Fraseologia: curn úte e mazziàte, mazze e panèlle.., pane senza mazze fanne „e figlie pazze.
ommo: s.vo m.le =uomo. voce dal nominativo latino homo, con raddoppiamento espressivo frequente della bilabiale nasale(m), come in cammísa, ammore etc.
cazone, o cauzone: s,vo m.le . che nel significato di braghe aderenti è un accrescitivo di cauza= calza (dal lat. mediev. calcea(m), dal class. calceus 'scarpa, stivaletto'); normale in napoletano il passaggio di al ad au semplificato in a(u)(cfr. auto/aveto per al-to oppure autro/ato per al-tro);
uocchie: occhi s,vo m.le pl. del sg uocchio; voce dall’acc.latino oculu-m→oclu(m)→uocchio, con tipica evoluzione del gruppo cl→chj→cchi, come recchia ( che è dal lat. auricula(m)→(au)ricla(m)→recchia,), denucchio(che è dal at. volg. genuculu(m)→genuclu(m)→ denuclu(m)→ denucchio), etc. . Metaforicamente il s.vo plurale è inteso pure come attività malefica: fattura, maledizione, invidia cattiva.
fierro: = ferro; il s.vo a margine in napoletano può essere di due generi: neutro o maschile se è neutro indica l’elemento chimico (di simbolo Fe) cioè un metallo grigio-argenteo, tenero, duttile, magnetico, raro in natura allo stato libero, ma presente in un gran numero di minerali, da cui si estrae fin dalla pi ú remota antichità; ed indica altresí l'acciaio dolce (lega di ferro a basso tenore di carbonio) e spesso anche gli acciai non legati; allorché sia neutro la scrizione preceduta dall’articolo neutro ‘o (lo) comporta la geminazione della consonante d’avvio per cui si dovrà scrivere ‘o ffierro; allorché invece il s.vo in esame sia inteso maschile serve ad indicare 1 in primis qualsiasi oggetto, attrezzo, utensile, arma di ferro o piú gener. metallico: ferro da stiro, ferro per arricciare i capelli etc. 2 per traslato giocoso come nel caso che ci occupa qualsiasi altra cosa accreditata anche iperbolicamente d’essere dura e resistente come il ferro; in questi casi la scrizione preceduta dall’articolo maschile ‘o (lo) non comporta la geminazione della consonante d’avvio per cui si dovrà scrivere ‘o fierro.
2.LL'ACCÍOMO Ê BBANCHE NUOVE.
Letteralmente: l' Ecce homo ai Banchi nuovi. Cosí oggi i napoletani sogliono indicare quei giovani, che - per essere alla moda - non si radono, mantenendo ispidi ed incolti quei pochi peli che dovrebbero costituire l'onor del mento, e per apparire in linea con i dettami della moda si mostrano smagriti e pallidi. La locuzione rammenta una scultura lignea sita in un'edicola posta ai Banchi Nuovi - quartiere napoletano sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa Chiara - scultura rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e Caifa, ed appare il Cristo, dopo le percosse e gli sputi subiti dai saldati romani, sofferente, smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato, proprio come i giovani cui la locuzione si attaglia.
3.LL'AMICO È COMME Ô 'MBRELLO: QUANNE CHIOVE NUN 'O TRUOVE MAJE.
Ad litteram: l'amico è come l'ombrello; quando piove non lo trovi mai; id est: l'amico - che nei momenti di bisogno dovrebbe essere il primo a soccorrerti-, accade che, proprio allora sparisceae non si faccia trovare...
4.LASSA CA VA A FFUNNO 'O BBASTIMENTO, ABBASTA CA MÒRENO 'E ZZOCCOLE.
Letteralmente: lascia che affondi la nave, purchè muoiano i ratti. Con questa locuzione si suole commentare l'azione spericolata di chi è disposto anche al peggio pur di raggiungere un suo precipuo scopo; proverbio nato nell'ambito marinaresco tenendo presente le lotte che combattevano i marinai con i ratti che infestavano le navi.
5.LASSÀTE 'E PENZIERE MIÉJE E PPIGLIÀTEVE 'E VUOSTE!
Ad litteram: Lasciate stare i miei problemi e prendetevi i vostri! Id est: Impicciatevi dei fatti vostri ed evitate di darmi consigli (non richiesti)!
BRAK

VARIE 17/1211



1.JIRSENE A LL’ARIA ‘E CARDONE o piú correttamente JIRSENE Ô LLARIO ‘E CCARDONE
Ad litteram: ANDARSENE A L’ARIA DI CARDONE o piú correttamente come fu in origine ANDARSENE AL LARGO DEI CARDONI. L’espressione vale: morire, decedere. Come ò anticipato in effetti l’esatta espressione fu “SE NN’È GGHIUTO Ô LLARIO ‘E CCARDONE”[se ne è andato al largo dei cardoni] espressione che poi il popolino corruppe in“Se nn’è gghiuto a ll’aria ‘e Cardone”[ se ne è andato all’ aria di Cardone]; ovviamente la corruzione non rese giustizia all’originario significato dell’ espressione che tradotta ad litteram valeva: se ne ne è andato al largo delle cardoni e cioè è morto e sepolto; essa espressione faceva riferimento al fatto che il cimitero delle 366 fòsse, il piú antico e popolato camposanto napoletano, era sorto su di un terreno agricolo in origine coltivato a carciofi e cardi (in napoletano le onnicomprensive ‘e ccardone),donde ‘o llario ‘e ccardone; come è chiaro la voce Cardone non indicava una località dall’aria salubre...,nè il nome di un possidente terriero, ma semplicemente i gustosi carciofi e cardi. llario s.vo m.le = 1)spazio, area, superficie, distesa, estensione 2)terreno (agricolo) esteso; voce dal lat. volg. larju(m) per il class. largu(m). ccardone s.vo m.le = voce di àmbito contadino usata per indicare onnicomprensivamente i cardi ed i carciofi; voce marcata (ma addizionata del suffisso accrescitivo one) sul lat. tardo cardu(m), per il class. carduus.
2.JIRSENE CARRECO ‘E MERAVIGLIE
 Ad litteram: andarsene carico di meraviglia. id est: allontanarsi stupefatto, in preda alla massima meraviglia, da un Luogo dove si è assistito o dove si è partecipato - magari involontariamente -ad avvenimenti sconvolgenti o grandemente allibenti; per traslato si usa dire di chi si allontani da un Luogo o da una persona dopo d’aver subíto una dura reprimenda o rampogna. Carreco/a agg.vo m.le o f.le = letteralmente carico, caricato(estens.) sovraccarico, traboccante, (fig.) oppresso; etimologicamente la voce napoletana è connessa a carrus (cfr. la doppia liquida rispetto alle scempia dell’italiano carico) addizionato del suffisso di pertinenza icus/ica.
3.JIRSENE CU 'NA MANA ANNANZE E N'ATA ARRETO.
Letteralmente: andarsene con una mano davanti ed una di dietro (per coprirsi le vergogne). Era il modo con cui il debitore si allontanava dal Luogo dove aveva eseguito la cessio bonorum, aveva cioè poggiato le nude natiche su di una colonnina posta innanzi al tribunale a dimostrazione di non aver piú niente. La locuzione perciò significa e si usa per indicare chi, non avendo concluso nulla di buono, ci à rimesso fino all'ultimo quattrino e non gli resta che l'ignominia di cambiar zona andandosene con una mano davanti ed una di dietro per coprire alla men peggio le proprie vergone.
4.JIRSENE MURO - MURO
Ad litteram: andarsene rasentando il muro; id est: allontanarsi alla chetichella, quasi sfiorando un muro allo scopo di non farsi notare, non dando nell’occhio.
5.JIRSENE oppure VENIRSENE TINCO – TINCO
Ad litteram: ALLONTANARSI COME UN TINCONE oppure AVVICINARSI SOLLECITAMENTE (come un tincone); id est: sparire da un Luogo rapidamente e con una buona dose di faccia tosta, quasi dando ad intendendere che l’avvenimento cui si è partecipato e da cui ci si allontani non ci riguardi, né chiami in causa, oppure (nel secondo caso) accostarsi ad un Luogo rapidamente e con una buona dose di faccia tosta, quasi dando ad intendendere che l’avvenimento cui si intende partecipare sia di nostra competenza o ci chiami in causa, quantunque nessuno ci abbia invitati o sollecitati in quel senso; in questo secondo caso lo si usa con icastico riferimento a tuti quegli inoportuni comportamenti di saccenti e supponenti adusi ad intromettersi nelle altrui faccende per esprimere pareri o dispensare importuni consigli non sollecitati. A margine rammento altre tipiche espressioni modali che si ricollegano al verbo andare; abbiamo: venirsene oppure jirsene ruglio ruglio (id est: venir mogio mogio, piano piano,ovvero accostarsi lentamente, quasi contando i passi, come chi sia pieno, zeppo, stipato di cibo e dunque sia costretto a muoversi lentamente, mogio mogio. Vale la pena di ricordare che l’espressione ruglio ruglio, nella sua reiterazione dell’aggettivo di grado positivo ne sostanzia il superlativo che, al solito, in napoletano non à la forma del suffisso in issimo, ma si forma reiterando l’aggettivo di grado positivo come avviene p. es. con chiatto chiatto o luongo luongo o ancora curto curto che rispettivamente stanno per grassissimo,altissimo (o lunghissimo), bassissimo e dunque ruglio ruglio sta per pienissimo. Rammenterò appena che l’espressione venirsene ruglio ruglio non va confusa con quella che recita: venirsene tinco tinco or ora illustrata, di significato diametralmente opposto: venirsene sollecitamente, né va confusa con l’espressione usata dal famosissimo Totò: venirsene tomo, tomo, cacchio cacchio, espressione che come ebbi modo di chiarire altrove sta per: agire con improntitudine, faccia tosta. Un’ ultima notazione; etimologicamente la parola ruglio è un chiaro deverbale forgiato sul verbo latino: turgulare frequentativo di turgere: inturgidire; E, a mo’ di completamento rammenterò che sia in calabrese che in napoletano d’antan esiste il verbo ‘ntrugliare = ingrossare forgiato ugualmente sui verbi latini di cui sopra. Ancóra l’espressione napoletana jí cuonce cuonce è un’espressione avverbiale che vale: andare, agire piano, piano – senza fretta – accortamente – con cautela,precisione e circospezione – lentamente; l’espressione si sostanzia nell’iterazione del sostantivo cuonce (plurale di cuoncio), ma nel caso in esame l’iterazione non mira a formare un superlativo come nel napoletano avviene normalmente, ed ò già déto, alibi sia con sostantivi, ma soprattutto con aggettivi (cfr. sicco sicco (=magrissimo), chiatto chiatto (=grassissimo), luongo luongo (=altissimo o lunghissimo) tinco tinco (=rapidissimo come una tinca)etc. Nel caso in esame ci si ricollega al sostantivo cuonce (plurale di cuoncio) per richiamarne, con l’iterazione, la cautela lenta e circospetta usata nel portare a compimento un’opera muraria (quella che gli antichi romani dissero opus quadratum[corrotto in quadrellatum donde quadriglè] o opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali di piccole piramidi di tufo o altra pietra, e tenendone la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Chiarisco: in napoletano il sostantivo cuoncio (di cui cuonce è il plurale), con etimo quale deverbale da conciare (che è dal lat. volg. *comptiare, deriv. di comptus 'ornato, adorno', da comere 'mettere insieme'), à molti significati: concime, letame (per concimare), belletto, condimento (cfr. ‘o cuoncio acconcia= il belletto, il condimento rende migliore la persona o il cibo), ma indica pure (concio) ognuna di quelle piccole piramidi di tufo o altra pietra di cui sopra; per cui con la locuzione avverbiale cuonce cuonce si intende richiamare la lentezza, la cautela, la precisione maniacale e circospetta da usarsi (procedendo un concio per volta) nel porre in essere l’ opus quadratum o opus reticulatum; allo stesso modo con medesima studiata lentezza, cautela, e precisione deve comportarsi nel suo agire chi sia invitato ad operare cuonce cuonce. E passiamo all’espressione jirsene o venirsene cacchio cacchio che è andarsene o venirsene in maniera strana; infatti cacchio, cacchio ad litteram sta per: strano, strano (nell’espressione in esame: avvicinarsi o allontanarsi strano, strano)Espressione usata per significare l’atteggiamento di chi, facendo finta di nulla, mogio mogio, con indifferenza ed ostentata tranquillità, si prepara invece ad agire proditoriamente in danno di terzi, quasi che si accostasse al luogo dove agirà, con studiata noncuranza, o se ne allontanasse dopo d’avere agito con proditoria e dannosa indifferenza. Da rammentare che l’espressione a margine era usata da Totò, il principe del sorriso, sommandola con la pleonastica espressione - tomo tomo espressione inutile in quanto di uguale portata e/o significato, ma di minor presa; ò detto pleonastica perché, mi pare che non ci fosse stato il bisogno di chiarire o aumentare la portata del cacchio cacchio napoletano, espressione - al contrario - molto piú corposa e pregnante, per il vocabolo usato, dell’algido tomo tomo, espressione che pur napoletana è costruita con un vocabolo italiano presente altresí nella esprespessione dell’italiano essere un bel tomo nel senso di essere un tipo strano, bizzarro di grande improntitudine . L’espressione jirsene o venirsene cacchio cacchio non va confusa con quella jirsene o venirsene tinco tinco precedentemente illustrata, di significato molto diverso: venirsene sollecitamente.
BRAK