1.FUTTETENNE!
Letteralmente: Infischiatene, non dar peso, lascia correre,
non porvi attenzione. E' il pressante invito a lasciar correre dato a chi si
sta adontando o si sta preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si
stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Tale icastico invito
fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo
patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della
obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I
napoletani ritennero la cosa un declassamento del loro santo e allora scrissero
sui muri cittadini: SAN GENNA' FUTTETENNE! Volevano lasciare intendere che
essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero
stati i dettami di Roma.
2.GENNARINO NUN DICE BUSCIE; DICE ‘NU CUOFANO ‘E FESSARIE.
Ad litteram: Gennarino non dice bugie; dice un cumulo di
sciocchezze.
Cosí, con la locuzione indicata si suole prender giuoco di
ogni persona notoriamente bugiarda , poco credibile, millantatrice;
l’espressione nacque allorché esistette in Napoli un tal Gennarino, venditore
ambulante di panzarotti fritti (gustosissime frittelle di patate, di origine
meridionale che, come alibi scrissi, sarebbe piú giusto, anche in italiano,
continuare a chiamare panzarotti e che invece impropriamente vengon dette
crocchette) che era solito magnificare la propria merce in modo esagerato
sottolineando le sue parole con l’aggiunta di una sorta di giuramento:
Gennarino nun dice buscie (Gennarino non mente!). Atteso che la merce, invece,
non era cosí buona come magnificato dal venditore, gli scugnizzi napoletani
presero a canzonarlo aggiungendo al suo giuramento una caustica chiosa: dice
‘nu cuofano ‘e fessarie. (dice un cumulo di sciocchezze) volendo significare che
il sullodato Gennarino, in qualsiasi caso (si trattasse di bugie o di
sciocchezze) mentiva e la sua merce era scadente!
buscía (di cui buscíe è il plurale) = bugia, menzogna ed
altrove piattello ansato per ragger le candele; nel significato di bugia è parola
derivante dal provenzale bauzía che è dal francone bausi = menzogna, malignità;
nel senso di piattello ansato per regger candele deriva dal nome della città
algerina Bugiaya dove si producevano tali piattelli e da dove, pare,
s’importasse la cera per produrre le candele;
cuofano = cesto, corbello e per traslato gran quantità,
abbondanza; dal latino cophinu(m)= cesta, normale il passaggio della i atona ad
a atona, in parole sdrucciole;
fessaria= cosa da nulla, sciocchezza, inezia e per traslato
bugia macroscopica; etimologicamente da fesso (rotto, spaccato e poi sciocco)
p.pass. del verbo findere (rompere, spaccare) + il suff. di pertinenza
arius/aro + la desinenza tonica ía; rammenterò che la stessa parola con i
medesimi significati si ritrova pure nella lingua ufficiale sebbene in
quest’ultima l’originaria ed etimologica a ovviamente aperta, la si sia
sostituita con una pretestuosa e chiusa (ritenuta forse, ma scioccamente, piú
consona dell’aperta a alla elegante (sic?) dialetto di Alighieri Dante, ottenendo
cosí in Luogo di fessaria una non migliore fesseria.
3.GIACCHINO METTETTE 'A LEGGE E GIACCHINO FUJE 'MPISO.
Ad litteram:
Giocchino [Murat]emanò una legge e Gioacchino fu impiccato. Cioè: Chi è causa
del suo mal, pianga se stesso. Locuzione che fa riferimento a Gioacchino
Murat nato Joachim Murat-Jordy
(Labastide-Fortunière, 25 marzo 1767 † Pizzocalabro, 13 ottobre 1815), ucciso
in attuazione di una norma da lui stesso dettata; nè muta la sostanza dell’espressione il fatto
che Murat fósse stato fulicilato e non impiccato.
4.GIORGIO SE NE VO’ JÍ I 'O VESCOVO N' 'O VO’ CACCIÀ.
Giorgio intende andar via e il vescovo vuole cacciarlo.
L'icastica espressione fotografa un rapporto nel quale due persone intendono
perseguire il medesimo fine, ma nessuno ha il coraggio di prendere
l'iniziativa, come nel caso del prelato e del suo domestico...
5.GRANNEZZA 'E DDIO: ERA MONACO E PPURE PISCIAVA.
Letteralmente: grandezza di Dio: era monaco eppure mingeva.
La locuzione è usata per bollare chi fa le viste di meravigliarsi delle cose
piú ovvie e naturali come qualcuno che si stupisse nel vedere un frate portare
a compimento una sua funzione fisiologica.
BRAK
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