1.E SSEMPE CARULINA, E SSEMPE CARULINA...
Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a
consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva
pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi
delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina
d'Austria, che - però, si dice - lo ripagava con la medesima moneta; per
traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni
in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per
evidente scocciatura di far sempre le medesime cose.
2.'E SURDATE ‘E GIACCHINO: PEZZIENTE E FANTASIUSE
Ad litteram essa sta per I soldati di Gioacchino (Murat):
poveri, ma altezzosi ed è espressione usata con riferimento sarcastico a tutte
quelle persone che confidando sulle sole apparenze si mostrino nei rapporti
interpersonali altere, arroganti, boriose, presuntuose, sprezzanti, spocchiose
pur in mancanza di ricchezze materiali e/o ancór piú di risorse morali o
capacità operative.
; per venire a capo del perché di tale riferimento ironico
che pervade l’espressione occorre rammentare che Gioacchino Murat nato Joachim
(Labastide-Fortunière, 25 marzo 1767 – †Pizzo Calabro , 13 ottobre
1815),cognato di Napoleone Bonaparte fu un generale francese,poi dal 1808 re di
Napoli; in tale veste nel riordinare l’esercito pur decurtando il soldo dei
militari,rendendoli perciò quasi poveri, provvide a fornire la truppa (non
soltanto gli ufficiali, ma anche i militi semplici) di sfarzose, rutilanti
divise di cui essi militari si gloriavano pavoneggiandosi soprattutto con le
donne ed ostentando con gli uomini albagia, boria, superbia, vanità,
vanagloria, tracotanza fondate sul nulla.Cosí ad un dipresso si comportano
quegli individui cui vien riferita l’espressione usi come sono, nei rapporti
interpersonali a pavoneggiarsi, ad andar tronfi compiacendosi di se stessi,
relazionandosi con il prossimo da una posizione arrogante e/o boriosa, boria
che poggia però sul nulla, non avendo la persona che inalberi quel tal comportamento
arrogante veri motivi o conclamate ragioni su cui poggiarlo.
3.Ê TIEMPE 'E PAPPAGONE
Letteralmente: Ai tempi di PAPPAGONE Id est: in un tempo lontanissimo. Cosí vengono commentate
cose di cui si parli che risultano risalenti a tempi lontanissimi, quasi
mitici. Il PAPPAGONE della locuzione non è la famosa maschera creata dal
compianto attore napoletano Peppino De Filippo; ma è la corruzione del cognome
PAPPACODA antichissima e nobile famiglia partenopea che à lasciato meravigliosi
retaggi architettonici risalenti al 1400, in varie strade napoletane.
4.E TTE PAREVA!?
Locuzione esclamativa/interrogativa che non va tradotta pedissequamente
ad litteram: “ E ti sembrava!?”,ma che va addizionata di un sottinteso che cosí
non fósse per darle l’esatto significato che è quello di: “Siamo alle solite!,
Me lo aspettavo!, Ci risiamo!, Non poteva mancare!” e viene usata con un senso
di risentito rammarico o da chi sia inopinatamente coinvolto in faccende temute
che à cercato invano di evitare; o anche da chi debba, con dispiacere, notare
che il comportamento tenuto da qualcuno nei suoi riguardi sia monotonamente ,
reiteratamente, prevaricante e deleterio e non si discosti mai da tale pessima
linea di condotta.
5.È UNO CA NUN FA CARTE
È uno che (non intende) fare le carte; È uno che (non
intende) distribuire le carte; Espressione che prendendo il la dai giochi fatti
con le carte in cui per regola è previsto che ciscun giocatore distribuisca le
carte cominciando la distribuzione secondo i tipi di giochi o dalla sua dritta
o dalla mancina e finendo per essere l’ultimo a calare in tavolo le sue carte.
Nel caso dell’espressione ci si riferisce a chi per arroganza, prepotenza e/o –
ma meno spesso – per semplice indolenza non intende in alcun modo distribuire
le carte e cioè non vuole assumersi le proprie responsabilità tentando in ogni
modo di sfruttare le situazioni traendone i benefici senza aver conferito la
propria fattiva partecipazione all’azione comune.
Brak
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